La "maestrina" di Corleone che gestisce il tesoro di Riina
Pochi giorni fa il sequestro da parte dei Ros di immobili, terreni e conti bancari per oltre un milione e mezzo di euro: è solo una parte del patrimonio sommerso di Totò Riina. A gestire gli affari del marito in carcere è Ninetta Bagarella.

Ninetta Bagarella porta gli occhiali con montatura leggera ed i capelli corti ben acconciati. Il viso, appena più pieno di quello che la ritrae vestita da sposa, negli anni '70, accanto all'uomo con cui condividerà una latitanza di oltre 20 anni. I giornali la chiamarono allora "la maestrina di Corleone" e a vederla, la vedova di Totò Riina sembra ancora una donna così: normale, verrebbe da dire. Ma così non è perché la moglie del "capo dei capi", ormai morto, a dispetto del suo profilo defilato, in realtà ha avuto ed ha ancora un ruolo strategico di primo piano negli affari della famiglia mafiosa. Con il marito, deceduto stanotte, il fratello sotto 41 bis, e coi due figli maschi chi in carcere e chi lontano dalla Sicilia, è toccato a lei gestire il consistente patrimonio familiare. Un "tesoretto" fatto di immobili, terreni, denari, che pur eroso negli anni da controlli, sequestri e confische rimane in gran parte intatto, protetto da prestanome e intestazioni fittizie.
Una parte di questo immenso patrimonio sommerso è venuto a galla pochi mesi fa, quando i Ros sotto la guida del generale Giuseppe Governale hanno messo i sigilli a tre società, alla storica villa di Mazara del Vallo, a 38 intestazioni bancarie e per finire ad 84 ettari di terreni ufficialmente di proprietà della mensa arcivescovile di Monreale e della parrocchia di Santa Maria del Rosario: in totale, un valore di oltre un milione e mezzo di euro. Grande stupore negli uffici del vescovo Monsignor Pennisi, totalmente estraneo alla vicenda e nominato dal Papa proprio nella commissione per la scomunica di mafiosi e corrotti dopo aver detto basta un anno fa, all'usanza delle processioni con "inchino" davanti alla casa dei Riina.
Quanto venuto a galla però dimostra la pervasività e la continuità del potere nelle mani della famiglia corleonese. Un potere coltivato nella discrezione fino a ieri, dopo la stagione insanguinata delle guerre di mafia e quella delle stragi, che aveva portato alla decapitazione dei vertici mafiosi aprendo le porte del carcere a vita per molti di loro, Riina compreso.
Ancora pochi mesi fa, a colloquio con la moglie Ninetta, Riina ribadiva di non essere pentito e di non avere alcuna intenzione di collaborare con la giustizia. "Potessero darmi anche tremila anni, non trenta. Io sono Salvatore Riina e questo resterò nella storia". Una posizione chiara, lucida, che per i magistrati chiamati ad esaminare l'istanza di scarcerazione "per motivi di salute" era sembrata sufficiente a stabilire la capacità di intendere e di volere del detenuto, la sua immutata attitudine criminale e soprattutto il suo ruolo di comando, mai venuto a cessare e trasmesso attraverso i propri congiunti (prima di tutto la moglie Ninetta) ai collaboratori e alla vasta rete di contiguità nel territorio.