Spiagge italiane: sempre meno libere e sempre più inquinate. Le zone più a rischio e l’allarme di Legambiente
Secondo il report 2019 dell’associazione ambientalista meno del 50% degli arenili è free e in certe regioni si arriva al 30%. Concessioni, cemento ed abusi. Le zone inquinate e i dati di Goletta verde. La scheda
Suscita preoccupazione il rapporto di Legambiente sulle spiagge italiane. Nel viaggio lungo gli arenili della penisola l’organizzazione ambientalista scatta una foto sulla situazione e i pericoli imperanti sulle coste del nostro Paese, elencando dati e snocciolando casi emblematici.
Ne viene fuori una realtà dove la percentuale di spiagge libere si attesta sotto il 50 per cento, con punte estreme in Emilia Romagna e Liguria dove solo il 30 per cento del litorale risulterebbe libero. Circa il 10 per cento delle nostre coste, inoltre, è interdetto alla balneazione per inquinamento. La situazione insomma non è rosea, e Legambiente lancia un appello prima che sia troppo tardi: “Inquinamento, erosione costiera e cambiamenti climatici sono i nuovi grandi nemici da combattere. Ragioniamo insieme sul futuro delle nostre spiagge mettendo al centro qualità, accessibilità, sostenibilità e cura del territorio”.
Il report
Stando al Report spiagge 2019 dell’associazione ambientalista, l’Italia è caratterizzata da ben 3.346 km di coste sabbiose, ma gli arenili liberi stanno diventando in pratica una chimera. Inoltre – si legge nella nota stampa dell’organizzazione verde - quelli presenti sono per lo più di serie B e situate in prossimità delle foci dei fiumi, di fossi o fognature dove la balneazione è vietata.
A ciò deve aggiungersi che i cambiamenti climatici, l’erosione e il cemento selvaggio, l’inquinamento, l’accessibilità negata e le concessioni senza controlli, contribuiscono a delineare uno scenario sempre più inquietante. Va detto che ultimamente sui litorali tricolore si è sviluppato, allo stesso tempo, un certo fermento green interessato in misura crescente a sostenibilità ambientale, impegno plastic-free e difesa della biodiversità.
I casi eclatanti
Questo non può far dimenticare tuttavia che in certi casi sono stati segnalati dei veri e propri abusi, come ad Ostia o Pozzuoli dove muri e barriere impedirebbero addirittura la vista e l’accesso al mare, oppure nel Salento, dove delle dune sarebbero state sbancate per realizzare parcheggi e fare spazio a stabilimenti balneari.
Come si accennava in precedenza, inoltre, il dieci per cento delle coste è vietato alla balneazione a causa dell’inquinamento. In Veneto questo destino colpirebbe un quarto della costa, mentre in Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Lazio l’inibizione riguarderebbe il 10 per cento del litorale.
La spiaggia libera e balneabile
Considerando che un ulteriore 9,5 per cento delle coste non è comunque fruibile, se ne deduce che complessivamente – in sostanza – la spiaggia libera e balneabile nel nostro Paese si riduce mediamente al 40 per cento. La situazione sarebbe ancor più marcata in Emilia-Romagna, Campania, Marche e Liguria, dove diventerebbe ancora più difficile trovare spiagge al contempo libere e balneabili.
Zanchini: "Serve dibattito"
Lo sforzo di Legambiente è allora quello di far chiarezza e proporre soluzioni per il futuro. Come sostiene Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale dell’organizzazione ambientalista, il dossier vuole “contribuire a costruire un dibattito sullo stato di salute delle coste italiane all’altezza delle sfide che avremo di fronte nei prossimi anni”.
C’è tuttavia un errore da evitare: “Quello di continuare ad affrontare gli argomenti separatamente, inseguendo la cronaca nel periodo estivo dei danni da cicloni o erosione, di spiagge libere e in concessione , con le polemiche sui canoni e sulla famigerata Direttiva Bolkestein (direttiva dell’Unione Europea - la 2006/123/CE - che riguarda i servizi nel mercato europeo comune), dell’inquinamento dei tratti di costa. Il paradosso, da cui dobbiamo assolutamente uscire, è che nel nostro Paese nessuno si occupa di coste”. Una carenza che non possiamo più consentirci in una prospettiva climatica come quella che si sta delineando, perché “gli 8mila chilometri di aree costiere italiane – con il sistema di porti, città e aree protette, rocce e spiagge – sono già oggi una straordinaria risorsa in chiave turistica che potrebbe rafforzarsi e allargarsi costruendo un’offerta sempre più qualificata, integrata e diversificata anche come aree e stagionalità”. Esiste quindi anche una prospettiva di sviluppo economico ed occupazionale, a patto di fare i passi adeguati e porre i tasselli giusti.
Nel nostro Paese del resto non esiste neppure una legge che stabilisca la percentuale massima di spiagge da dare in concessione, e la scelta viene demandata alle Regioni. Di conseguenza ci sono realtà che esagerano ed altre che si rivelano più virtuose. La puglia, per esempio, ha stabilito da oltre 13 anni il principio del diritto di accesso al mare per tutti e fissa una percentuale di spiagge libere del 60%. La Sardegna a sua volta ha disciplinato l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo destinato ad uso turistico-ricreativo, attraverso le “Linee guida per la predisposizione del Piano di utilizzo dei litorali” con la Deliberazione G.R. 12/8 del 5/3/2013 e la Deliberazione G.R. 10/5 del 21/2/2017.
Venneri: "Ragionare sulla valorizzazione"
“Quando si parla di spiagge e concessioni – aggiunge Sebastiano Venneri, responsabile mare di Legambiente – non si dovrebbe parlare solo di Bolkestein come si fa in Italia. Si dovrebbe invece cominciare a ragionare su come valorizzare queste straordinarie potenzialità e come affrontare i problemi trovando soluzioni innovative, come fanno già molti Paesi europei dove si è scelto di premiare le imprese locali che scommettono sulla qualità e, al contempo, garantire che una parte maggioritaria delle spiagge sia lasciata alla libera fruizione”.
I nostri mari e i nostri laghi "continuano a subire continui assalti, primo fra tutti quelli della mancata depurazione – dichiara a sua volta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – Le opere necessarie per il completamento della rete fognaria e di depurazione delle acque reflue sono una priorità per dare il via a quella grande opera pubblica di cui non si parla mai in Italia".
Goletta verde
Un altro rischio da considerare è quello della mancanza o cattivo funzionamento dei depuratori. Proprio in questi giorni Goletta Verde ha fornito il resoconto annuale del proprio monitoraggio delle coste, e non c’è da stare allegri. Mare e laghi italiani non stanno bene, al punto che, stando ai dati raccolti, risulterebbe inquinato più di 1 punto ogni 3 sia lungo le coste dei mari che dei laghi. Sotto la lente dell’associazione anche la lotta ai rifiuti marini: monitorati quelli galleggianti in mare e le microplastiche nei laghi. Anche nel mare italiano galleggia purtroppo la plastica: il 40% è usa e getta.
Sono stati 262 i punti di campionamento e molto spesso è stata rilevata una forte criticità con valori di inquinanti oltre i limiti di legge.
La Sardegna registra anche quest’anno la situazione migliore e si distingue nettamente con solo 5 stati critici rilevati in corrispondenza di foci di fiumi, fossi e canali, pari al 17% dei campioni, una ogni 345 km di costa. Per Legambiente Sardegna si tratta di “una situazione molto positiva da migliorare costantemente, con l’obiettivo di azzerare le residue criticità nella depurazione nei prossimi anni. Proprio nell’ottica del miglioramento continuo i 5 punti critici saranno segnalati alle amministrazioni comunali e agli enti competenti, per chiedere approfondimenti e interventi sugli scarichi inquinanti, che costituiscono una minaccia per il mare e i corsi d’acqua, la salute dei bagnanti e la biodiversità”. Bene anche Puglia, Marche e Abruzzo.
La situazione si sarebbe confermata preoccupante in molte regioni meridionali, con Sicilia, Campania e Calabria in evidenza. Qui persisterebbero problematiche storiche legate alla mancanza di impianti di depurazione. La situazione non è migliore sui laghi italiani, dove Goletta dei laghi ha accertato criticità equivalenti a quelle dei mari: un punto su tre rispetto agli 83 monitorati in 19 laghi italiani.
Eppure questa carenza costa all’Italia decine di milioni ogni anno, perché dobbiamo pagare multe salate alla Unione Europea. Sarebbe molto meglio investire i soldi dei cittadini “nella più grande opera pubblica che serve al Paese”.