[L’analisi] Saviano indagato e Salvini potente ministro che vuole punire lo scrittore antimafia. Sbagliano entrambi
Dare del malavitoso, del mafioso a un ministro rientra nel diritto di critica? E, soprattutto, come viene interpretato anche all’estero il fatto che un potente ministro che garantisce la sicurezza nazionale, che ha a disposizione duecentomila uomini delle forze di polizia, che, insomma, è nei fatti un ministro di polizia, se la prenda con uno scrittore impegnato sul fronte della legalità, nella lotta contro le mafie?
Indagato per diffamazione. Lo scrittore Roberto Saviano rischia il processo per essere andato ben oltre il diritto di critica. Per aver detto che il segretario della Lega, il ministro dell’Interno Matteo Salvini è «il ministro di malavita»: «Le mafie minacciano, Salvini minaccia». Era la fine di giugno quando lo scrittore anticamorra su Facebook si era spinto a giudizi pesanti su Salvini. Che pochi giorni dopo, su carta intestata del Viminale aveva presentato una denuncia per diffamazione. Quelle affermazioni le ha ritenute «lesive della sua reputazione e del ministero dell’Interno».
Si passa alle carte legali
E ieri dalla Procura di Roma è filtrato il commento che la iscrizione di Saviano sul registro degli indagati per diffamazione era «un atto dovuto». Il ministro Salvini a chi gli chiedeva se avrebbe ritirato la denuncia ha risposto secco: «Non ci penso proprio. Ci mancherebbe altro. Un conto è la critica un conto è darmi del mafioso». Da parte sua, Roberto Saviano non intende indietreggiare, disposto ad andare a processo e finanche a essere condannato: «Affronterò la querela del ministro della malavita a testa alta. Dobbiamo mettere i nostri corpi a difesa della Costituzione e della libertà di pensiero. Non indietreggio di un passo nella critica al suo operato. Io non ho paura, non ne ho mai avuta».
Diritto di critica, e andare oltre i limiti
Il punto è esattamente questo: dare del malavitoso, del mafioso a un ministro rientra nel diritto di critica? E, soprattutto, come viene interpretato anche all’estero il fatto che un potente ministro che garantisce la sicurezza nazionale, che ha a disposizione duecentomila uomini delle forze di polizia, che, insomma, è nei fatti un ministro di polizia, se la prenda con uno scrittore impegnato sul fronte della legalità, nella lotta contro le mafie? Fu lo storico Gaetano Salvemini all’inizio del secolo scorso che parlò di «ministro della malavita» riferendosi alla violenza politica che caratterizzavano i governi Giolitti. Ed è fuori discussione che Saviano abbia deciso di “provocare” Salvini dopo che il ministro minacciò di far togliere la scorta allo scrittore di Gomorra.
Il ministro intimidatorio
Ora, non c’è dubbio che un Paese è malato quando un ministro del governo esercita un’azione intimidatoria, anzi doppiamente intimidatoria nei confronti di un simbolo della lotta antimafia. Doppiamente perché intanto non spetta a lui decidere chi debba avere la scorta e chi no. È il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto della città dove vive il “soggetto minacciato” a discutere e a decidere se quel soggettto ha diritto a una protezione.
C’è poi al Viminale una struttura “tecnica” che vaglia le proproste e decide. Insomma, la scorta sicuramente nasce non da una valutazione politica ma da una minaccia concreta.
A duello
Che poi, attraverso la denuncia alla polizia, Salvini esercita un’altra azione intimidatoria è evidente. La saggezza, che non sembra essere una virtù del ministro, avrebbe consigliato di aspettare la fine del mandato di ministro per presentare una denuncia risarcitoria in sede civile. Ma il segretario della Lega ha detto chiaramente che le critiche di Saviano hanno sconfinato, sono lesive della sua reputazione e del ministro dell’Interno. Fosse un ministro silenzioso, come dovrebbe essere quello dell’Interno, nulla questio. Ma appena insediato al Viminale, Salvini è partito lancia in resta contro i Rom. Affermazioni che per il leader di Liberi e Uguali, Roberto Speranza, è incitamento all’odio razziale, tanto che ha presentato una denuncia alla magistratura. Salvini, infatti, aveva annunciato un dossieraggio contro i Rom, sperando di cacciarli tutti anche se «purtroppo dovremo tenerci gli italiani».
Se lo Stato di diritto diventa Stato di polizia
Un ministro di polizia (un suo predecessore, Beppe Pisanu, amava dichiararsi “ministro di polizia e dei diritti civili”), che si rivolge alla magistratura, che viene indagato per reati gravissimi è la conferma che qualcosa non funziona.
Forse sarebbe stato corretto se Saviano avesse chiesto scusa al ministro per quelle affermazioni che oggettivamente gli davano del mafioso. Non c’è nessuna inchiesta penale che veda indagato Salvini per mafia. E neppure la Lega, come del resto Forza Italia negli anni Novanta, è stata mai sospettata di essere un’associazione mafiosa. Forse questo è il tempo in cui andrebbe restituito il senso alle parole. Ma anche se potrebbe aver sbagliato, la denuncia di Roberto Saviano è una spia della febbre del Paese. Di fronte a una opinione pubblica sonnolenta, una terapia d’urto non è sbagliata. Saviano ha bisogno di non sentirsi solo. L’essere una famiglia, una squadra, una moltitudine aiuta a non sbagliare.