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[Il ritratto] La resurrezione di Scilipoti il peones che piace a Berlusconi. Per lui un posto in lista per Razzi no

Parlando poi di sé in terza persona: «Ritengo che nel dibattito politico Scilipoti abbia contribuito a fare qualcosa, in modo particolare quando si parla di crisi del Paese». Imbattibile. A capo di uno speciale dipartimento sulla criticità bancaria, in quanto grande esperto di tematiche finanziarie, alla giornalista che gli parlava di Standard & Poor’s, che aveva appena abbassato il rating dell’Italia, disse: «Non so che cos’è lo Standard & Poor’s, me lo spieghi lei»

Domenico Scilipoti
Domenico Scilipoti

Scilipoti sì, Razzi no. Ma perché? Le strade dei due peones, che salvarono il governo Berlusconi nel 2010 arrivando dalle file di Di Pietro, alla fine si sono divise. Per il secondo niente candidatura. Il primo è quarto di lista in Puglia, a Lecce. «Dice che a lui ci ha pensato il Signore», risponde Antonio Razzi. Quale signore? «Quello più in alto. Dio». E a lei invece? «A me credo che mi ha fatto fuori Tajani. Per il Venezuela. Lui è contro Maduro. Io sono per il dialogo perché bisogna tenere calmi questi Paesi, per la pace». Ma ha sentito Berlusconi? «Io l’ho chianato un mucchio di volte, e le sua segretaria mi diceva sempre adesso è occupato, la richiama appena può. Ma non l’ho mai sentito». Chi ha chiamato? Anche la Ronzulli? «Anche lei ce l’ha con me, la Lucia Ronzullo». Licia. «Sì, Lucia». Licia Ronzulli. «Non so. Io ho una faccia sola. Quando voleva il mio voto, Berlusconi mi chiamava tutti i giorni. Adesso invece che ho bisogno io, manco una volta».

Che cosa fa adesso? «Il pensionato. Però spero che quando fanno il governo si ricordino di me. Per un incarico che riguarda l’Asia. Io ho girato tutto il mondo e loro che hanno fatto?» Loro chi? Scilipoti? «Tutti. Io ho tenuto calma la Corea, dovevano darmi una medaglia. Adesso le Olimpiadi, crede che non ci sia il mio zampino?». Ma lei è andato ad Arcore quando facevano le liste? «Non sono il tipo, io. E poi ero sicuro. Ci sono rimasto male per il metodo. Non è il modo di fare». Perchè quelli che sono andati in processione qualcosa hanno ottenuto. Dicono che Rotondi è arrivato là che era fuori ed è uscito che era dentro. «Rotondi? Proprio lui l’hanno messo primo in Abruzzo... Comunque perderanno almeno l’uno per cento senza di me». Ah sì? «Sì. Mi telefonano in centinaia. Se non ci sei tu non votiamo Forza Italia». E lei? «Io gli dico, ma no, votate lo stesso. Sono uno per bene io». Niente più fatti li cazzi tua? «Ma no. Io andavo d’accordo con tutti, ero stimato, non capisco». E con Marina? «Ottimo rapporto. Ho fatto persino una foto con lei, mi diceva ormai è più famoso di mio padre». Pensa sia vero? «Per me Berlusconi era un grande. Certo che mi sono dato da fare molto per la pace nel mondo. Non sono mai stato fermo». E invece Scilipoti è stato fermissimo. E’ quasi sparito dai radar. «Da che? Sì sì...».

Però, si lamenta anche lui. In Puglia l’hanno messo quarto in lista: «Non è la candidatura che immaginavo, ma sono pronto a combattere. devo dire che per come sono state composte le liste, beh io le avrei fatte leggermente diverse. Berlusconi non ha colpe. Ma io le avrei fatte più attente al territorio». In goni caso, lui sì e Razzi no. «Ma cosa c’entro io con Razzi? Sono stato il più fedele di tutti, l’unico senatore di Forza Italia in Calabria rimasto dall’inizio alla fine della legislatura». Magari non amatissimo, va detto. Ma alla fine che importa? Dicono che Mario Borghezio dicesse pensando a lui: «In tutte le famiglie c’è qualche parente che ti sta un po’ sui coglioni». E matteo Salvini, molto più diretto: «Io sono cresciuto con Miglio che mi spiegava che pur di arrivare al federalismo si alleava anche con il diavolo. Scilipoti è leggermente meglio del diavolo e quindi mi accontento». Anche perché ormai il federalismo sembra un capitolo del passato nella nuova frontiera lepenista della Lega. Ma tutto cambia nella vita. E Domenico «Mimmo» Scilipoti, 61 anni, da Barcellona Pozzo di Gotto, medico ginecologo, ne è un fulgido esempio. Cresciuto nel Psdi, consigliere comunale e vicesindaco a Terme Vigliatore, in provincia di Messina, approdato nel 2000 nell’Italia dei Valori, con due tentativi per essere eletto al Senato andati male - 2001 e 2006 -, quando alla fine ci è riuscito ci ha messo due anni a fare il salto della quaglia finendo per salvare il traballante governo Berlusconi. Autore di otto libri, dei quali cinque tradotti addirittura in portoghese, alla faccia di quelli che ridono quando parla, come quella volta che fece un lungo discorso in Parlamento citando la Stepchild Association anziché la Stepchild Adoption, suscitando l’ilarità chiassosa di tutto l’emiciclo, Mimmo è uno che è abituato a sorprendere tutti. Il primo a restare sorpreso, chissà perché, fu Antonio Di Pietro, che ancora non si capacita del suo voltafaccia, visto che grazie a lui era pure un alto dirigente dell’Idv in Sicilia, segretario provinciale a Messina e vicesegretario regionale. Ma poi stupì anche gli osservatori e i giornalisti nel 2013, quando, sesto in lista in Calabria, riuscì a sorpassare tutti ed essere eletto. D’altro canto Scilipoti è Scilipoti, fondatore del scilipotismo, e autore di un altro famoso discorso in cui disse che Rita Levi Montalcini è una grande scienziata ma «a 101 anni io non so che contributo possa dare alla poltiica». Parlando poi di sé in terza persona: «Ritengo che nel dibattito politico Scilipoti abbia contribuito a fare qualcosa, in modo particolare quando si parla di crisi del Paese». Imbattibile.

A volte può sembrare un po’ distratto. A capo di uno speciale dipartimento sulla criticità bancaria, in quanto grande esperto di tematiche finanziarie, alla giornalista che gli parlava di Standard & Poor’s, che aveva appena abbassato il rating dell’Italia, disse: «Non so che cos’è lo Standard & Poor’s, me lo spieghi lei». Eppure, nonostante tutte le critiche e gli sberleffi, è rimasto in piedi quando Razzi è caduto, ha sorpassato tutti in Calabria quando lo davano per spacciato e adesso si appresta a fare lo stesso in Puglia. Scilipoti uber alles. A noi piace ridcordarlo nella sua performance migliore, quando il 30 maggio del 2012, parlò a lungo della Bce mentre dai seggi dell’emiciclo si guardavano fra di loro senza capire bene perché lo facesse. Peccato che all’ordine del giorno ci fosse la Ceb, Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa. Stiamo a guardar le pulci. 

 

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, giornalista e scrittore   
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