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Senza cittadinanza, vive in Italia da "integrata": una 31enne ottiene lo status di apolide. Di cosa di tratta e perché è un fatto eccezionale

Nata in Toscana da genitori bosniaci in fuga dalla guerra dei Balcani. Il giudice riconosce il "percorso premiante" e le concede il beneficio. In Italia sono 15mila gli apolidi ma solo poche centinaia hanno ottenuto il riconoscimento. Cosa significa non averlo? Emarginazione e pochi diritti

Antonella A. G. Loidi Antonella Loi   
Alcuni bambini in un campo Rom
Alcuni bambini in un campo Rom

Una storia particolare che racconta di un percorso di integrazione sociale che per il tribunale di Milano vale per acquisure lo status di apolide. Ma che dice tanto delle difficoltà oggettive nelle quali vive chi, in Italia e nel mondo, non può vantare l'appartenenza a uno Stato. La protagonista di questa vicenda è una donna di 31 anni che, nata in Italia da genitori bosniaci di etnia Rom, in fuga da Mostar negli anni '90 quando nella ex Jugoslavia infiammava la guerra, non ha mai posseduto alcuna cittadinanza. Il fatto che un giudice le abbia riconosciuto ufficialemente lo status resta caso  eccezionale, dato che ottenere questo particolare beneficio non è semplice e avviene raramente. L'essere apolide riconosciuto, in applicazione delle norme internazionali, consente di ottenere benifici come il permesso di soggiorno, l'istruzione, l'assistenza sanitaria e la pensione, così come l’accesso all’impiego e al rilascio di un titolo di viaggio per apolidi: tutti diritti previsti dalla Convenzione del 1954 sullo status delle persone apolidi, recepita dall'Italia.

Il beneficio per Erika, nome di fantasia, è arrivato a seguito di un lavoro congiunto dei servizi di assistenza sociale del Comune di Milano - il cui operatore incaricato del caso ha definito il percorso della donna "premiante" - e del giudice della sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, Pietro Caccialanza. 

Nata in Toscana, in Bosnia non ci è mai stata

Erika è nata in Toscana, dove i genitori si erano rifugiati e ha sempre vissuto in Italia. La mancanza di assegnazione della cittadinanza è dovuta principlamente alla nascita della donna in un periodo in cui la ex Jugoslavia si dissolveva e la neonata repubblica di Bosnia Erzegovina attraversava una difficile fase di assestamento. La 31enne peraltro in quel paese non ci è mai stata.

Dei suoi genitori ha praticamente perso le tracce. La madre si trova in un paesino della Germania e il padre - i due sono separati da circa 16 anni - non lo sente da almeno 8 anni. Nel fascicolo del suo caso, Erika dichiara di sentire pocola madre per telefono e di non sapere il nome del luogo dove vive. "L'ultima volta - ha dichiarato - l'ho sentita nel 2011, quando mi sono sposata con rito tradizionale". Oggi la 31enne è madre di 4 bambini e vive in un appartamento assegnato dal comune. Prima viveva in un campo rom nella periferia della città meneghina. I piccoli vanno a scuola e il marito è stato ed è in grado "di contribuire a sostenere in maniera dignitosa la famiglia attraverso una ormai costante dedizione al lavoro", è scritto nel fascicolo.

Insomma, il giudice ha potuto verificare la presenza di tutti i requisiti per il riconoscimento, compreso il fatto che l'ambasciata della Bosnia Erzegovina non ha mai risposto in relazione alla sua cittadinanza nel Paese balcanico. Anche l'Italia non ha potuto conferirgliela perché non ci sono più i termini di legge. 

Gli apolidi non riconosciuti in Italia, persone dimenticate

Nel nostro Paese, secondo i dati dell'Unhcr, ci sono tra i 3.000 e 15mila apolidi. Ma solo qualche centinaio ha oggi ricevuto dallo Stato italiano lo status di apolide. Molti di loro in Italia appartengono a quello che per antonomasia è il "popolo senza stato", ovvero i Rom. Per le persone senza il riconoscimento, la legge italiana garantisce solo l'assistenza sanitaria e l'istruzione fino ai 18 anni. I diritti finiscono qui perché "i maggiorenni non possono iscriversi all’Università, non possono affittare una casa e non possono ovviamente lavorare se non in nero", sottolinea l'agenzia dell'Onu per i rifugiati. Nel mondo i senza cittadinanza, a rischio emarginazione, sono 10 milioni. 

Antonella A. G. Loidi Antonella Loi   
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