[Il ritratto] La seconda e inspiegabile vita di Antonio Ingroia. Accusato dai suoi ex colleghi di appropriazione indebita di denaro pubblico
Il nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo ha all'ex pm notificato un provvedimento di sequestro di beni per 150mila euro, l’equivalente di quanto avrebbe intascato illegittimamente, durante la sua attività di amministratore unico e di liquidatore della società. Soldi usati secondo l’accusa per i costosi alberghi: dal Grand hotel Villa Igiea, la storica residenza della Belle Epoque scelta da tanti sovrani per i loro soggiorni in Sicilia, all'Excelsior, al Centrale Palace hotel. E poi c’è la maxi-indennità di risultato da 117mila euro che Ingroia si è autoassegnato per tre mesi di lavoro
Le seconde vite sono come le seconde mogli (o i secondi mariti). Qualche volta sono peggio delle prime. Ma la seconda vita di Antonio Ingroia è semplicemente inspiegabile. I suoi ex colleghi di Palermo, con i quali aveva diviso lavoro e pericoli, lo hanno appena accusato di peculato, disponendo un sequestro di beni per 150 mila euro, l’equivalente di quanto avrebbe preso con la sua attività di amministratore unico di Sicilia e Servizi, società informatica della Regione, concedendosi pure un albergo a 5 stelle e lauti pranzi, contestati tutti dai magistrati.
Oggi Ingroia è avvocato a tempo pieno. E un suo cliente è il re delle scommesse Benedetto Bacchi, sospettato di collusione con la mafia, a proposito del quale, secondo Il Tempo e Libero, avrebbe detto che ha subito «pressioni e intimidazioni» come successe a «Silvio Berlusconi, che era vittima più che complice. E lo stesso discorso vale per Bacchi. Ci sono delle forti similitudini fra le vicende del primo e quella odierna del secondo». E’ vero che nel processo contro Berlusconi, accusato di dare soldi alla mafia, istruito proprio da Ingroia, fu lo stesso magistrato a chiedere poi l’archiviazione, perché «nessuno può essere condannato se non ci sono prove».
Resta il fatto, però, che anche se le frasi sono riportate fra virgolette, noi stentiamo a crederci. Antonio Ingroia, allievo prediletto di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giancarlo Caselli, ha avuto una carriera da predestinato della magistratura antimafia, che arrivò persino a prendersela con Pietro Grasso, perché su Andreotti e la trattativa Stato-mafia sarebbe stato «troppo cauto». Parlava per lui un curriculum eccezionale. Laureato con 110 e lode a Palermo, nel 1987 vinse il concorso, incominciando subito il suo tirocinio con Giovanni Falcone.
Nel 1989 fu trasferito a Marsala, a stretto contatto con Paolo Borsellino. Tre anni dopo tornò con lui a Palermo, selezionato nella Procura Distrettuale Antimafia. E’ lui che ha portato avanti il processo per concorso esterno mafioso a carico di Bruno Contrada e poi quello contro Marcello Dell’Utri. Punta di diamante della Procura Generale di Giancarlo Caselli, è stato sempre lui a istruire e avviare il processo sulla trattativa Stato-mafia.
Nel 2012 cominciò improvvisamente la sua seconda vita, quandò accettò l’incarico di presiedere una Commissione internazionale Onu in Guatemala sul traffico di droga, mollando tutto e lasciando il cerino acceso a Nino Di Matteo. Solo che dopo poche settimane con la stessa velocità rientrò in Italia per il lancio di Rivoluzione Civile, movimento politico bocciato sonoramente dagli elettori. Ancora: breve parentesi alla Procura di Aosta e decadenza dalla magistratura. Si riparte. E dice: «Nella mia seconda vita metterò a frutto gli errori della prima». Ma nella seconda vita salta in modo acrobatico da un incarico all’altro. E accetta l’offerta dell’allora governatore Rosario Crocetta ai vertici di Sicilia e Servizi.
Durante l’incarico internazionale in Guatemala, una volta, in collegamento tv su una rete Rai, dedicò per San Valentino una canzone a una donna della quale pronunciò solo il nome, Lia. Vittorio Sgarbi invece lo incontrò in aeroporto con un’altra signora e disse: «Quando ci siamo incrociati ho visto la sua nuova fidanzata. Straordinaria. Ovvio che avesse bisogno di alberghi e ristoranti di tono...». Lei si chiama Giselle Oberti, origini argentine, imprenditrice.
La seconda vita, però, non è solo questo. Accetta l’incarico di commissario provinciale a Trapani. E riprova con la politica, candidandosi nel 2018 con la lista del Popolo per la Costituzione, dopo aver fondato con Giulietto Chiesa «La mossa del Cavallo», e raccogliendo in tutto 685 voti, 0,2 per cento, penultimo della fila in basso. E quando i magistrati cominciano a indagare su Sicilia e Servizi dice che «sono vicende vecchie, ampiamente chiarite a suo tempo».
Quest’inchiesta servirà a «sgomberare il campo anche in sede giudiziaria da ogni equivoco, sospetto e maldicenza su una storia totalmente infondata». Secondo l’accusa, si sarebbe liquidato una sostanziosa sommetta con un bonus per aver raggiunto un obiettivo prefissato. Cioé, 117 mila euro. Nel 2013 gli utili della società sarebbero stati di 33mila euro. L’anno dopo 3,800mila. La società sarebbe poi finita sommersa nei debiti. «Non certo per la mia gestione», dice lui.
Oltre a quel bonus, gli contestano 34mila euro di rimborsi spese per i viaggi da Roma (sua attuale residenza) verso la Sicilia, con soggiorni negli alberghi più costosi, Excelsior e Centrale Palace hotel a 4 stelle, e il famoso Villa Igiea a cinque. Ma lui ha spiegato che le spese sono state fatte «sulla base di un regolamento che io per la prima volta ho introdotto». Vero.
Il 16 aprile 2014 nell’articolo 6, «tipologia e massimali di spese rimborsabili», il personale viene diviso su due gruppi, ovviamente secondo le indicazioni dello stesso Ingroia: il gruppo B (tutto il personale) non può viaggiare in aereo, può alloggiare solo in alberghi a tre stelle e può spendere al massimo 25 euro a pasto; il gruppo A (dirigenti) può pernottare al massimo in alberghi a quattro stelle e non consumare più di 65 euro a pasto (che è già un buon mangiare). E i 5 stelle, come Villa Igiea? Niente paura. C’è un’eccezione: «E’ ammesso limitatamente all’Amministratore Unico e al Direttore Generale il rimborso per categorie alberghiere superiori».
E allora? Dove sta l’inghippo? Non nei reati, che alla fine probabilmente saranno molto difficili da provare, ma nell’immagine che abbiamo di noi stessi, in quella sottile barriera che separa il nostro passato dal nostro futuro, ciò che credevamo di essere e quello che siamo diventati, uomini in balia della vita, prigionieri inutili delle cicatrici che hanno marchiato le nostre speranze, quando guardavamo la vita dalla finestra dei nostri ideali. Lui che persino parlando di calcio diceva di essere «un tifoso dell’Inter perchè siamo la squadra della legalità», che sognava un governo con «Travaglio all’informazione, Fiorella Mannoia alla cultura, un operaio al lavoro e un poliziotto agli interni», ha finito per essere come tutti gli altri. Bisogna stare attenti a parlare. Perché non sempre abbiamo solo una vita per raccontarci.