Il dramma sulla strada in Sardegna e ora la maratona di New York con gli "angeli" dell’ospedale
Dopo un terribile incidente, Luca Borsetti ha rischiato l'amputazione di una gamba. Ma lui, atleta indomito, non si vuole fermare. Correrà con medici e infermieri

Una giornata di lavoro come tante, in viaggio per incontrare dei clienti. L’asfalto veloce sotto le ruote, il pensiero rivolto alle scarpe da corsa da indossare appena tornato a casa e agli allenamenti in vista delle prossime gare di triathlon in primavera. Poi quell’auto, capovolta sulla mezzeria davanti a lui, e la decisione immediata di accostare nella corsia d’emergenza per tentare di prestare soccorso. Luca ancora non sa che quelle gare non le potrà più disputare, e che la sua sfida di lì a breve diventerà un’altra, molto più importante: quella per il ritorno alla vita.
E’ il 13 dicembre 2018 quando Luca Borsetti, agente di commercio di 44 anni, viene travolto da un furgone impazzito mentre a bordo strada tenta di indicare alle vetture in transito l’incidente appena avvenuto all’altezza di Budoni, poco sotto Olbia. Insieme a lui rimangono a terra altre due persone, gli occupanti di una Opel corsa che a sua volta sia era fermata lungo strada a dare una mano. Le condizioni di Borsetti appaiono subito disperate, con il bacino disassato ed una gamba incastrata fra il furgone ed il muro che delimita la strada. “Non ricordo l’attimo dell’impatto, solo qualche flash prima del buio. Fra le immagini che conservo, ci sono quelle due telefonate, a mio padre e a mia moglie, per avvisarli che non sarei tornato a casa. Con quali forze sia riuscito a farlo, non lo so”. Borsetti viene trasportato in elisoccorso ormai privo di sensi presso le grandi emergenze a Olbia, dove la prima diagnosi è impietosa: amputazione della gamba. Ma data la presenza di lesioni gravissime al bacino e all’ileo, si opta per il trasferimento a Sassari, presso l’Ospedale Santissima Annunziata.
Alla maratona di New York con gli “Angeli” dell’ospedale
“E’ stata la mia fortuna”, ricorda ora Borsetti, dopo quattro mesi d’ospedale e 7 operazioni di ricostruzione che gli hanno consentito di conservare l’arto e di rialzarsi pian piano dal letto, cosa all’inizio per nulla scontata. “Ho tutta la parte sinistra del corpo rovinata, un buco all’ileo, una cicatrice che parte dall’ inguine e finisce dietro la schiena con una placca annessa, quattro fratture di cui una scomposta al bacino, un dito storto. E poi c’è la gamba in trazione da mettere a posto, mancano nove centimetri di osso”. Insomma, quella di Luca sembra una storia come tante, difficile ma a lieto fine. “Beh no, non ancora”, commenta lui seduto in poltrona con accanto le stampelle ed il fido cagnolino Spike, che non lo perde mai di vista. “C’è ancora tanta strada da fare, per questo preferisco parlare di una storia dal finale ancora aperto. Certamente però è una storia di buona sanità, di rapporti umani veri e di ritorno alla vita. Per questo, anche se i medici mi hanno già detto che non tornerò a correre, io ho deciso che il mio prossimo obiettivo sarà indossare nuovamente le scarpette da corsa per prepararmi alla maratona di New York. So che non sarà facile e so che non sarà mai più come prima, ma so anche che non sarò solo. Con me ci sarà una rappresentanza degli “angeli” del reparto di Ortopedia del Santissima Annunziata: medici, infermieri e personale paramedico, con cui ho condiviso i lunghi mesi d’ospedale. Persone splendide, che mi hanno accolto e che hanno accompagnato con grande umanità il mio ritorno alla vita”.
L’amore per lo sport che insegna a ripartire
“Ho compiuto i miei 45 anni il 20 dicembre, in rianimazione. La prima cosa che ho chiesto, quando ho aperto gli occhi, è stata quali pantaloni potessi mettere dato che avevo un fissatore alla gamba. Me lo ha raccontato mia moglie. Da lì a poco mi sarei reso conto che mi era cambiato il mondo. Per uno sportivo come me è stata dura passare dalle due ore di corsa al giorno all’immobilità del letto. Avevo appena disputato una gara di Triathlon in Svizzera e a fine novembre la maratona di Valencia. Il 2018 era stato un anno di grandi soddisfazioni sportive, con l’exploit sulle medie e lunghe distanze nel Thriatlon prima con il mezzo Iron in 70.3 miglia, poi con l’Iron Man a Copenaghen il 19 agosto: 225 chilometri di cui tre a nuoto e 180 in bici, tutto da solo. Avevo partecipato pochi mesi prima alla maratona di Milano ed ero intenzionato a correre nell’aprile 2019 al prossimo Iron full distance di Klagenfurt, in Austria. L’amore per la corsa era nato improvvisamente, tredici anni prima, in seguito ad una frattura ad una gamba. Nel 2006 avevo partecipato alla prima maratona di New York. Una passione amatoriale, condivisa con gli amici, che è diventata man mano disciplina di vita e vera e propria forma mentale. Questo atteggiamento positivo mi ha aiutato molto anche durante i lunghi mesi in corsia. Ho capito subito che lamentarsi non sarebbe servito a nulla e che ne sarei uscito solo se, proprio come nello sport, mi fossi prefissato un nuovo obiettivo: ricominciare a camminare. Era una nuova sfida, un nuovo allenamento, in orizzontale anziché in verticale e tutto dentro la testa”.
Il ruolo dei medici per la rinascita
In questo allenamento per la vita, medici ed infermieri diventano per Luca i “compagni di squadra” che lo accompagneranno nelle tappe più importanti della sua sfida: a partire dal dottor Pietro Solinas, il “virtuoso” del bisturi che per primo interviene sulla gamba malconcia ripristinando una vascolarizzazione compromessa, coadiuvato dall’equipe delle Grandi Ustioni per il reintegro della copertura epiteliare, al dottor Francesco Cudoni, primario del reparto, che interviene sul bacino. Viene infine chiesta una collaborazione al Mioa, Centro specialistico Malattie infettive e Ortopedia di Albenga per l’installazione dell’ “Ilizarov”, l'estensore che tutt’ora ingabbia la gamba di Luca e che in alcuni mesi dovrebbe restituirgli un’ arto con un osso perfettamente allungato e calcificato.
“Sono loro i miei compagni di avventura, per questo vorrei portarli tutti con me alla prossima Maratona di New York, anche fosse solo zoppicando” dice ora Luca, sorridendo. E’ un auspicio “un fioretto”, lo definisce lui, consapevole di quanto lavoro lo attenda ancora.
L’amicizia in corsia e quella sorpresa speciale
Non è stato facile passare i primi settantacinque giorni in un letto, ma la sfida di Luca è diventata ben presto quella di tutto il reparto di Ortopedia di Sassari. “Inizialmente potevo fare ben poco: leggere l’ipad, guardare un po’ di tv, riposare. Cercavo di crearmi delle piccole zone di comfort nelle piccole cose. A volte bastava il tepore del letto, un sorriso, due parole sul calcio scambiate coi medici o con gli infermieri”. Casualità fortuite, o forse piccoli segni del destino, come quei saluti portati da parte di un amico anestesista smontato dal turno in elisoccorso appena poche ore prima dell’incidente. O quello sfottò bonario sulle opposte fedi calcistiche che dall’iniziale diffidenza lo porta a stringere una fraterna amicizia con l’infermiere tifoso della locale squadra della Torres. E quel sushi su ordinazione, un piccolo strappo alla regola concesso nella notte di Capodanno al paziente a cui tutti imparano presto a voler bene. Lui, così caparbio ed ottimista, sempre attento a mantenere una dieta sana e leggera, che appena possibile si fa portare in camera elettrostimolatore e pesetti, per cercare di non perdere tono muscolare. “Non mi sono mai chiesto perché a me. Anzi, il più delle volte però ero io che davo conforto ai miei compagni di stanza, ne ho visti passare tanti nel letto accanto al mio”.
La vita in ospedale
La routine in ospedale è difficile, agli inizi. Le somministrazioni di medicinali iniziano alle sei del mattino e nonostante le tante attenzioni intorno a Luca durante la notte non c’è mai silenzio assoluto: qualcuno si lamenta, qualcun altro viene ricoverato d’urgenza. E’ la prassi. La mancanza di autosufficienza totale, anche per i bisogni essenziali, può essere fonte di imbarazzo. Ma Luca si affida totalmente al personale che lo prende in cura. “Sapevo di essere in mano a dei professionisti, e che questo era un lavoro da fare in squadra”. Grazie al suo ottimismo e alla forza di volontà, Luca riesce pian piano ad infrangere il muro invisibile che normalmente separa il rapporto medico-paziente. E così, da grande traumatizzato, diventa la mascotte del reparto. Tanto che un bel giorno a fargli visita in camera arriva tutta la squadra della Torres, per uno speciale in bocca a lupo al “campione” che non si arrende mai e che nella forza della propria umanità ha trovato la spinta per risalire. “Mi sono detto: ok, è una strada obbligata. L’obiettivo è uscire da questa impasse e riprendermi la mia vita, tassello per tassello, alla riconquista della normalità”.
Poi un bel giorno arriva finalmente il momento di alzarsi dal letto. Il senso di questa avventura umana è tutto nelle parole di augurio rivolte a Luca dai camici verdi del reparto: “ A presto campione, sei stato un paziente speciale”. Chissà se davvero lo taglieranno, mano per mano, il traguardo della Grande Mela.