[La storia] Chirurgo dell'equipe che ha eseguito il primo trapianto di faccia in Italia ancora precario: "Prende meno di una colf"
Curriculum eccellente, anni di esperienza ad Harvard, ma lavora con contratti da 12 mesi. Il coordinatore del gruppo che ha restituito il volto a una paziente: "Benedetto, il mio vice, ha solo un contrattino da ricercatore". E inoltre: "Potevamo fare questo tipo di intervento molto prima, ma ci ha preceduto anche la Turchia. Sono mancati governanti illuminati"

Ci sono notizie che sconvolgono, ti danno un pugno allo stomaco e lasciano un senso di nausea. Spesso confermano i limiti del sistema Paese nel settore lavorativo e professionale, altre volte rasentano l’assurdo, interessando campi dove si esprime eccellenza ma si fa di tutto per porre ostacoli e disincentivare i protagonisti. La conferma viene dalla vicenda del trapianto con cui una equipe chirurgica italiana ha restituito il volto e un pezzo di vita a una donna malata. Un trapianto tecnicamente riuscito, se è vero che al momento la paziente operata sta bene, anche se ci vorrà un po' di tempo per capire se tutto è andato alla perfezione. A leggere i giornali che hanno approfondito la toccante vicenda, che pone ancora una volta la nostra sanità all’avanguardia nel mondo, viene fuori tuttavia un fatto incredibile: il secondo team leader del gruppo che ha realizzato l’operazione è ancora precario.
Il caso
A denunciare la situazione il capo dell’unità di chirurgia plastica e ricostruttiva Fabio Santanelli Di Pompeo, 58 anni, napoletano, primario al Sant’Andrea di Roma, che ha coordinato il primo intervento di trapianto facciale in Italia. Una medaglia che in condizioni oggettive differenti il nostro Paese avrebbe potuto appuntarsi anche prima. “Facciamo cose belle con 10 anni di ritardo pur avendo tutte le competenze per la pole position”, dichiara il professor Santanelli sul Corriere della Sera. Un sistema che non premia le capacità dei migliori, tanto da portare Benedetto Longo, 40 anni, calabrese di Crotone, uno dei medici che hanno partecipato all’avveniristico intervento a lavorare senza un contratto a tempo indeterminato, per circa 2mila euro lordi al mese. Una retribuzione "inferiore a quella di una colf, con tutto il rispetto per le colf”, afferma il professor Santanelli parlando del suo allievo di punta.

“Benedetto – dice il chirurgo sul quotidiano – ha un curriculum eccellente, anni di esperienza ad Harvard, eppure non ha un posto fisso”. Solo un “contrattino da ricercatore alla Sapienza che riesco a coprire con i fondi raccolti grazie alla mia credibilità scientifica”.
Ciò succede perché il nostro Paese ha smarrito da anni "la considerazione per le cose importanti. Sono mancati governanti illuminati”, osserva il professore spiegando che lui e il suo gruppo erano pronti da tempo eppure per vari motivi sono arrivati dopo i chirurghi di altri Paesi. “In Francia sono già a 7 interventi, e ci ha preceduto anche la Turchia”. Il problema è che in Italia “le persone che valgono sono considerate rompiscatole”, sostiene. L’unica soddisfazione è che “non devo dire grazie a nessuno tranne che alla volontà di aiutarci mostrata da Ministero della Salute e Centro Nazionale trapianti”, aggiunge.
Un sistema sbagliato
Ma è di tutta evidenza come qualcosa non vada nel nostro sistema sanitario (e non solo), nell’ambito dei meccanismi contrattuali e del riconoscimento delle professionalità. Non si spiegherebbe altrimenti infatti come un chirurgo come Benedetto Longo sia ancora precario. Come da una decina d’anni abbia “contratti da 12 mesi al Sant’Andrea", come spiega lui stesso in una intervista su Repubblica, e come possa uno così "guadagnare 25 mila euro lordi all’anno per 5 giorni lavorativi alla settimana proprio sul progetto di trapianto della faccia”.
Per questo, racconta ancora l’interessato, per mandare avanti la famiglia svolge “anche attività privata”. Anche se il suo mestiere lo fa “per passione”, perché la gratificazione più grande è vedere “la soddisfazione dei pazienti”.
Il suo è tuttavia un mestiere all’avanguardia, dove servono capacità eccezionali, studio, esperienza e dedizione. L’intervento di trapianto del volto è tecnicamente difficilissimo. Forse “l’intervento più complesso che esista in medicina , perché si lavora su strutture che hanno vasi sanguigni piccoli”, spiega Longo.

L'intervento e il precariato
Niente di strano che l’intervento sia durato 28 ore, anche se lui, in realtà, è rimasto in ospedale “60 ore”. Confessa che “è stata dura, ma l’adrenalina ti tiene vigile per tutto il tempo”. Una operazione impegnativa dal primo all’ultimo minuto, perché “ci sono strutture più complesse di altre da connettere e si sta tutto il tempo sotto pressione”. Anzi lo si rimane anche dopo perché esistono “una serie di problemi post intervento da gestire bene, come i rischi di rigetto o di complicanze”, spiega su Repubblica. In effetti si teme soprattutto un rigetto, tanto che un bollettino dell'ospedale ha sottolineato oggi come "le condizioni generali della paziente sono buone e non ci sono preoccupazioni per la sua vita. L'intervento chirurgico è tecnicamente riuscito" ma "i tessuti trapiantati hanno manifestato segni di sofferenza del microcircolo". Per questo si valuta "una ricostruzione temporanea con tessuti autologhi della paziente nell'attesa di una ulteriore ricostruzione con un nuovo donatore". Un lavoro davvero non semplice, insomma.
Eppure i protagonisti di simili performance in Italia possono essere precari e mal retribuiti, soprattutto in realazione al tipo di capacità professionale. “La mia è una chirurgia ad alta complessità – sostiene lo stesso professor Santanelli Di Pompeo sul Corriere – per niente remunerativa se non sul piano umano”.
Il primario di chirurgia tuttavia si dice “contento”, come ogni volta che rientra a casa e sa di aver aiutato un paziente. La prima esperienza di trapianto facciale in Italia fa ben sperare. “E’ andato tutto bene – afferma lo specialista – nessun imprevisto. Come un’orchestra, ognuno ha suonato il suo brano”. Per ottenere una sinfonia perfetta. Durante quelle 28 ore in sala operatoria si sono dati il cambio 10 anestesisti, oltre a un centinaio di assistenti in sala operatoria. I sette chirurghi plastici però non si sono mai dati tregua. Tra di loro anche due svizzeri chiamati apposta “per potenziare le competenze dell’equipe”.
Per Santanelli però non era la prima volta, quell’intervento l’aveva già eseguito in Svezia, quando aveva 30 anni, durante il “primo training”, anche se nell'occasione per la prima volta quell'operazione è stata eseguita in Italia. Adesso pensa già al futuro, e in particolare a quei tre pazienti in lista sul “totale dei 5 previsti dal protocollo”.
La domanda
E sicuramente il gruppo del professor fabio Santanelli di Pompeo si prodigherà di nuovo per dare una vita migliore a qualche persona che ha bisogno del suo intervento. Ne farà nuovamente parte, di sicuro, anche uno specialista quarantenne originario del Sud Italia che si chiama Benedetto Longo. Uno che ama il suo lavoro tanto da farne una missione. Che viene pagato come un apprendista alle prime armi e che andandosene fuori verrebbe riempito di soldi e attenzioni. Uno che a fine intervista su Repubblica dice soltanto: “La cosa più importante è la soddisfazione dei pazienti. Per il resto non so cosa devo fare ancora per interrompere il precariato”. La domanda è proprio questa: cosa bisogna fare in questo Paese per evitare che la professionalità e il merito vengano ancora a lungo mortificati?