"Casalese" è un insulto, lo dice la Cassazione. Ma i giudici sono ignoranti, hanno letto solo il libro di Saviano
"Sembri un casalese" diventa un insulto: condanna per diffamazione a chi lo ha usato. Ma a offendere davvero è proprio il marchio
Ci sono parole che evocano immagini, e immagini che inchiodano il destino, e destini che sembrano scritti, come parole. Prendete, ad esempio, gli abitanti di Casal di Principe. Un tempo erano figli di una terra nobile. Il casale del principe, appunto. Patria di re. Quella Campania felix tra Napoli e Caserta che dava frutti, terra fertile, clima mirabile, aria e vento buoni da ristorare i principi. Poi è diventata terra di cemento, di rifiuti, di camorra, di morte. E così quel casale ha cancellato la parola principe e si è inventata quella di casalese.
Basta la parola
Casalese, basta la parola. Lo dice anche la Cassazione, oggi, con una sentenza che conferma una condanna per una persona che aveva usato casalese come insulto. Si tratta di diffamazione. Dire a qualcuno che sembra un casalese significa offenderlo. Lo aveva fatto addirittura un consigliere comunale di un piccolo centro in provincia di Foggia. Durante la seduta pubblica della sua assemblea, si era alzato e aveva dipinto quel consesso come una sorta di Gomorra.
Sembra Gomorra
«Non vi nego - aveva detto il consigliere, secondo quanto riportato dal quotidiano Il Mattino - che oggi in questa sala consiliare, sembra di essere a Casal di Principe o in una di quelle cittadine descritte nel libro Gomorra di Roberto Saviano che vivono da sempre sotto il controllo della camorra; non vi nego che mi sento anche io come Roberto Saviano».
La denuncia
Sembra di essere casalesi, qui, dice il consigliere. Immediata da parte degli altri partecipanti scatta l'indignazione. Come ti permetti? Che stai dicendo? Qualcuno si offende così tanto che scrive un esposto. Denuncia per diffamazione. Noi come Casal di Principe? Non scherziamo. Noi come i casalesi? Non offendiamo. L'esposto procede, la denuncia va avanti, si arriva a processo.
La condanna
E qui c'è la sorpresa: quell’iperbole, immaginata probabilmente come espediente retorico, viene considerata dal giudice di primo grado come una diffamazione. No, non si può dare del casalese a qualcuno. Non si può dire a un Consiglio comunale che sembra come quello di Casal di Principe. Non si può dire che qui sembra Gomorra. La condanna viene confermata in Appello e, l'altro giorno, la Cassazione ha messo la parola fine. Condanna definitiva. Quell'affermazione è stata diffamatoria.
Scenari
A parte il paragone con Gomorra, che effettivamente - in mancanza di elementi certi - può risultare diffamatorio,evocando uno scenario di criminalità organizzata, affari, business sanguinari, quello che lascia perplessi è il fatto stesso di considerare l'appartenenza a un Comune come un elemento che configura una diffamazione. Dire che sembri un casalese, insomma, è un insulto. Dire che qui sembra di stare a Casal di Principe può offendere.
Terra di lavoro
Evidentemente chi procede a questo tipo di identificazione ignora la bellezza di quella che in Campania è conosciuta come Terra di lavoro, perchè storicamente luogo di fertilità e sudore, di colture e culture, di famiglie contadine, di zappa e vita. Qui fiorivano le civiltà, tra Cuma e il basso Lazio. Qui è nata la Magna Grecia, qui sono transitati imperatori romani in cerca di cure, qui hanno elevato dimora re e guerrieri, figure storiche che ad elencarle si impallidisce. Certo, se tutta la propria conoscenza si limite a un solo libro e a tutto l'etichettario che ne è conseguito, allora il problema non è Gomorra ma l'ignoranza.
Il peso di un marchio
Resta, però, indiscutibile il peso di un marchio. Quando su un luogo si struttura un’immagine, si forma quell’identificazione che è dura a morire. Quanto tempo ci vorrà per tirare via questa patina odiosa, questo colore nero, questo bisbiglio equivalente che sposta significati e carica su quella povera cittadina in provincia di Caserta, un peso troppo grande per le sue spalle? Un'assonanza spesso ingenerosa, grossolana, che non tiene conto delle mille angolature delle vicende e che nasconde un’insidiavera: che la parola, appunto, si faccia destino e che da quel destino non ci si riesca più ad affrancare. Se casalese diventa camorra, chi salverà più Casal di Principe e i suoi abitanti?