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Non c’è disprezzo, presunzione o condanna: il valore del no Vaticano a benedire unioni gay

E’ maturo il tempo per un dissenso o un consenso che eviti di confondere il piano religioso e civile. Mentre lo Stato può obbligare con la forza chi non rispetta le leggi, la Chiesa non ha più questo potere – e non lo vuole più - come invece aveva al tempo dell’Inquisizione.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Unione gay (Foto Ansa)
Unione gay (Foto Ansa)

Non è la solita buccia di banana su cui scivola la Chiesa cattolica nei riguardi degli omosessuali. Non c’è disprezzo, né presunzione, né toni di condanna questa volta. E non poteva essere diversamente dopo che nei primi tempi del suo pontificato papa Francesco, a proposito degli omosessuali, si era detto: “Chi sono io per giudicare?”. La risposta negativa della Congregazione per la Dottrina della Fede “circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso” pubblicata ieri, non è né un giudizio sugli omosessuali, né una bocciatura delle unioni civili gay finora riconosciute da diverse legislazioni locali o nazionali nel mondo. Il “no” del Dicastero vaticano, erede aggiornato e umanizzato, di quell’organismo terribile passato alla storia come Santa Inquisizione (ma come mettere insieme due termini che si elidono tra loro?) viene spiegato con la massima preoccupazione a far capire l’unico modo corretto di leggere il diniego.

Normativa civile e normativa ecclesiastica

Si può capire serenamente se si tiene presente la distinzione tra la normativa civile e la normativa ecclesiastica. Lo Stato che in versione democratica deve per sua natura essere pluralista per garantire la pacifica convivenza di opinioni e convinzioni differenti, è altra cosa delle comunità religiose. Per loro natura tali comunità attinenti la coscienza hanno come base l’unità della fede e della morale. E trattandosi di realtà liberamente scelte chiedono ai propri aderenti di attenersi alle regole prescritte. Mentre lo Stato può obbligare con la forza chi non rispetta le leggi, la Chiesa non ha più questo potere – e non lo vuole più - come invece aveva al tempo dell’Inquisizione. Pertanto non si può giudicare Stato e Chiesa con uguale metro di giudizio. E’ fuori luogo pertanto valutare le norme canoniche con il metro del codice civile o penale dello Stato. Se non si tiene chiara e presente questa pregiudiziale si fa confusione e si alimentano polemiche sterili. Benedire o non benedire le unioni gay è pertanto una questione interna alla Chiesa cattolica e interna alle altre chiese e confessioni cristiane e non.

I sacramenti

E’ in tale perimetro che ha senso discutere, interrogarsi, consentire o dissentire. Pertanto nel caso specifico della benedizione alle coppie gay ci si deve domandare all’interno della Chiesa cattolica, se tale decisione sia arbitraria o se è vincolata alla dottrina e alla prassi cristiana, con riferimento anzitutto al Vangelo e alla prassi di Gesù e degli apostoli.  La fede cristiana ha dei punti di riferimenti stabili, fondativi e degli aspetti variabili, legati al modo di viverla e manifestarla che, invece, può mutare ed è mutata nel tempo. Tra i segni della fede restano fondamentali i sacramenti che non possono essere modificati da nessuna autorità della Chiesa poiché hanno origine diretta o indiretta in Gesù e negli apostoli. Nel matrimonio, ad esempio, è rimasto invariato ritenerlo una unione tra un uomo e una donna, ma sono variati le forme di celebrarlo. Tutto ciò che non ha valore sacramentale può variare con più facilità nel tempo. Nel caso concreto della benedizione all’unione di coppie gay è un segno che la chiesa può dare o non può dare? E la benedizione non concessa, esclude di per sé il riconoscimento della dignità della persona gay o il valore umano di amarsi tra due persone gay?

Il no alla benedizione delle coppie gay

La risposta vaticana – in linea con la sensibilità già mostrata in crescendo dal concilio Vaticano II in poi – è chiara su questo punto delicato poiché interferisce con l’immagine pubblica del matrimonio. Il “no” è una risposta a un quesito preciso, circoscritto, sollecitato da varie parti per sapere “se la Chiesa dispone del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso”. “Si risponde: negativamente”. Il no è a un quesito preciso di aprirsi o no a una pratica pastorale che finora si andava diffondendo in ordine sparso. Ora sul punto c’è una indicazione precisa a cui i sacerdoti cattolici dovranno attenersi. Nella Nota esplicativa dello stesso Dicastero vaticano si ribadisce a chiare lettere che negare la benedizione non significa mancanza di rispetto o non riconoscere la dignità personale dei gay e della loro unione. Semplicemente si afferma che dal punto di vista cristiano i gay hanno piena cittadinanza nella Chiesa come persone singole, ma non sono ammesse le scelte di rilievo sociale come può essere l’unione civile. Tanto è vero che anche in Italia e lo stesso Vaticano non hanno più nulla da obiettare sul valore sociale delle unioni civili tra gay. Anzi si è favorevoli a una normativa in proposito, precisando che permanga la distinzione tra matrimonio riconosciuto solo tra un uomo e una donna e l’unione civile tra persone dello stesso sesso. Non si possono parificare le due cose. Per non concorrere a tale confusione la Chiesa nega la benedizione all’unione.

I passi avanti della Chiesa

Chiarito tutto questo resta opportuno e necessario nella Chiesa farsi delle domande ulteriori sulla questione degli omosessuali. Se ci si riferisce a persone omosessuali è altra cosa che parlare in astratto dell’omosessualità. Al momento il magistero della Chiesa è quello che è. Ha già fatto passi in avanti enormi rispetto ai decenni passati. E’ sufficiente, è comprensibile, è coerente con il Vangelo o si confonde la dottrina umana con la volontà di Dio? E’ una questione che può essere trattata come semplicemente divisiva tra progressisti e conservatori o considerandola che sorpassa entrambi gli schieramenti? Potrà nel tempo variare l’attuale disciplina sull’unione tra gay e la conseguente possibilità di benedire tale scelta? Continuare a porsi il problema e continuare a studiarlo in ambito teologico, pastorale, filosofico, antropologico e sociale è già un segno che i tempi sono mutati.

 

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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