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“Eravamo come in galera lì dentro”, la testimonianza di Mohamed Belhaj dall’Hotspot di Lampedusa

Un richiedente asilo racconta la sua esperienza nel centro di accoglienza per migranti

Lidia Ginestra Giuffrida di Lidia Ginestra Giuffrida   
“Eravamo come in galera lì dentro”, la testimonianza di Mohamed Belhaj dall’Hotspot di Lampedusa
Migranti a Lampedusa (Ansa)

“L’hotspot di Lampedusa è un inferno. Eravamo in prigione lì dentro, non ci facevano uscire, eravamo come in galera”, racconta Mohamed Belhaj, richiedente asilo tunisino che è stato dentro l’hotspot di Contrada Imbriacola, a Lampedusa, lo scorso agosto. “Sono stato lì dentro per tre settimane - continua – senza sapere cosa sarebbe stato di me, non sapevo se volessero rimandarmi al mio paese, non sapevo quanto sarei stato dentro il centro. Chiedevo ogni giorno perché non mi lasciassero andare ma mi dicevano solo che dovevo aspettare. Non avevo idea della mia condizione giuridica”.

Italia condannata dalla Corte Europea

Ieri come riportato dall'agenzia ANSA la Corte Europea dei diritti Umani (CEDU) ha condannato l'Italia per le condizioni di vita e la detenzione di tre migranti tunisini dentro l’hotspot di Lampedusa tra il 2017 e il 2019. In tre sentenze distinte la CEDU afferma che i migranti sono stati sottoposti a "un trattamento disumano e degradante" a causa delle condizioni di vita nell'hotspot. Ma in particolare sono stati “arbitrariamente privati della loro libertà, perché trattenuti nell’hotspot senza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che ne disponesse la detenzione”. Una condanna da parte della CEDU all'Italia, per le condizioni di vita dentro l’hotspot di Lampedusa, era già arrivata il 30 marzo di quest’anno, sempre per le stesse motivazioni. Così come era avvenuto in anni precedenti.

 La situazione nonm cambia a Lampedusa

Nonostante le condanne della Corte Europea dei diritti Umani la situazione però, dentro l'hotspot, non cambia. “Le persone stanno chiuse dentro le recinzioni del centro senza poter mettere piede fuori. Quando stavo lì c’erano file immense per fare tutto, per mangiare, per bere, per fare le docce ma anche per andare in bagno. Ho visto gente fare la cacca per terra, gente litigare per mangiare. Eravamo trattati come animali”, continua Mohamed Belhaj, “le famiglie, gli uomini, le donne e i minori stavano tutti insieme, dormivamo fuori perché non c’erano abbastanza posti letto al chiuso. Anche i bambini dormivano all’aperto”.

Adulti con bambini 

La collocazione di bambini e minori non accompagnati, insieme a uomini adulti, dentro l’hotspot di Lampedusa, viene fatta in deroga alla legge Zampa (legge n. 47/2017) che prevederebbe l'immediato inserimento in strutture appositamente dedicate alla prima accoglienza e all’identificazione dei minori che arrivano in Italia da soli. Inoltre, la loro permanenza in hotspot dovrebbe essere di poche ore, mentre i minori da soli sono coloro che spesso rimangono più di chiunque altro dentro il centro di Lampedusa per la carenza di strutture nel territorio nazionale in cui possano essere ricollocati.

7000 migranti dove ci stanno 400 persone

Un altro grande problema è che, nonostante l’hotspot di Contrada Imbriacola possa contenere poco meno di 400 persone, ha spesso triplicato, quadruplicato questo numero. Lo scorso settembre hotspot è arrivato ad avere circa settemila migranti al suo interno. Mohamed racconta che anche ad agosto c’erano molte più persone rispetto a quelle che sarebbero potute stare dentro il centro: “eravamo troppi, a volte mancava persino l’aria”. L’hotspot di Lampedusa resta un luogo di detenzione arbitraria in cui le persone sono costrette a vivere in condizioni spesso disumane e degradanti. A dirlo non sono solo le condanne CEDU ma anche le persone che, come Mohamed, in quel centro ci hanno vissuto.

Lidia Ginestra Giuffrida di Lidia Ginestra Giuffrida   
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