Ergastolo per il padre e la madre di Saman Abbas
Sono le richieste di condanna della Procura di Reggio Emilia per gli imputati nel processo per la morte della ragazza
Saman simbolo per tutte le donne oppresse, Saman sovversiva inconsapevole, come l'ha definita il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Calogero Paci. Saman come Lia Pipitone, uccisa a Palermo per aver infranto le regole mafiose e vissuto una relazione extraconiugale. Saman come Maria Concetta Cacciola, testimone di 'ndrangheta, costretta dai familiari a ingoiare acido. Saman come Francesca Bellocco, assassinata a Rosarno per aver rovinato l'onore familiare.
A una settimana dalla Giornata internazionale per eliminare la violenza sulle donne, la Procura ha affiancato i nomi di altre vittime che hanno pagato con la vita l'opposizione ad un sistema chiuso a quello della giovane pachistana di Novellara.
"L'enorme contrasto tra le proprie ragioni di vita e il sistema in cui è inserita fa di Saman una figura universale.
Assimilabile a tante persone che hanno osato sfidare la cappa opprimente e il dominio della volontà in sistemi valoriali viziati", ha detto il pm Paci, facendo un parallelo tra la famiglia della ragazza e una 'ndrina calabrese.
Al termine di una giornata intera dedicata alla requisitoria dell'accusa, la Procura (oltre a Paci, il pm Laura Galli) ha chiesto alla Corte di assise di condannare all'ergastolo i genitori, il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheen, a 30 anni lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. Nelle prossime udienze toccherà a parti civili e difese poi, solo al termine, gli imputati, se vorranno, potranno parlare. A Shabbar, che voleva farlo oggi, non è stato consentito.
E così ha preso la parola Paci, che ha ricostruito le prove raccolte e il contesto in cui è maturato il delitto della notte tra il 30 aprile e l'1 maggio 2021. Il corpo di Saman veniva ritrovato un anno fa, in un casolare vicino alla casa dove viveva la famiglia. Andando a ritroso, Paci si è soffermato su quello che rappresenta questo processo: "Saman in fondo esprime una contraddizione eterna dell'individuo, tra libertà e desiderio di vita e repressione, autoritarismo, soffocamento di ogni desiderio di autonomia". Ha parlato della sua sofferenza, ma anche dell'enorme "anelito di vita", contrastato dai familiari, che la volevano sposata con un parente in patria. La barriera ai suoi desideri, ha detto Paci "è stato il sistema valoriale della famiglia: 'una pazza', come la definì Nazia, la madre, non poteva permettersi di mettere in discussione l'onorabilità della famiglia. Ma Saman - ha aggiunto - aveva una forza sovversiva che esercitava inconsapevolmente: voleva solo vivere la sua vita, camminare mano nella mano per le strade di Bologna, scambiarsi un bacio", come nella famosa foto che la ritrae col fidanzato.
Intrappolato nello stesso sistema, ha proseguito il procuratore, era anche il fratello. "Anche lui - ha ribadito - è vittima di una situazione familiare oppressiva e autoritaria, totalmente schiacciato nella sua sua libertà di determinazione". Per l'accusa, il ragazzo è credibile quando accusa i familiari.
Ma "il processo fornisce, prima ancora della sua deposizione, elementi non solo di riscontro alle sue dichiarazioni, ma autonomi". Come la pala con cui è stata scavata la buca, "la firma dell'omicidio".
Delitto per cui non si è mai registrato un segno di pentimento: "Nessuno dei protagonisti, a cominciare dal padre, ha voluto degnare questa ragazza di una espressione di pietà".
Ed è anche per questo che servirebbe una sentenza con "un senso restitutorio dell'oltraggio alla vita che è stato compiuto con questo barbaro e brutale omicidio".