"Aggredita a casa mia dopo la droga dello stupro": il racconto della prima vittima del netturbino
In un'intervista a Repubblica Stefania L. racconta i momenti drammatici in cui Ubaldo Manuali le ha teso la trappola, l'ha drogata e ha abusato di lei

"L’ho denunciato subito e metto la mia faccia sul giornale per tutte quelle donne vittime come me. Non dobbiamo avere paura dei nostri 'No'. Dobbiamo mostrarci perché siamo le vittime, non i carnefici. Loro devono nascondersi". La prima vittima del netturbino, Ubaldo Manuali, 59 anni, arrestato il 12 settembre a casa della sua ultima vittima a Roma - la prima di una lunga serie di donne violentate - in un'intervista a Repubblica racconta la sua esperienza con l'uomo che ha "rovinato la mia vita in meno di un anno". Stefania L., ex banconista di una gelateria, sta attraversando quel baratro nel quale precipitano le vittime degli stupri, ma dal quale non vuole farsi sopraffare. Per questo racconta la sua esperienza.
La trappola e la droga dello stupro a casa sua
Dai primi approcci su Facebook e le rassicurazioni di un'amica comune che le ha detto "è tranquillo e simpatico", alle frequntazioni, "sempre all'esterno", suggellate dalla richiesta "vorrei che fossimo solo amici", cosa peraltro da lui accettata. Racconta la donna che per qualche mese non si sono visti. Poi la sua telefonata e l'invito a cena. "Avevo un braccio ingessato per una frattura, avevo perso da poco mia mamma. Era un brutto periodo. Prima mi ha detto che passava a prendermi e che cenavo a casa sua. Non volevo, non mi andava, poi ho accettato", racconta. Una nuova chiamata e il cambio delle carte in tavola: passava lui con la cena già pronta e il vino. "Ero giù, ho accettato". La trappola perfetta. Il risveglio durante la notte è stato durissimo, quell'uomo a fianco, nel suo letto. "Ma stavo malissimo, sono crollata di nuovo".
L'indomani mattina la visita dal medico al quale ha raccontato l'accaduto. "Lui mi ha detto 'Oddio, mi stai sconvolgendo' e mi ha consegnato un foglio urgente per il pronto soccorso - racconta la donna -. Nel mio sangue i medici hanno trovato la droga dello stupro. Pensavo che mi avesse drogata per derubarmi. Invece mi ha violentata in casa mia. Provo troppo schifo". Nella casa tracce del suo Dna ovunque anche se il viiolentatore seriale avrebbe cercato di cancellare le tracce.
I video condivisi con gli amici del calcetto
E se la figlia lo difende, sostiene ancora la donna, racconta di quando lui le mandò le foto intime della figlia che, in un camerino, provava la biancheria intima. "Forse si dovrebbe fare luce anche su questo", dice Stafania. A casa sua Manuali ha anche scattato foto e girato video che avrebbe condiviso nella chat del calcetto. "Mi fanno schifo anche loro - afferma - avrebbero dovuto denunciare, non lo hanno fatto, l'ho fatto io".
Infine una convinzione. "Abbiamo una dignità da salvare, se è 'no' deve essere 'no'. Evidentemente il mio rifiuto lo ha stuzzicato ancora di più e ha aspettato il momento giusto. I poliziotti mi sono ancora vicini a distanza di tempo, non sono rimasta sola". E questo è l'unico importante pilastro al quale sorreggersi dopo che la propria vita è crollata: non sentirsi abbandonate nel dramma.