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[L'analisi] Venti miliardi per cacciare i Benetton e strozzare la gallina dalle uova d'oro

Le tariffe riscosse da Autostrade Per l’Italia (prima di tutte la A1, l’Autostrada del Sole), valgono 3,6 miliardi di euro l’anno, il 60 per cento di tutti gli incassi di Atlantia. E’ la gallina dalle uova d’oro dei Benetton. Troppi ampliamenti senza bando, troppi investimenti ritardati fino a quando prometterli assicura la proroga della concessione, troppo carenti e inefficaci le strutture pubbliche che dovrebbero controllare la effettiva manutenzione. Il governo ha l’occasione per ridefinire ruoli, compiti e responsabilità in un settore vitale per l’economia del paese. Non è l’occasione per una vendetta politica

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
[L'analisi] Venti miliardi per cacciare i Benetton e strozzare la gallina dalle uova d'oro

I morti sono 38 e la conta non è finita. Una catastrofe. Ma il crollo del ponte Morandi è molto più che un disastro stradale. Senza la linfa di quella arteria, tutta Genova rischia la cancrena: il più grande porto d’Italia, 55 mila posti di lavoro, una economia da 11 miliardi di euro. Un dramma e un’emergenza che giustificano la reazione aspra del governo. Meno le sue venature rabbiose. Perché nell’atmosfera avvelenata di questi mesi, la caccia alle responsabilità del crollo (carenza di manutenzione? 0 anche ritardo nel garantire un’alternativa che alleggerisse il traffico?) è già diventata un’altra cosa ed ha assunto una coloritura politica tutta particolare. Il dramma offre, infatti, l’esca per rinfocolare il rancore che soprattutto i 5Stelle portano verso il sistema di potere precedente e la voglia di ribaltare il tessuto di convergenze, accordi, comunione di interessi che lo innervava e che viene costantemente vissuto, piuttosto, come rete di connivenze, complicità, favori. L’attacco di Di Maio ai Benetton è esattamente quello che sembra: l’assalto ad uno dei famigerati poteri forti del vecchio regime. In questo senso, lo scontro è appena cominciato ed è ancora tutto da scrivere.

Atlantia crolla ma non affonda

Collasso in Borsa non poteva non essere e collasso è stato. Atlantia, la società che controlla Autostrade, la concessionaria del ponte Morandi, aveva già perso un 5 per cento nelle quotazioni di martedì sera, subito dopo il crollo. La pausa festiva di Ferragosto ne ha moltiplicato gli effetti. Giovedì , in apertura delle contrattazioni, in Borsa non si trovava nessuno disposto a dire un prezzo per comprare le azioni del gruppo. Quando, alla fine, un prezzo è venuto fuori, era inferiore del 25 per cento all’ultima chiusura. A fine giornata, la perdita ha superato il 20 per cento. Di fatto, in meno di due giorni, Atlantia ha bruciato 5 miliardi di euro: il gruppo vale un quarto in meno dei 20 miliardi di euro di tre giorni fa. Una punizione severa, superiore a qualsiasi penale giudiziaria venga fuori da questa storia. Il gruppo, tuttavia, non cola a picco. Nel tonfo di ieri, spiccano le raccomandazioni di analisti e consulenti finanziari: l’invito non è a vendere, ma a tenere le azioni Atlantia. L’idea sembra essere che il fondo sia stato toccato.

L'impero Benetton

Per i Benetton, uno dei maggiori gruppi italiani, è un momento cruciale. Lontani i tempi in cui le fortune della famiglia le facevano le magliette e le foto di Oliviero Toscani. Dalla fine del secolo scorso, i Benetton si sono incessantemente e velocemente allargati e diversificati: gli Autogrill, gli aeroporti (Fiumicino e Ciampino, ma anche Nizza, Cannes, St.Tropez), il rinnovamento delle grandi stazioni ferroviarie e, soprattutto, le autostrade. E’ di pochi mesi fa la scalata di Atlantia – compiuta con Florentino Perez, il patron del Real Madrid – ad Abertis, il megagruppo di autostrade sparse su vari continenti. Con Abertis, dove, sostanzialmente, ha in mano le leve di comando, Atlantia ha raddoppiato la rete autostradale che detiene in concessione a livello internazionale. E Atlantia vuol dire Benetton. La famiglia la controlla attraverso la finanziaria di famiglia – Edizione, una S.r..l. non quotata in Borsa – che ha il 100 per cento di Sintonia, una finanziaria che, a sua volta, detiene il pacchetto più grande (30,24 per cento) di Atlantia. Ma il cuore di tutto è Autostrade, la concessionaria a cui risalgono l’A12 e il ponte crollato a Genova. Metà della intera rete autostradale italiana, 3 mila chilometri su 6 mila, sono nel pacchetto di Autostrade, che Atlantia, con l’88 per cento delle azioni, controlla strettamente. E da cui ricava un flusso importante di soldi: le tariffe riscosse da Aspi, Autostrade Per l’Italia (prima di tutte la A1, l’Autostrada del Sole), valgono 3,6 miliardi di euro l’anno, il 60 per cento di tutti gli incassi di Atlantia. E’ la gallina dalle uova d’oro dei Benetton.

Concessione sì o no?

Il governo tirerà il collo alla gallina, ritirando ad Autostrade la concessione a gestire i 3 mila chilometri di autostrade che gestisce oggi, in pratica chiudendola? Attraverso Autostrade, i Benetton hanno la coda di paglia. Prima del crollo del ponte Morandi a Genova, c’è stata l’implosione di un cavalcavia sull’autostrada Adriatica nel 2017, processi e sequestri vari su opere pericolanti, la sentenza in arrivo da Avellino per la morte di 40 persone su un bus precipitato d un viadotto della A16 nel 2013. Ma quanto a revocare la concessione è più facile dirlo che farlo. Nessuna di quelle vicende è ancora arrivata ad una conclusione in tribunale. E, comunque, è un processo lungo. Anche ammettendo che il ritiro della concessione possa prescindere dall’indagine giudiziaria e dal processo sulle responsabilità del disastro di Genova, la procedura prevede circa 5 mesi fra deduzioni e controdeduzioni, ma, poi, sarà chiamato in causa il Tar e, a catena, il Consiglio di Stato. Chiunque abbia, anche distrattamente, sbirciato vicende analoghe, sa che stiamo parlando di anni di dibattimenti e indagini. Ma il vero ostacolo al ritiro della concessione è finanziario e sta nel testo della concessione. Attualmente, la concessione in corso con Autostrade corre fino al 2038, con un prolungamento fino al 2042, con lo scambio (tradizionale nel settore) fra alcuni investimenti e rincari tariffari. A scorrere le clausole in vigore, si legge che, quando finalmente, esaurito il percorso giudiziario e legale, la concessione viene revocata, ad Autostrade spetterebbe comunque (art.9) “il pagamento di un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi di gestione sino alla scadenza della concessione”. Ovvero, lo Stato o un nuovo concessionario, subentrando ad Autostrade, dovrebbero versare quello che la società dei Benetton avrebbe comunque incassato, da qui alla scadenza della concessione, nel 2042. Si tratta di 24 anni di fatturato. Poiché, secondo gli analisti, i ricavi di Autostrade sono di circa 1 miliardo l’anno, anche computando penali e oneri accessori, il risultato, annota 24 ore, è che i Benetton dovrebbero incassare 15-20 miliardi di euro. O, detta all’inverso, per cacciare i Benetton il governo giallo-verde dovrebbe tirare fuori 15-20 miliardi di euro, a meno di colpi di genio a livello di interpretazioni giuridiche.

La battaglia politica

Sono le cifre che rendono un terreno minato la strada della revoca delle concessioni. L’alternativa, del resto, è due volte più costosa. Anche in questo caso, come per l’Ilva e l’Alitalia, più di un ministro ha evocato la possibilità di un intervento dello Stato. E’ la spinta a rovesciare l’ideologia dominante del regime precedente, alfiere delle liberalizzazioni, resuscitando i fantasmi dell’Iri e dell’impresa pubblica. Giusto o sbagliato che sia rilanciare l’intervento pubblico diretto nell’economia (Autostrade era dell’Iri, quando il ponte Morandi fu progettato e realizzato, le opere Anas non sono senza pecche), è una cosa che costa e pesa sul bilancio. Nel caso della rete autostradale, la liberalizzazione lanciata alla fine degli anni ’90 aveva lo scopo di favorire il finanziamento – sul mercato del credito e con gli introiti delle tariffe – degli investimenti sulla rete stradale. Non facilmente replicabili con i soldi dello Stato.
La catastrofe del ponte Morandi può essere, però, l’occasione per fare luce e rimettere le mani in dossier né trasparenti né al di sopra di ogni sospetto come le concessioni autostradali in genere. Troppi ampliamenti senza bando, troppi investimenti ritardati fino a quando prometterli assicura la proroga della concessione, troppo carenti e inefficaci le strutture pubbliche che dovrebbero controllare la effettiva manutenzione. Il governo ha l’occasione per ridefinire ruoli, compiti e responsabilità in un settore vitale per l’economia del paese. Non è l’occasione per una vendetta politica.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
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