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Guerra, inflazione e la pandemia che stiamo archiviando forse con troppa fretta: sarà un inverno difficile

Se la guerra durerà a lungo, la previsione di una espansione dell'economia del 3% o anche del 2,2% si tramuta in una recessione secca: meno 0,5%, accompagnata da una inflazione all'8%

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Foto Ansa
Foto Ansa

Atteso a lungo con ansia e trepidazione, il discorso di Putin sulla Piazza Rossa per l'anniversario della vittoria sulla Germania ha sgonfiato tutte le aspettative. Sia quelle pessimistiche, che facevano temere un inasprimento del conflitto, anzi un'escalation. Sia quelle ottimistiche di chi sperava in qualche apertura al dialogo.

La guerra continua

Ma, proprio perché non cambiano nulla, le parole di Putin proiettano un'ombra sinistra sui prossimi mesi. Il messaggio, infatti, è: la guerra continua. E, probabilmente, ancora a lungo: fino a quando la situazione sul terreno non indicherà chi sta prevalendo. Il costo, in termini umani, per ucraini e anche per i russi, di altri mesi di guerra è altissimo.

Un conto salato

Ma anche per tutti gli altri che assistono – soprattutto gli europei e, in particolare, gli italiani – il conto della guerra, questa volta in termini economici, diventa sempre più salato. Saltano tutte le previsioni ufficiali fatte nelle scorse settimane, fondate sull'ipotesi di una conclusione ravvicinata del conflitto e di una rilancio della ripresa nel resto dell'anno. Evitare la peggiore delle recessioni – quella accompagnata da una inflazione galoppante – sarà una impresa proibitiva.

Il turista che ignora la guerra

Chi gira in questi giorni per le città d'arte italiane rimane travolto da ondate compatte di visitatori. E', forse, l'anticipazione di una estate finalmente boom per il turismo, dopo i due anni di pandemia. Per l'Italia, dove un euro ogni sei del Pil è frutto del turismo, è una indicazione importante, forse non del tutto apprezzata nelle previsioni. Ma è anche l'unica buona notizia. Per il resto, le stelle sono tutte allineate a rovescio.

Esportazioni in calo

La previsione ufficiale del governo italiano di una espansione dell'economia del 3,1 per cento quest'anno scontava, visto l'arretramento registrato fra gennaio e marzo, una ripresa sostenuta, dell'ordine dello 0,5-0,6 per cento a trimestre, a partire già dalla primavera in corso. Con la guerra questa ipotesi appare irrealistica. Per via dell'incertezza creata dagli sviluppi del conflitto anche a livello globale. Un mese fa, i modelli econometrici della Banca d'Italia valutavano un calo delle esportazioni italiane fra l'1 e il 2,5 per cento.

Il caro-petrolio e il caro-gas

Ma la guerra significa anche, e soprattutto, che non ci sarà respiro nella spirale dei costi dettata dall'aumento vorticoso dei prezzi delle materie prime, a cominciare dall'energia. Il caro-petrolio incide sui costi di distribuzione. Il caro-gas direttamente su quelli di produzione di settori significativi dell'industria. Contemporaneamente, l'energia, che già incide per circa metà sul ritmo d'inflazione di questi mesi, continuerà a premere sul pedale dell'aumento dei prezzi, comprimendo la domanda dei consumatori. Sempre ad aprile, la Banca d'Italia aveva provato a calcolare l'effetto di una prosecuzione della guerra sull'economia italiana. Invece del 3 per cento (la previsione del governo) l'economia, in questo caso, si espandeva solo del 2,2 per cento, mentre l'inflazione viaggiava al 5,6 per cento.

Lo scenario più pessimistico

Via Nazionale proponeva, però, anche un terzo scenario, ancora più pessimistico, ma che, in questo momento, appare assai verosimile. Qui, infatti, alla prosecuzione della guerra si aggiungeva un blocco delle forniture di gas da parte di Mosca (in questo momento ci siamo particolarmente vicini). In questo caso, la previsione di una espansione dell'economia del 3 per cento (scenario del governo) o anche del 2,2 per cento (previsione di Via Nazionale in base alla guerra) si tramutava in una recessione secca: meno 0,5 per cento, accompagnata da una inflazione all'8 per cento.

L’altalena dello spread

Purtroppo, però, può andare anche peggio. Anche gli scenari pessimistici di Via Nazionale non prendono, infatti, in considerazione la svolta – che si è concretizzata solo in queste ultime settimane – a cui sembra essersi decisa, nonostante i venti economici sfavorevoli, la Bce che si prepara a tagliare gli acquisti di titoli pubblici dei paesi dell'eurozona. Subito dopo, Francoforte interverrà sui tassi di interesse. Lo spread fra titoli italiani e tedeschi, in previsione di queste mosse, è già arrivato a quota 200, rendendo più costoso finanziare il debito italiano. Siamo lontani dagli allarmi di dieci anni fa. Ma, in un momento di difficoltà sia per il governo che per le imprese, il denaro più caro è una incognita in più.

Si può davvero archiviare la pandemia?

Soprattutto perché alla guerra, all'inflazione, alla fine dello scudo Bce si unisce una ulteriore preoccupazione. Previsioni e scenari disegnati fin qua – anche quelli pessimistici – escludono dall'orizzonte il Covid, consegnando la pandemia alla storia. Molti elementi fanno pensare che sia una archiviazione affrettata. Nuove varianti stanno facendo capolino e l'autunno si presenta, ancora una volta, gravido   di allarmi. Le autorità sanitarie Usa danno già per scontata una nuova gigantesca ondata di contagi, capace di toccare fino a cento milioni di americani. Forse le nuove varianti del virus sono meno pericolose. Forse la nuova campagna di vaccinazioni può contenerle. In ogni caso, rischiamo di trovarci di nuovo a confrontarci con le incertezze e gli scombussolamenti della pandemia, questa volta in piena stagflazione. Sarà un inverno difficile.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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