[L'inchiesta] L’Uranio impoverito è stato sottovalutato: ora lo ammettono anche i militari. Ecco il documento esclusivo
Sinora è risultato inutile chiedere riscontro alle forze armate: su questo argomento hanno innalzato, ancora una volta, un muro di gomma. L'impegno della ministra Elisabetta Trenta e la testimonianza del colonnello Carlo Calcagni
Nel mirino il "negazionismo" dei vertici militari e “gli assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo". Per anni chi sapeva che in certe zone del mondo le nostre forze armate si muovevano in un ambiente contaminato dall’uranio impoverito ha ritenuto opportuno celarsi dietro il silenzio. Tutto questo mentre molti soldati si ammalavano (e spesso morivano) di un male che si sarebbe potuto evitare con una custodia di plastica. Oggi quei silenzi che hanno devastato la vita di molti uomini tornano prepotentemente a galla, perché quelle assenze di comunicazione non possono essere celate per sempre. Lo prova un importante documento che tiscali.it ha ricevuto dal Sindacato dei Militari.
La direttiva ADHOC
Nell’incartamento, una direttiva ADHOC (il sistema di gestione informatico dei flussi documentali non classificati dell’Esercito), si può riscontrare una chiosa che sembra essere assente in tutte le altre note simili: il comandante dell’operazione “Prima Parthica” (fornisce personale di Staff ai Comandi multinazionali siti in Kuwait, e Iraq nonché assetti e capacità di Training ed Assisting rivolti alle Forze Armate e di polizia irachene) ha inviato ai suoi ufficiali che prestano servizio nelle aree di sua competenza una “direttiva per la prevenzione e protezione da esposizione a uranio impoverito". Nessuno aveva dettato, a quel che consta, una disposizione analoga. Nella disposizione si fa riferimento a una lettera protocollata l’8 giugno del 2018 e a un documento di “Valutazione dei Rischi” del 26 agosto 2018.
La valutazione rischi
Lo scopo di questa apprezzabile direttiva è quella di tutelare la salute del personale del contingente dalla “potenziale” presenza di eventuali residui bellici che possano essere associati all’impiego di munizionamento di uranio impoverito (Depleted Uranium – DU). Perché, si legge nel documento, “l’informazione al personale costituisce premessa essenziale per diffondere la cultura della sicurezza e rafforzare il legame di fiducia tra comandanti e subordinati”. Quelle misurate parole rappresentano per il nostro esercito una rivoluzione copernicana. Sorge però spontanea una domanda: prima di quella data ci sono state altre richieste di valutazione rischi? “Ci sarebbero dovute essere – spiega Luca Marco Comellini, segretario del Sindacato dei Militari, perché lo impone una norma del decreto legislativo 81 del 2008. Questo significa che qualora fosse accertato che tale documento non sia stato redatto nei tempi e nei modi previsti dalle norme sussisterebbe una responsabilità penale in capo ai vertici militari che dovrebbe essere accertata dalle autorità competenti”.
La testimonianza di un colonnello
Video
Sinora è risultato inutile chiedere riscontro alle forze armate: su questo argomento hanno innalzato, ancora una volta, un muro di gomma. Il Generale di Brigata Nicola Terzano, comandante di "Prima Parthica", dopo aver ringraziato per iscritto tiscali.it “per l’attenzione rivolta al Contingente nazionale schierato in Iraq” ci ha invitato a girare il quesito “all’Ufficio Pubblica Informazione dello Stato Maggiore della Difesa, in quanto organo preposto alla gestione delle richieste provenienti dagli organi di stampa”. A sua volta l’ufficio ci ha ringraziato “per l’interesse mostrato nei confronti delle Forze Armate, in merito alla sua richiesta di precisazioni sarà cura nostra darle riscontro il prima possibile”. Una frase già sperimentata che in genere presuppone una mancata risposta. E infatti a tutt’oggi ...
La ministra Trenta
Resta però una verifica che non può essere confutata, quella del Colonnello del Ruolo d’Onore Carlo Calcagni (nel 1996 era pilota elicotterista in Bosnia-Erzegovina, dove recuperava morti e feriti): “Nessuno ci aveva mai detto che il nostro lavoro si svolgeva in ambienti contaminati”. “Eppure” - riferisce Calcagni - “gli americani ci avevano avvertiti: esiste anche un filmato inviato dagli altri gradi Usa ai nostri comandanti che li informava dei rischi insiti nel nostro lavoro”. E i vertici militari hanno continuato a negare anche “quando sono cominciati i decessi”. In un certo senso, sostiene il soldato, “a me è andata bene, ma mi sento in colpa quando penso a chi non ce l’ha fatta e al dolore inferto alle loro famiglie”. Adesso la ministra della Difesa in quota 5 stelle, Elisabetta Trenta vuole rimettere in moto la macchina della verità: “Ci ha detto”, ha concluso l’ex elicotterista, “che vuole finalmente renderci giustizia”.
I vertici dell’esercito Usa
I vertici dell’esercito Usa avevano anche trovato il modo per non entrare in contatto con le nano particelle: “Sarebbe bastato un contenitore di plastica per rendere innocuo l’uranio impoverito”. Per questo i militari americani che hanno operato all’interno dei carri armati M-1, se non colpiti da altri proiettili, non presentano gravi patologie. In Italia le cose sono cambiate dal punto di vista giuridico nel 2018 grazie alla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito presieduta da Gian Piero Scanu. Il documento denuncia la "sconvolgenti criticità" nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari "in Italia e nelle missioni all'estero, che hanno contribuito a seminare morti e malattie". Concetti confortati dal parere degli esperti, che hanno riconosciuto il nesso tra l’esposizione all'uranio impoverito e tumori. Proprio quel documento ha posto in essere tutta una serie di atti da parte dei Comandi dell’Esercito. Comunque, “non c’è risarcimento al mondo che possa compensare una vita fatta di stenti, paure e di rimpianti”, ha concluso Carlo Calcagni.