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[La polemica] Ha ucciso la moglie con 29 coltellate e poi è andato in pasticceria a comparsi dei babà. Ma la sentenza è assurda

Luigi Messina, 53 anni, guardia giurata, ha ucciso la moglie Rosanna Belvisi nella loro casa di Milano con 29 coltellate e il gup Livio Cristofano l’ha condannato a soli 18 anni (dopo aver accettato il rito abbreviato) perché nella sentenza ha spiegato che non c’è stata l’aggravante della crudeltà

Rosanna Belvisi
Rosanna Belvisi

C’è una sentenza che fa scandalo, ma la cosa più grave è che, oltre alla naturale indignazione popolare, nessuno dal mondo della politica sembra aver preso una ferma posizione contro di essa. Luigi Messina, 53 anni, guardia giurata, ha ucciso la moglie Rosanna Belvisi nella loro casa di Milano con 29 coltellate e il gup Livio Cristofano l’ha condannato a soli 18 anni dopo aver accettato il rito abbreviato perché nella sentenza ha spiegato che non c’è stata l’aggravante della crudeltà: i colpi sono stati sferrati secondo lui verso regioni del corpo vitale, «senza l’intento di arrecare sofferenze aggiuntive alla propria consorte».

E la «consecuzione ossessiva» delle coltellate è stato l’effetto di «un raptus e di una deflagrazione emotiva incontrollabile, piuttosto che la realizzazione di un deliberato intento di arrecare» altre sofferenze alla donna. Come vedete, è una sentenza che parla da sola. Il pm Gaetano Ruta aveva chiesto 30 anni. Ma il giudice non ha considerato aggravante nemmeno il fatto che il signor Messina riempisse sua moglie di botte a ogni pié sospinto e che ci avesse già provato, accoltellandola alla schiena, un’altra volta, nel 1995, al punto che la figlia Valentina avesse descritto la loro vita, in quella casa, come un vero e proprio «inferno».

Evidentemente che i femminicidi siano oggi una grande emergenza del nostro Paese, come già sostenuto dalle alte cariche dello Stato, conta poco o nulla. Ed è questo che fa ancora più effetto, oltre alla cronaca terribile di quel delitto. Il fatto è avvenuto il 15 gennaio del 2017. I due coniugi erano appena rientrati da una vacanza a Pantelleria, quando nella loro casa, alla periferia di Milano, era scoppiata una furente lite per i soliti banali motivi. Non c’era bisogno di grandi cose per accendere l’ira di Luigi Messina.

Un commento sgradito, una disobbedienza, un sospetto qualsiasi. Questa volta, anziché la consueta barcata di botte che somministrava appena poteva, ha preferito direttamente il coltello. Si è scagliato contro la donna e l’ha colpita con 29 fendenti, il poveretto, descritto nella sentenza come la vittima di un raptus di rabbia. Poi è uscito di casa, e probabilmente per smaltire quel raptus diagnosticato così perfettamente descritto dal gup, è andato in pasticceria a comprarsi dei babà, che gli avranno di sicuro fatto bene al sistema nervoso, scosso dalla «deflagrazione emotiva», e ha giocato alle slot machine vincendo pure 70 euro.

E’ rientrato a casa, convinto di essersi costruito un alibi. Ha chiamato la polizia e ha detto di aver trovato la moglie morta. Per fortuna, gli inquirenti non sono tutti dei fessi, come pensava lui, e non gli hanno creduto. Hanno cominciato a metterlo sotto torchio finché non è crollato. Motivo per cui adesso il suo avvocato difensore chiede pure le attenuanti: vista la benevolenza con cui è stato trattato, non costa niente provarci. In realtà, il delitto si inserisce in un quadro di rapporti burrascosi tra i coniugi, in cui la moglie svolgeva sempre il ruolo della vittima e lui - benissimo - quelllo del carnefice. La figlia Valentina aveva descritto nei particolari l’inferno di quella vita.

Al processo, però, il giudice ha evidentemente ritenuto di non tener conto di tutto questo, sostenuto anche da una decisione della Cassazione per un caso analogo, in cui rimarcavano come l’aggravante della crudeltà si evincerebbe solo «dall’utilizzo di un metodo omicidiario eccedente il limite di quanto necessario e sufficiente a cagionare l’evento illecito voluto, e perciò in grado di produrre alla vittima patimenti e sofferenze ulteriori non connesse a quanto strettamente attiene all’esecuzione del crimine, bensì dovute a una particolare cruenza e a un sadismo che giustificano l’aumento della pena». Fatemi capire: la quantità, cioé le 29 coltellate, non sono sintomo di «particolare cruenza», e rientrano nei «limiti della proporzione atta a raggiungere l’esito criminoso voluto»?

A noi che siamo solo dei profani tutto questo sembra assurdo. Ma la cosa che colpisce di più è che ci sono momenti particolari, che meritano attenzioni diverse dal solito, e oggi il femminicidio è una emergenza che richiederebbe un impegno forte da parte di tutti. Non si può prendere sottogamba questa sentenza. Ci rendiamo conto che il ministro della Giustizia ha cose per lui più importanti da fare, con il voto alle porte. E non sappiamo nemmeno se rientri nelle sue competenze un qualsiasi tipo di intervento in merito. Non ci illudiamo, anche se vorremmo che almeno in Parlamento qualcuno esprimesse il suo scandalo. A volte, abbiamo di fronte noi solo la realtà, più cruda e becera. Possiamo fare i conti solo con lei. Ma questo è davvero un Paese senza speranza?   

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, giornalista e scrittore   
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