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Telecamere puntate sulla strada, per la Cassazione è lecito per proteggere la propria casa

Assolti due proprietari di appartamenti condannati inizialmente a 6 mesi di reclusione per "violenza privata": avevano installato telecamere a snodo e telecomandabili su zone e aree aperte al pubblico transito

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Telecamere puntate sulla strada, per la Cassazione è lecito per proteggere la propria casa

Via libera alle telecamere installate sulle mura perimetrali esterne di palazzi e singole abitazioni, e puntate a riprendere quello che accade nella pubblica via: i cittadini che le posizionano per tutelare la sicurezza dei loro beni, propria e dei familiari, non commettono alcun reato nei confronti delle altre persone che vivono o lavorano nella stessa strada. Per essere a posto con la legge, sottolinea la Cassazione, basta che appositi cartelli avvisino della presenza del sistema di videoripresa. I supremi giudici hanno infatti assolto con la formula "perché il fatto non sussiste", due proprietari di diversi appartamenti di uno stabile a Chieti, condannati a sei mesi di reclusione per "violenza privata", che avevano installato telecamere "a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora orientate su zone e aree aperte al pubblico transito".

Assolti due proprietari di casa

Secondo la Corte di Appello dell'Aquila, gli abitanti della zona, in particolare quelli costituitisi parte civile, erano costretti "a tollerare di essere costantemente controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti". Le riprese venivano utilizzate dai due padroni di casa "per rimarcare la commissione di illeciti" che poi denunciavano "alle competenti autorità di sicurezza". In particolare, Mario P. e Sergio M. - questi i due imputati accusati di aver a forza violato la riservatezza dei vicini - segnalavano chi non raccoglieva le deiezioni del cane, posteggi fuori posto, laboratori maleodoranti, schiamazzi.

La sentenza

Per la Cassazione, - verdetto 20270 -, "l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce un'attività in sé illecita". Ad avviso degli 'ermellini', "neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento delle abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti (con l'individuare percorsi alternativi per rientrare a casa e sottrarsi alle riprese)", il reato di violenza privata "trattandosi di condizionamenti minimi indotti" dalla videosorveglianza. E tali, comunque, "da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione".

I perché della decisione

In questa vicenda, secondo i supremi giudici, c'è "il bilanciamento tra il valore fondamentale della libertà individuale, e altri, come quello della sicurezza, parimenti presidiati". Per la Cassazione, è sufficiente che "chiunque installi un sistema di videosorveglianza" provveda "a segnalarne la presenza" in modo che gli altri ne siano informati "prima di entrare nel raggio d'azione" delle telecamere. Quanto alle segnalazioni che i due facevano alla polizia, si tratta di "un uso strumentale o molesto delle immagini catturate dalle telecamere, attuato successivamente a tale azione e, dunque, estraneo alla violenza privata".

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