[L’inchiesta] La rivolta di Taranto contro i Cinquestelle, dopo l’accordo Ilva: “Traditori, siete come il Pd”
Tessere elettorali al vento, il voto buttato. I comitati di protesta sono in rivolta. Sono pentiti, rammaricati, si passano la voce sui social e commentano al vetriolo ogni intervento che cerca di difendere la scelta del M5S. “Siamo stati traditi”, dicono. “Ci avevano promesso la chiusura e da oggi non andremo più a votare perché non crediamo più a nessuno. Siamo stanchi, arrabbiati, delusi, sfiduciati”. “Dimissioni di tutti gli eletti del Movimento Cinque stelle nella provincia di Taranto: questa la nostra richiesta. La nostra lotta continua: noi non ci fermeremo”
Sta succedendo qualcosa a Taranto, dopo l’accordo firmato dal vicepremier Di Maio sull’Ilva, sostanzialmente identico a quello già delineato dal suo predecessore Calenda. Sta succedendo che le Cinque stelle del Movimento cominciano a brillare di meno, a saltare qualche frequenza. Succede a Taranto che la distanza tra la promessa di quando si era fuori e le firme di quando si è dentro comincia a erodere quella sensazione di pagina che si volta, di mondo tutto nuovo, legata all’arrivo dei grillini nei palazzi del potere.
Striscia la rivolta
Striscia una vera rivolta, sale il mugugno, esplode in qualche caso l’indignazione tra gli elettori M5S di Taranto, sul caso Ilva. E potrebbe essere il preludio allo smottamento di una forza politica che alla sua prima corsa parlamentare, nel 2013, è arrivata al 25 % e dopo appena cinque anni è diventata prima forza del Parlamento mentre oggi, in un tempo rapidissimo, comincia già a vedere il segno meno nei sondaggi.
La rabbia
La rabbia di Taranto è una cosa semplice: se per anni, nelle varie campagna elettorali, dici che l’Ilva è una fabbrica di tumori e va chiusa, che quegli impianti vanno spenti totalmente e poi riconvertiti ecologicamente, e quei lavoratori aiutati, ma che quella linea produttiva va sigillata, e quell’area bonificata, e i responsabili puniti; e poi, alla primissima prova di governo, fai esattamente il contrario, chi ti ha votato si arrabbia un po’. Non è per caso, quindi, che la pagina Facebook No Ilva Taranto, che fino a qualche mese fa ospitava commenti favorevoli al voto per i Cinquestelle, oggi si apra con una immagine eloquente: due bandiere sulle ciminiere dell’Ilva, una del Pd e una del Movimento Cinque stelle. “Sono la stessa cosa”, dicono i militanti delusi.
Dimissioni
Tessere elettorali al vento, il voto buttato. I comitati di protesta non la mandano a dire. Sono pentiti, rammaricati, si passano la voce sui social e commentano al vetriolo ogni intervento che cerca di difendere la scelta del M5S. “Siamo stati traditi”, dicono. “Ci avevano promesso la chiusura e da oggi non andremo più a votare perché non crediamo più a nessuno. Siamo stanchi, arrabbiati, delusi, sfiduciati”. “Dimissioni di tutti gli eletti del Movimento Cinque stelle nella provincia di Taranto: questa la nostra richiesta. La nostra lotta continua: noi non ci fermeremo”.
Il senatore di Tamburi
Uno degli eletti è Mario Turco, senatore, originario del quartiere Tamburi, quello a più alto tasso di inquinamento. Per tentare una replica, pubblica un comunicato stampa sulla sua pagina di Facebook. “In queste ore – scrive - ho letto, ascoltato e visto la reazione indignata di una parte della città rispetto al concretizzarsi dell’accordo per la cessione dell’Ilva. Capisco la rabbia e comprendo la frustrazione di quanti protestano. Tuttavia sono convinto che i cittadini di Taranto hanno colto e seguito con attenzione l’evolvere delle azioni messe in campo dal Governo.Dopo aver messo da parte l’irrazionalità propria di sentimenti come la delusione e la sfiducia, ritengo che occorra guardare con pragmatismo e responsabilità al futuro e ciò senza trascurare il profilo della tutela ambientale, da assicurarsi attraverso costanti ed efficaci attività di verifica e controllo”.
Un credito
“Taranto vanta un credito enorme nei confronti del Paese – continua il senatore Cinquestelle - e personalmente voglio fare sì che la comunità che rappresento riesca a convertire tale credito in una prospettiva di rilancio economico e culturale duratura. Lavorerò per presentare al Governo un piano per la riconversione economica del nostro territorio. Da domani inizia una nuova sfida per Taranto e dobbiamo essere compatti nel portare avanti le istanze che permetteranno alla città e al suo territorio di vedere il futuro in maniera diversa”.
Zero fiducia
Un tentativo di rilancio che però, a giudicare dagli oltre 150 commenti comparsi, non soddisfa.
“Tutte parole al vento. Zero fiducia”, dice Gaspare Ressa. “Non avete credibilità – commenta Roberto Bellacicco -. La coerenza viene prima di tutto e avete dimostrato di essere bugiardi, ipocriti e senza onore. Passate al gruppo misto. Oppure vi piace troppo quella poltrona con annessi privilegi?”. “Perché Di Maio non ha rispettato quanto prometteva in campagna elettorale, e cioè la chiusura DELL'ILVA? – si sfoga Roberto Adducci - Ha disatteso ciò che gli elettori aspettavano. Ha preso i voti e poi...”. “Non vi voteremo più: avete tradito Taranto”, conclude lapidario Mimmo Termidoro.
Tanti saluti
Sono, in effetti, centinaia di commenti di questo tono anche sulle pagine degli altri parlamentari, sui blog dei comitati di lotta, sui social delle associazioni e della rete civica. Si parla di tradimento, di “contentini penosi”, di offesa alla città, di fiducia persa, di credibilità in fumo. Qualcuno già paragona i Cinquestelle ai vecchi partiti. Attaccamento alla poltrona, accordi contro gli interessi popolari, le promesse rimangiate. Delusione è la parola più digitata. “Da cambiamento a tradimento – sentenzia Francesco Settembre - il passo è stato brevissimo: tanti saluti al movimento”.
Numeri mai visti
La portata della delusione si capisce solo mettendola in rapporto all’investimento che Taranto aveva fatto sui Cinquestelle. Alle ultime politiche, il Movimento in città ha toccato quote superiori al 50 % dei voti. Numeri mai visti. E nonostante qualcuno sottolinei che in campagna elettorale Di Maio non abbia mai promesso esplicitamente la chiusura dell’Ilva, in città, a convergere sui grillini, erano stato con convinzione tutti quelli che lottavano proprio per la cessazione delle attività, la bonifica, la riconversione. Un piano esattamente contrario a quello voluto da Calenda: “Un percorso criminale durato 12 decreti legge – lo definiva il Movimento in campagna elettorale - che prevede l’immunità penale per i Commissari e i futuri affittuari/acquirenti, anche in caso di accertamento di danno”. L’accordo firmato da Di Maio prevede anch’esso l’immunità penale.
La piroetta
“Tutti o quasi si aspettavano fiduciosi che Di Maio, Costa e Grillo volessero utilizzare i nostri preziosi consigli per fermare l’Ilva – ricorda nel suo blog, Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink -. Ci sbagliavamo di grosso. Da testimone di queste trattative posso dire che sull’Ilva l’atteggiamento del M5S è cambiato nel giro di pochissimo tempo. È passato da un atteggiamento intransigente (“no all’ambientalizzazione dell’Ilva”), a un atteggiamento “migliorista” (“suggeriteci come migliorare il piano ambientale”) fino ad un atteggiamento “immobilista” sul piano delle norme (“non possiamo togliere l’immunità penale”). Il M5s sull’Ilva è divenuto di fatto l’esecutore della volontà dei governi precedenti. È stata una piroetta talmente veloce che gli attivisti pentastellati rifiutavano di leggere le dichiarazioni del ministro Di Maio”.
Solo il primo sì di tanti vecchi no
Il caso Taranto, in realtà, rischia di essere solo il primo sì di una lunga serie di vecchi no. Tante le promesse fatte da un Movimento che si è presentato come totalmente alternativo su ogni tema. E su questa ansia ha costruito un successo rapido, folgorante. Ma adesso che è al governo? Il caso Ilva già dimostra la fatica di svegliarsi dal sogno. Ci sono in fila, e in attesa, tutti i no detti che rischiano di trasformarsi. Dopo il no Ilva diventato sì Ilva, toccherà al no Tap – il gasdotto che spunterà in Puglia e su cui si profila già un nuovo dietrofront del Movimento – poi forse al celebre No Tav, su cui la Lega promette battaglia a difesa dell’opera, fino a tutto il rosario di promesse che prima coltivano illusioni e poi fatalmente franano come cocenti delusioni.