[L’analisi] A Salvini si perdona tutto, anche di difendere un imprenditore arrestato dalla poltrona del Viminale
Cosa sarebbe accaduto se fosse stato l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti a esprimere un attestato di stima e di fiducia nei confronti di un amico imprenditore appena arrestato? Siamo davanti ad un cambio epocale

La presa di posizione è passata sotto silenzio. Un po’ perché la notizia del giorno è stata la fortissima tensione nelle relazioni internazionali tra Parigi e Roma, ma anche perché è come se a lui, al ministro dell’Interno Matteo Salvini, baciato dalla dea del successo, fosse perdonato tutto.
Quando si grida allo scandalo, e quando no
Ieri ha messo la mano sul fuoco sull’imprenditore arrestato per corruzione per la vicenda del nuovo stadio di Roma. Ma immaginate cosa sarebbe accaduto se fosse stato l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti a esprimere un attestato di stima e di fiducia nei confronti di un amico imprenditore appena arrestato? Sicuramente l’opposizione avrebbe gridato alla scandalo denunciando l’irritualità del gesto di un ministro dell’Interno che “assolve” preventivamente l’amico appena arrestato dalla magistratura. E ne avrebbe chiesto la sua testa.
"Una persona perbene"
Minniti con quelle dichiarazioni aveva aperto un conflitto tra poteri dello Stato. Dunque ieri mattina il ministro dell’Interno Matteo Salvini commentando gli arresti avvenuti all’alba di imprenditori, tecnici, burocrati e politici per la costruzione del nuovo stadio a Roma, ha difeso l’imprenditore Luca Parnasi: «Lo conosco personalmente come una persona perbene».
Parola del ministro dell’Interno, garantisce Salvini. Siamo davvero a un cambio di clima, a una mutazione lenta e inesorabile delle regole e delle fondamenta del sistema democratico così come l’abbiamo conosciuto in questi decenni post Liberazione?
Un pericoloso precedente
Cresce il consenso per il ministro dell’Interno, il leghista Matteo Salvini che ministro dal primo giugno giorno dopo giorno è riuscito persino a provocare uno strappo nella nostra politica estera. Dice il presidente francese Macron: «Non chiedo scusa a chi provoca». La memoria fa brutti scherzi. Ma il vuoto di memoria è ancora peggio perché è disarmante, disarma una coscienza civile collettiva. La frase del presidente Macron è rivolta (senza nominarlo) al ministro Salvini, il «provocatore». A quando risale un episodio simile? Quando un presidente di uno Stato confinante, amico, alleato ha rivendicato una posizione di censura nei confronti di un governo alleato? Quando si è rischiata la rottura delle relazioni diplomatica tra due paesi della Ue?
Un brutto film
Sembra di vivere dentro un film. E invece è realtà. Sempre lui, Salvini, ieri ha rimesso in discussione il Codice degli appalti, che complica e non semplifica le procedure ma anche la legge sul caporalato. E ha chiesto nessun limite di spesa con il contante. Lui è ministro dell’Interno, dovrebbe soppesare le parole, limitarsi a occuparsi delle vicende proprie del ministero dell’Interno e invece «provoca», per dirla con Macron, rompendo tabù e consuetudini. Lui è anche segretario di un partito della maggioranza, la Lega, e trova del tutto naturale parlando da ministro trovare sostegno alle sue iniziative richiamando il via libera degli amministratori regionali leghisti, a proposito dell’apertura in ogni regione di Centri dove far transitare i migranti prima di espellerli».
L'uso scaltro dei social
Salvini forza anche le regole della comunicazione. Usa il web, i social (del resto anche il grillino Di Maio) per non raffreddare la luna di miele con l’opinione pubblica, sempre di più attratta dal populista per eccellenza che in pochi giorni ha offuscato anche la figura del presidente del consiglio, il professore Conte.