[L’analisi] L’informazione è malata ma il modo per salvarla e garantire le qualità delle notizie c'è
L’avvento del digitale ha rivoluzionato il settore. Il modello delle news online gratuite pagate dagli incassi pubblicitari è però ormai al tramonto perché non sostenibile finanziariamente. L’unica possibilità per salvare i giornali e soprattutto la qualità dell’informazione è tornare al vecchio principio che le notizie si pagano
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In giro per il mondo c’è un grande malato di cui nessuno parla: l’informazione. Mai come oggi i cittadini hanno avuto la possibilità di informarsi praticamente a costo zero, ma tutto questo si basa su un modello di business che non sta più in piedi. L’era delle notizie gratuite potrebbe avere i giorni contati.
Editori italiani in rosso
I dati parlano chiaro. A livello globale il giro di affari dell’informazione nel 2017 si è attestato a 150 miliardi di dollari, in calo del 2,2% rispetto al 2016 e del 8,6% rispetto al 2013. L’Italia non fa eccezione. Nel periodo 2013-2017 i maggiori gruppi editoriali italiani hanno cumulato perdite per 1,2 miliardi di euro e solo Cairo Editore ha chiuso il quinquennio in positivo.
Il crollo delle copie cartacee
Nonostante la diffusione del web nel 2017 ben l’89,5% del fatturato degli editori proviene ancora dalla carta stampata. Ma (e qui si arriva al nocciolo del problema) l’acquisto di quotidiani cartacei è in picchiata. Il dato italiano rende bene l’idea. A settembre 2007 le vendite di copie cartacee erano pari a 6,1 milioni di copie giornaliere. Lo scorso settembre (quini 11 anni dopo) il numero delle copie si è attestato a 2,6 milioni. Per una calo complessivo superiore al 57%. Conclusione: la principale fonte di ricavi del mondo dell’informazione (l’acquisto dei quotidiani cartacei) si sta inaridendo e i proventi derivanti dal digitale (basati sulla vendita di pubblicità) compensano solo in piccola parte il calo del fatturato.
La crescita del digitale non basta
Eppure il web ormai è una fonte di informazione importante per moltissimi italiani (secondo alcuni stime ben 12 milioni di cittadini consultano almeno un sito di informazione). E il giro di affari della pubblicità online è cresciuto negli ultimi 10 anni passando da 950 a 2,9 miliardi di euro. Il dubbio, dunque, nasce spontaneo: perché il digitale non rappresenta ancora una fetta importante dei ricavi degli editori?
La concorrenza dei cannibali digitali
Il motivo è semplice: la concorrenza spietata dei cannibali digitali. Un solo dato rende bene l’idea: Google e Facebook da sole assorbono il 75% degli investimenti pubblicitari online. Il tradizionale banner (fonte principale dei ricavi pubblicitari dei giornali online) ha ceduto il passo di fronte ai sistemi pubblicitari di Big G e di FB che si basano sul pay per click (l’azienda paga solo se il lettore clicca sulla inserzione) e su campagne targetizzate ovvero mirate a pubblici di riferimento specifici. In estrema sintesi: per le aziende fare pubblicità sulle grandi piattaforme americane è più economico e più efficace. A tutto questo si aggiunge il paradosso che una buona fetta del traffico di Google e Facebook si basa proprio sulla condivisione in rete di notizie gratuite da parte degli editori.
Il cambio di modello di business dei giornali
Le difficoltà economiche dei giornali inevitabilmente si sono tradotte in un calo dell’occupazione e della qualità delle notizie. Perché una cosa poco nota ai non addetti ai lavori è che fare informazione di qualità costa. C’è una via di uscita per gli editori? L’unica che al momento sembra possibile è mettere fine all’era delle notizie gratuite per tornare all’antico quando l’informazione veniva pagata come tutti gli altri servizi.
Anche le testate italiane si adeguano
Tra i pionieri di questo nuovo modello a pagamento ci sono i grandi quotidiani anglosassoni (i profitti degli abbonamenti online del New York Times hanno superato quelli della pubblicità digitale). Ma anche i grandi giornali italiani (Corriere della Sera, la Repubblica, Sole 24 Ore) hanno introdotto i cosiddetti paywall che consentono di visualizzare gratuitamente solo un certo numero di articoli al mese o di offrire un mix di contenuti gratuiti e a pagamento. Per il momento siamo ancora agli inizi ma il processo ormai è irreversibile e destinato a coinvolgere la maggior parte delle testate online.