[L’analisi] Non chiamatelo folle, il piano di Traini era lucido ed organizzato. E vi spiego perché
Il gesto di un folle? No, il raid terroristico di Macerata è stata un'azione lucida e ben organizzata. Al di là dei problemi personali, Luca Traini è riuscito a realizzare quanto hanno invocato, in questi giorni della rabbia per l'atroce delitto di Pamela, migliaia di haters scatenati nei social network
Non si è fatto a tempo ad avviare il dibattito sul tasso di follia di Luca Traini, il responsabile del raid razzista di Macerata, che era già pronta la diagnosi: soggetto border line. A offrircela lo psichiatra che l'ha incontrato in questi ultimi mesi, per lui segnati da un groviglio di vicissitudini personali e difficoltà familiari. Ma se si resta ai fatti, al loro furibondo incalzare nella mattina di un giorno da cani che ha sconvolto la non più tranquilla città di Macerata, dobbiamo avere il coraggio intellettuale di riconoscere che, invece, ci troviamo in presenza di un criminale lucido, organizzato, controllato, capace di costruire una narrazione organica. Certo, è comprensibile la prudenza, la malcelata paura che a evocare la parola maledetta in qualche modo si concorra a rendere reale il ritorno sulla scena del terrorismo interno. Intanto proviamo a scomporre, nei suoi singoli elementi, l'equazione ben riuscita. A cominciare dalla scelta dei tempi e dei luoghi.
La scelta dei tempi dei luoghi
L'inferno è cominciato intorno alle 11, mentre decine di giornalisti, provenienti da tutt'Italia, affollavano il tribunale, in caccia di notizie sul macellaio di Pamela, lo spacciatore nigeriano che ha letteralmente fatto a pezzi la ragazzina romana scappata dalla comunità di recupero. Quale occasione migliore, quindi, per "passare all'atto", per realizzare quella vendetta che in migliaia hanno invocato ed evocato nei social network e nelle discussioni da bar, in questi giorni dell'orrore e della rabbia per l'atroce delitto. Un popolo di haters che ama scambiarsi, come un tempo le figurine dei calciatori, l'ultimo meme contro la presidentessa Boldrini: ieri un invito allo stupro da parte di un nigeriano.
L'inferno si è consumato nell'area attorno alla stazione, dove si concentrano gli immigrati africani, unici bersagli della rappresaglia, nella strada stessa dove abitava il “macellaio”. Un attacco in piena regola, portato in territorio nemico, un “mordi e fuggi” da manuale della guerriglia del XX secolo. E non deve disorientarci il carattere non selettivo della sparatoria. Che cosa fanno, infatti, i giovani camorristi delle “paranze dei bambini” quando organizzano una “stesa” se non sparare indiscriminatamente su una folla colpevole soltanto di abitare in un quartiere controllato dai loro nemici?
Il rituale della resa
L'inferno è finito con un rituale chiaro ed efficace. Per arrendersi alle forze dell'ordine Traini ha scelto il luogo simbolicamente più denso per un patriota fanatico: il monumento ai caduti. E quindi prima di consegnarsi ha posato l'arma, si è avvolto nella bandiera italiana e ha rivolto alla gente il saluto romano. Un gesto controverso ma carico di significati: la sua fissazione ad usarlo sempre gli era costato, qualche mese fa, l'allontanamento dalla palestra che frequentava. Un modo semplice e immediato di dichiarare la propria identità politica. Una identità rafforzata dal tatuaggio (ruotato di 90°) che si è fatto sulla fronte: quelle due rune intrecciate nel “dente del lupo” sono state alla fine degli anni Settanta il simbolo di Terza posizione, il gruppo della destra radicale disciolto con decine di arresti dopo la strage di Bologna ma rimasto nell'immaginario neofascista un riferimento più mitologico che politico.
Le domande sbagliate
E proprio alla platealità del gesto si aggrappano ora tutti i razzisti e gli xenofobi che hanno paura di rispecchiarsi nella sua azione, per riconoscerne la matrice comune con i loro cattivi pensieri. I soliti ragionamenti cospirativi e complottisti (come mai non ha ucciso nessuno? Perché avendo due caricatori si è arreso?), le domande diversive che si ripetono da 40 anni (chi lo paga? Chi lo ha mandato? Perché proprio all'apertura della campagna elettorale?). Quando invece l'unica domanda seria da porsi è quanto consenso raccoglie nel Paese profondo il raid terroristico di ieri, riconoscendo in Luca Traini l'avatar del Duce che si reincarna nel film “Sono tornato”, personaggio macchiettistico ma in sintonia con la ggggente.
Cosa pensa la gente?
Da questa fiera dell'autoinganno si distacca Maurizio Murelli, lunghi anni di carcere negli anni 70 per concorso in omicidio di un poliziotto, oggi editore e intellettuale di riferimento di un'area significativa della destra radicale: “Vogliamo dire qualcosa di politicamente scorretto ma che probabilmente si avvicina al vero? Costui che, presentatosi alle elezioni amministrative con la Lega ha preso zero voti, si presentasse oggi alle elezioni, avrebbe percentuali bulgare. Senza entrare nel merito, senza esprimere giudizi, molto semplicemente è così. Davanti a un microfono o al taccuino di un pennivendolo, chiunque si declinerebbe come antirazzista sconcertato. Poi, nel chiuso della propria casa prende una birra, la stappa e brinda. A questo si è arrivati. Piaccia o non piaccia il "popolino votante" se potesse dire quel che pensa lo eleggerebbe a eroe nazionale”. Una prospettiva spaventosa.