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Il prof in carcere per molestie alle studentesse e poi assolto. La sentenza: "Non voleva molestarle. Era solo affettuoso"

Ci sono anche gli innocenti. Che però, a causa di una giustizia che smarrisce la via complessa della verità per innamorarsi a volte di quella più comoda dell'inquisizione, devono attraversare l'inferno, rimanendo vivi, per conservare diritto e dignità

Antonio Mennadi Antonio Menna   
Il prof in carcere per molestie alle studentesse e poi assolto. La sentenza: 'Non voleva molestarle...

Diciannove giorni a San Vittore, nel reparto dei molestatori sessuali. Poi un anno agli arresti domiciliari. Assalito dalla vergogna e dall'infamia di essere imputato di reati che fanno orrore. Poi "assolto perché il fatto non sussiste", con la Procura che lo aveva accusato che rinuncia perfino all'appello, tanto è apparsa evidente l'inesistenza del caso. "Non è malagiustizia, perché questa storia non doveva proprio cominciare", dice lui. E, invece, è accaduto. In Italia. Non nel secolo scorso. Ma negli ultimi tre anni.

Un prof di arte

A finire nel tritacarne è stato un professore di arte della scuola media Manzoni di Milano, Maurizio Minora. Finisce in manette il cinque giugno del 2014. E' accusato di molestie sessuali. Secondo gli inquirenti avrebbe avuto comportamenti molesti (toccate intime) nei confronti diquattro ragazzine, tra i dieci e i  tredici anni, sue alunne di prima e terza media. Lui, ovviamente, nega tutto. Ma nessuno gli crede.

Nel girone infernale

Finisce, così, nel girone infernale dei reati sessuale del carcere milanese. Poi un anno intero ai domiciliari. "Non ho mai smesso di muovermi - ha detto al Corriere della Sera - se ti fermi, impazzisci. Ho scritto lettere, dipinto, fatto più cose possibile, nell'attesa della verità". Che alla fine è arrivata e ha fatto luce, restituendo al professore la libertà ma non la serenità "Gli avvocati l'hanno vissuta come una vittoria - dice al Corriere - ma io no. Per me era un atto dovuto. Le incongruenze erano evidenti fin dall'inizio. Non dovevano passare tre anni per capire che ero innocente".

Il primo equivoco

Ma com'è cominciata questa vicenda? Una ragazza, alla fine di un laboratorio teatrale scolastico, scrive una lettera sul tema della rabbia. In quella circostanza emerge che una alunna era stata toccata sul fondoschiena dal professore. Questo singolo episodio si moltiplica improvvisamente per quattro. In una informativa della polizia locale a Pm e Gip, infatti, diventano quattro le ragazze che si sarebbero presentate alla preside lamentando il fatto. Solo che le quattro ragazze ci erano andate per riferire che avevano sentito dire da terzi, e non perché ne erano state protagoniste.

Il sentito dire

Sul sentito dire, e su una serie di incongruenze, monta una indagine paradossale, con testimoni oculari che in realtà poi smentiscono di esserlo e con protagoniste di molestie che le datano in orari e luoghi con presenza di telecamere che non confermano i fatti. Un vero pasticcio, corroborato da un comportamento del professore che era effettivamente fisico e affettuoso. Ma con tutti, ragazzi e ragazze: pacche sulle spalle, sculacciate, comportamento cameratesco che aveva già alimentato varie leggende sullo stesso insegnante, un po' eccentrico ma non certo un molestatore.

Nessun intento sessuale

"Era assente in tutti i contatti qualsivoglia intento di natura sessuale", dice infatti la corte, che evidenzia peraltro nella sentenza il livello di suggestione collettiva maturata nella vicenda. Innanzitutto tra le quattro ragazze "legate da relazioni psicologiche molto complesse", con una "psicologicamente succube" dell'altra e con un'altra ragazza già vittima di bullismo. Un quadro psicologico che avrebbe spinto un'alunna a convincersi della connotazione sessuale dei gesti del prof, arrivando poi a influenzare anche le amiche.

Tutte le ombre

La corte, poi, ha evidenziato tutti i buchi nell'indagine: informative sbagliate, equivoci, errori madornali, che però non hanno impedito l'arresto, i diciannove giorni in cella, un anno ai domiciliari e la richiesta della procura del rinvio a giudizio e della condanna del prof.  Due anni e sei mesi, avevano chiesto i Pubblici ministeri. E due anni per una collega del professore d'arte, che avrebbe saputo e non denunciato. Ma i giudici sollevano il velo. Assolti. E con la formula più piena. Non c'è il fatto. Non è successo nulla. Un impianto così chiaro che la procura non ricorre nemmeno in appello. Ma allora perché non accorgersene prima? Perché non fare un passo indietro? Perché non fermarsi?

Diritto e dignità

Viene in mente il celebre esempio che un noto magistrato, tra gli applausi, ama fare sempre nei talk show televisivi, quando parla di garantismo. Lui dice: "se il mio vicino di casa è sotto inchiesta per pedofilia, io aspetto che sia condannato fino in Cassazione per tenerlo lontano dai miei figli o intervengo prima, anche solo con un avviso di garanzia?". La risposta è ovvia. Ma a volte è sbagliata. Ci sono anche gli innocenti. Che però, a causa di una giustizia che smarrisce la via complessa della verità per innamorarsi a volte di quella più comoda dell'inquisizione, devono attraversare l'inferno, rimanendo vivi, per conservare diritto e dignità.

Antonio Mennadi Antonio Menna   
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