Il servizio sanitario nazionale al capolinea, Zangrillo: "Vi spiego perché la sanità pubblica è allo sfascio"
Con la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale si sanciva il concetto di salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, quasi cinquant’anni dopo, quella riforma bellissima rischia di essere impossibile da portare avanti

Era l’antivigilia di Natale del 1978, anno di profondi cambiamenti seguito ad altri anni di profondi cambiamenti, che avevano avuto sostanzialmente un unico antenato anni prima con la legge sul divorzio. E quindi nel 1978 arrivò la legge sull’aborto, 194, e poi la legge Basaglia, la 180 sulla chiusura dei manicomi e la legge sull’equo canone. Ecco, fu in quel quadro che arrivò anche la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che fu pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 23 dicembre: per la precisione la numero 833 del 1978.
In pratica, in un periodo di grandi pulsioni sociali, ma anche di “leggi manifesto” si sanciva il concetto di salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. Poi, certo in questi quasi cinquant’anni non tutto è stato perfetto, molte cose erano troppo belle per essere vere e, ad esempio, il medico di famiglia, che era un grande valore per la sanità italiana, ha rischiato di diventare una figura burocratica annullando le qualità del medico condotto che arrivava a casa a tutte le ore ed era un grande valore per la società e per la sanità italiana.
Lo spirito della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale
Ma la pulsione era quella tesa a un miglioramento dei servizi per tutti i cittadini e lo spirito era assolutamente positivo tanto che - a fronte di errori come l’assenza di ticket sulle prestazioni fino al 1982 - il sistema sanitario italiano divenne un modello per tutti i Paesi con un forte impianto di welfare. Insomma, qualcosa da imitare e da copiare. Ecco, quasi cinquant’anni dopo, quella riforma bellissima rischia di essere impossibile da portare avanti.
E la stessa riforma rischia di essere l’ultima vittima, l’ennesima, del Covid. Che ha elevato a potenza i problemi che erano già latenti, portando le liste d’attesa a livelli mai visti prima, ovviamente anche per il fatto che tutta la medicina “normale” è stata completamente dimenticata e resa impossibile durante la pandemia. In più si sono sommate anche altre circostanze, prima fra tutti il fatto che c’è la tendenza a una “medicina difensiva” che, per evitare eventuali problemi legali, sceglie un eccesso di prescrizioni diagnostiche e analisi di laboratorio per evitare il rischio di processi o azioni di responsabilità nei confronti di tutti i protagonisti di passaggi sanitari che poi magari finiscono male.
Una riforma al capolinea
Ma, anche senza esplicitare questo retropensiero, c’è spesso la tendenza dei cittadini-mutuati a chiedere ai medici di medicina generale un eccesso di prestazioni. E, in qualche modo, anche il “combinato disposto” fra i problemi direttamente derivanti dal Covid e quelli atavici ha portato il Servizio Sanitario Nazionale al collasso. Tanto che quella riforma che è stata l’orgoglio sanitario dell’Italia, oggi rischia di essere al capolinea, almeno come la conosciamo oggi.
Testimonial di tutto questo è (anche) Alberto Zangrillo, noto – oltre che come presidente del Genoa – anche come storico medico di Silvio Berlusconi prorettore e primario di anestesia, rianimazione e terapia intensiva al San Raffaele di Milano, uno dei medici che durante la pandemia ha lanciato messaggi rassicuranti.
Gli "Incontri d'estate" voluti da Zangrillo
E per dire tutto questo Zangrillo, sceglie “Incontri d’estate”, una sorta di Versiliana in pieno centro a Genova, un ciclo di incontri che si svolgono a Palazzo Pallavicino, splendido palazzo dei Rolli, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. L’idea dell’editore Massimiliano Monti coinvolge le voci più diverse: da Vittorio Sgarbi a Paolo Masini, che è uno dei manager culturali più importanti d’Italia, uomo di punta del ministero della Cultura, Federico Rampini e Enzo Paci, che è l’attore di fiction più amato degli ultimi anni, nonché una persona straordinaria, Federico Buffa e Giuseppe Cruciani e tantissimo altro. E
d è in questa occasione, conversando e quasi duettando con Giampiero Timossi, direttore di Telenord, capace di metterlo a proprio agio e quindi proprio per questo di fargli dire moltissimo, che Zangrillo, ripreso con sagacia da Gessi Adamoli, spiega: "Farsi curare diventerà il più grande lusso della nostra società così come prima lo era avere una bella macchina o la casa di proprietà. Fare il medico è tornato ad essere una missione. Se penso però ai giovani attuali, anche quelli che saranno futuri medici, noto una carenza di cultura imperante nella nostra società. Mancano i fondamentali. Non sanno parlare correttamente, non conoscono le basi. Non conoscono nemmeno la geografia. Dobbiamo studiare, leggere e imporre ai ragazzi ad essere disciplinati. Andiamo incontro ad una barbarie sociale. Una società in cui ormai vince il prepotente e non il più colto".
Un discorso di sinistra
Ed è quasi un discorso “di sinistra” quello di Alberto Zangrillo, che pure è fratello di Paolo, ministro della Funzione Pubblica del governo di Giorgia Meloni, esponente di Forza Italia ed è stato il medico di cui Silvio Berlusconi si è sempre fidato sia dal punto di vista sanitario che da quello umano. Così come è “di sinistra”, ma di sinistra bella, positiva, vera, non quella dei salotti radical chic o dei miliardari in cachemire che pontificano di uguaglianza sociale, l’idea che “le tasse vanno pagate e sempre, perché è così che si garantiscono i diritti di tutti, iniziando dal diritto alla salute che diventerà il più grande lusso della nostra società”. E questa idea va di pari passo "con l’orgogliosa affermazione del proprio giuramento di Ippocrate: “Vorrei che fosse chiaro che non sono il medico dei vip e dei ricchi. Ma solo una serie di circostanze mi ha portato ad essere identificato così”.
Insomma, Zangrillo si vede come una sorta di Jessica Rabbit della sanità. Non è un medico d’élite, ma semplicemente lo disegnano così: “Piuttosto vorrei sottolineare come la sanità sia sempre più costosa, soprattutto per le speculazioni. Ho notato una disparità enorme nel tessuto sociale, a parità di patologia si vive di più al Nord che al Sud. Ma ciò non significa che i medici del Sud siano meno preparati. Il problema è che tutti dovrebbero pagare le tasse, mentre ci sono molti ancora che non lo fanno". Il resto lo fanno le fughe dei medici, infermieri, oss e figure varie dal servizio pubblico, che non può più pagare stipendi adeguati rispetto alle offerte del privato. E così ci sono i medici ospedalieri “gettonisti” e altre figure inedite. Che poco o nulla hanno a che vedere con la riforma dell’antivigilia di Natale del 1978.