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Tra schieramenti e partiti sciolti "come neve al sole" solo il Pd (e il governo) gode di salute

Non solo il centrodestra, anche nel M5s continua la guerra interna. Lo stato dell’arte comatoso di partiti e coalizioni

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Meloni, Salvini e Berlusconi, Di Maio e Conte
Meloni, Salvini e Berlusconi, Di Maio e Conte (Foto Ansa)

Non solo il centrodestra, come dice Matteo Salvini, “si è sciolto come neve al sole”. Anche il M5s è in via di rapida, continua, liquefazione. E considerando che il ‘nuovo’ progetto neocentrista è ancora in via di faticosa costruzione e rischia il solito accrocchio di sigle, si può ben dire che solo il centrosinistra (nel senso del Pd e dei suoi piccoli ‘alleati’, i famosi ‘nanetti’) gode di discreta, se non ottima, salute, anche perché è uscito indenne dalla gara del Colle. Anche il governo Draghi, in realtà, è ben saldo in sella e le tanto ventilate ipotesi di rimpasti sono rientrate tutte nei ranghi, anche perché, appunto, i partiti stanno messi come stanno messi, cioè male. Insomma, al netto del Pd – che, non a caso, si permette pure il lusso di ‘dettare l’agenda’ e il timing delle riforme da fare – nelle coalizioni e partiti è tutto un terremoto. Vediamo, dunque, quale è la esatta situazione.

“Il centrodestra si è sciolto come neve al sole” 

«I referendum sulla giustizia (si dovrebbero celebrare in primavera, insieme agli altri due: cannabis ed eutanasia legale, ndr.) saranno un banco di prova per il cosiddetto centrodestra. Permettetemi di usare il ‘cosiddetto’ perché alla prova dei fatti sono stato uno dei pochi a credere all’unità della coalizione che si è sciolta come neve al sole». La quarantena obbligata per il Covid non spegne l’impeto di Matteo Salvini che in collegamento con il convegno «Il Futuro della destra in Europa» sferza l’alleanza e apre a una nuova fase per la Lega. «Mettiamo le mani nel piatto: il centrodestra è una coalizione in Italia? No, mi sembra evidente» dice senza mezzi termini Salvini. «Una coalizione per essere compatta deve avere un’anima, un obiettivo», continua il leader della Lega. «Leggo che qualcuno sta cercando l’obiettivo con Renzi e Mastella. Non giudico, ma penso che gli obiettivi comuni di giustizia, tassazione, difesa delle libertà non sono come vecchi esperimenti, che invece hanno l’unica ambizione la ricandidatura e la rielezione». E visto che — continua il segretario della Lega — il partito da lui guidato «rimane», occorre pensare «a dar vita, insieme a chi ci sta, a un progetto più grande, ambizioso e visionario». Il tema di fondo, ancora acceso sotto i tizzoni della politica, è lo scontro interno al centrodestra per l’elezione del capo dello Stato. In primis il caso Casellati, poi anche quello della Belloni. Ma questo è il passato. Ora, il banco di prova, per il segretario della Lega, è la giustizia: «Se ci sarà l’ok della Corte costituzionale sui quesiti referendari sulla giustizia si andrà a votare, credo in primavera, si parla di aprile, e lì sarà un banco di prova perché una riforma della giustizia che ci porta sul modello occidentale con la responsabilità civile diretta dei magistrati, con la separazione delle carriere, la riforma del Csm, lì vediamo chi avrà un atteggiamento liberale, moderno, conservatore europeista, atlantista e chi invece giocherà di rimessa, di conservazione». Il problema è che FdI non glieli ha firmati e che persino dentro FI si nicchia, sull’argomento. Insomma, Salvini e la Lega sono soli come mai.

L’anatema del Capitano ai neocentristi

E se un giorno lancia il “partito repubblicano” all’italiana e un altro la “federazione” di centrodestra, Salvini si agita in continuazione, ma nessuno lo segue. La domanda a cui continua a risultare difficile dare una risposta è: con chi? Perché lo scenario che si presenta di fronte agli occhi del leader leghista a pochi giorni dalla rielezione al Quirinale di Sergio Mattarella è un campo di macerie mentre lui sceglie l’immagine invernale della neve che si scioglie al sole... Presa alla lettera, anche l’uscita di ieri, così dura sia verso gli (ex) alleati di centro che nei confronti della partner di destra, non pare però offrirgli grandi margini di manovra. Il leader leghista si dice proteso «a dar vita, insieme a chi ci sta, a un progetto più grande, ambizioso e visionario», ma chiude la porta a chi sta dialogando con Renzi e con Mastella come dice con malcelato disprezzo. Nel mirino c’è soprattutto Giovanni Toti, con qualche notevole scossone anche per la tenuta della giunta ligure che potrebbe persino saltare con Toti che fa sapere: se non otterrà rinnovata fiducia dagli alleati, è pronto pure a far cadere la giunta e portare la Liguria a elezioni anticipate. Ma anche quell’ala di Forza Italia che non fa mistero di avere progetti neocentristi,, magari facendo leva sulla figura di Draghi, sul suo ombrello protettivo, e che – come dice Brunetta – deve puntare a superare, anche grazie a una nuova legge elettorale di impianto proporzionale, l’attuale “bipolarismo bastardo”. E anche se, su Brunetta, cadono pure gli strali di Forza Italia, resta che Salvini ormai considera i ministri azzurri dei veri e propri ‘nemici’ del centrodestra. Salvini non si sente proprio in sintonia con i ministri azzurri, li sospetta di essere pronti ad abbandonare la casa madre per una nuova collocazione, andando ad occupare uno spazio che potrebbe rivelarsi una sorta di ago della bilancia qualora passasse una riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Nei confronti di Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, il leader della Lega mostra la stessa diffidenza che nutre rispetto al «suo» ministro Giancarlo Giorgetti. Solo che, così, a forza di non fidarsi di nessuno, non gli rimane in mano quasi niente.

I rapporti con la Meloni mai così in basso

Più a destra, infatti, i rapporti sono ridotti ai minimi termini. Quando disdegna chi «vuol essere il primo dei perdenti» Salvini marca le distanze da chi, come Meloni e FdI, ai suoi occhi, si chiama fuori da tutto (dal sostegno al governo Draghi come dalla costituzione di un gruppo unico delle forze moderate in Europa, per non parlare del Quirinale), puntando sulla raccolta di tutti gli scontenti. «Io ci ho messo la faccia e mi sono speso con generosità — ha detto ai suoi riuniti nel Consiglio federale del Carroccio — troppo facile dire sempre di no». Al netto delle asprezze caratteriali, che pure non sono mancate nei giorni scorsi, tra Salvini e Meloni, resta in piedi – nei sondaggi come nei rapporti personali - quella corsa alla conquista della leadership del centrodestra che rende divergenti le strade dei due leader. Meloni ha riferimenti e modelli da perseguire (basti pensare al presidenzialismo) che non trovano consensi negli altri soggetti del centrodestra. E anche in Europa le famiglie restano diverse (la leader di FdI guida il partito dei Conservatori e non intende recedere da una posizione così in vista).

Salvini cerca di non perdere il legame col Cav

E allora, dove vuole andare a parare Salvini con il suo progetto «grande, ambizioso e visionario»? Il Capitano continua a guardare e a sperare a quell’area liberal-democratica che negli anni d’oro ha dato nerbo alla creatura dell’imprenditore sceso in politica per sbarrare la strada alla sinistra. Si tratta di riprendere quel progetto e rinnovarlo alla luce delle sfide che pone l’uscita dalla pandemia e dalla crisi. È lo stesso Cavaliere a far filtrare il desiderio di volere essere il centro di gravità di un’area moderata, ancora al PPE, il perno imprescindibile di un’alleanza più larga, la si chiami federazione o altro. Salvini e Berlusconi dialogano. Sono consapevoli che, per andare al governo, ed essere accettata in Europa, la coalizione deve va ancorata al centro e non pendere troppo verso destra. Proprio per questo alla Lega serve un passaggio in più: l’adesione al Ppe. Giorgetti lo va dicendo da tempo, il segretario frena e coltiva l’idea di un raggruppamento a sé. Ma in questi anni Salvini è stato protagonista di sterzate impreviste. Due su tutte: il contratto di governo con il M5S e il sostegno all’esecutivo di solidarietà nazionale con Draghi. Di fronte ad una coalizione «che si è sciolta come neve al sole» sta probabilmente pensando ad un nuovo colpo d’ala. Il problema è trovare compagni di strada utili e spendibili sul piano del mercato politico.

I sondaggi vanno sempre peggio, per la Lega

Il problema è che, al netto delle voci sul possibile ‘sganciamento’ di Giorgetti, in palese dissenso, Salvini è in difficoltà. I sondaggi vanno come vanno, cioè male. Per Alessandra Ghisleri, di Euromedia Research, l’indice di fiducia è in crollo (-5, 3%), ma soprattutto “FdI guadagna il 2.2%, arriva al 21.1% e diventa il primo partito a scapito della Lega, ferma al 16,7% e che perde l'1.8%”. Per Demos di Ilvo Diamanti le cose vanno ancora peggio, se possibile: Salvini è il politico che “si è comportato peggio, durante la partita del Quirinale, per il 31% degli elettori”, un record assoluto, e la Lega “si è indebolita per il 65% degli italiani, il doppio dei 5s. Il solo che finge di non saperlo è, appunto, proprio Salvini.

Il leader cerca di tacitare le critiche interne

Al Consiglio federale di lunedì ha tracciato la linea “o con me o contro di me, basta voci critiche” e ha chiesto ai governatori del Nord, i quali per ora hanno pure abbozzato, di smetterla con i distinguo. Sono partiti pure provvedimenti di ‘sospensione’ a raffica per ben amministratori locali che hanno osato criticato il ‘Capo’, quasi tutti vicini a Zaia. Persino i fedelissimi (Igor Iezzi, il capogruppo Molinari) sono stati redarguiti per le loro aperture – in tema di legge elettorale - al proporzionale. “Dobbiamo parlare dei problemi degli italiani” li ha stoppati Salvini. Pronto a tutto, fino a crisi di governo, pur di risalire il burrone in cui è finito. Al titolare del Mef, Daniele Franco, ha imposto, più che chiesto, di fermare il caro energia. I modi poco urbani segnalano che, tra Lega e governo, c’è un grosso problema. Presto Salvini incontrerà Draghi, presumibilmente per avanzare la richiesta di un rimpasto che, però, allo stato vuole solo lui. Non ha intenzione di mollare nell’attacco ad almeno due dicasteri chiave (Interni e Salute) e ai loro titolari (Speranza e Lamorgese). “Non gli daremo tregua” fanno sapere i salviniani doc. Ma le possibilità che il rimpasto ci sia sono a zero. Senza dire del fatto che, se Salvini imboccasse davvero la strada dell’ingresso nel PPE, la darebbe vinta a Giorgetti e ai governatori del Nord che predicano, da tempo, una svolta moderata e liberale per la Lega, snaturandola e, prima o poi, chiedendo la testa del suo leader che si ritroverebbe poco ‘utile’ per il nuovo corso…

Anche il M5s è squassato dallo scontro interno

“Lascio il mio ruolo nel comitato di garanzia”. Luigi Di Maio telefona a Giuseppe Conte poco prima di rendere pubblica la sua decisione. Niente disgelo, solo una comunicazione formale. Lo stesso avviene con i capigruppo. Diverso il discorso con Beppe Grillo, che torna a far sentire la sua voce: con lui i toni sono più distesi. Il ministro degli Esteri lo aveva detto qualche giorno fa: «È un momento di importante riflessione». Ieri ha rotto gli indugi e ha scelto. Dietro alla sua mossa — un passo di lato in un organo che ha il potere di sfiduciare il leader e decidere i criteri delle candidature — c’è nelle intenzioni del titolare della Farnesina un triplo messaggio: lanciare un segnale distensivo nel partito (nonostante le sirene centriste che continuano a essere forti, nei suoi confronti), evitare di polarizzare lo scontro politico in un duello tra lui e Conte e avere le mani libere per poter dare il suo «contributo» ai Cinque Stelle. «Non è una questione personale», precisano fonti vicine al ministro. «Non si tratta di sostituire Conte, i vice o minacciare una scissione: si tratta di rilanciare l’azione del Movimento».
«Compatti con una visione unitaria che accolga le idee di tutti, così potremo rilanciare il Movimento. È necessario parlare di temi, mettere in campo idee e progetti, è fondamentale per rendere sempre più competitivo il M5S. No ai litigi», dice il titolare della Farnesina ai parlamentari che lo hanno sentito in queste ore. La decisione di Di Maio — precisano i suoi — vuole essere il volano per «l’apertura di un confronto reale, non di facciata». Anche per questo motivo, la nota di replica del M5S — che parla di «passo dovuto» — ha lasciato di stucco il ministro. «Troppo aggressiva», sentenziano diversi esponenti in seno al gruppo.

La dura replica di Conte e lo scontro interno

La nota, in realtà, non è stata condivisa dai capigruppo che si aspettavano una uscita di Conte e non una nota a nome di tutto il partito. «Un vero leader avrebbe risposto diversamente facendo un passo di avvicinamento», commentano i dimaiani, rinfocolando lo scontro. Lui, il ministro, però, ha intenzione di non personalizzare la questione. E aspetta un confronto (saranno i capigruppo a chiedere un incontro tra i due, in una assemblea dei gruppi). La strategia è chiara: Di Maio vuole farsi portavoce, essere un punto di sintesi delle istanze che emergono dal gruppo. «Ci sono diverse preoccupazioni», dice un parlamentare. Tra i contiani l’ascia di guerra non è sepolta. C’è chi parla di «volontà di erodere il leader goccia a goccia», ma il ministro — spiegano i ben informati — vuole affrontare l’agenda del Movimento, confrontarsi sulla linea politica. Dimettersi è stato un passo necessario per non delegittimare la sua voce politica e le decisioni prese come presidente del comitato di garanzia. I contiani non si fidano, temono una imboscata parlamentare, invocano un chiarimento con gli iscritti (senza votazione online però) e sostengono che il ministro «è in difficoltà, non solo nel Movimento ma anche nel governo». Ribadiscono che «un conto è il confronto, un altro conto è fare ciecamente ciò che dice Di Maio». Tra i due litiganti c’è poi il gruppo di deputati e senatori, che al suo interno ha mille sfaccettature. Lo scontro potrebbe spostarsi sull’agenda e sui vice. «Il Movimento è sempre stato leaderistico - commenta un Cinque Stelle - ma anche all’epoca di Gianroberto Casaleggio, nel direttorio convivevano diverse aree. Conte si confronta solo coi suoi fedelissimi». «E la cabina di regia? Il ministro ne faceva parte», ribatte un contiano. Il clima resta rovente. Di Maio attende: non ha fretta, ma farà sentire la sua voce quando lo riterrà opportuno. Sono diversi i temi politici su cui il Movimento dovrà intervenire. Dopo il Colle, il prossimo terreno di scontro potrebbe essere quello delle Comunali, con Conte chiamato a invertire il trend negativo delle Amministrative dello scorso autunno. Nella bagarre generale torna a farsi sentire Beppe Grillo. Tra i due big, il garante torna in prima linea con un post ricco di proposte. «Il risultato di questa guerra è che Grillo ha commissariato tutti», commenta a caldo un parlamentare.

Grillo finirà per commissariare il Movimento?

Grillo, come sempre, vola alto (cita le Lezioni americane di Calvino) e un po’ non si fa capire: “Non tutto è andato come avremmo voluto – scrive sul suo blog - ma nessuno può negare che molti dei cambiamenti realizzati siano stati rivoluzionari”. Sembra una nota che tira la volata a Conte, ma chi è vicino al ministro assicura che non lo è. Anche perché il presunto, vagheggiato, e soprattutto temuto, limite al tetto dei due mandati che Grillo sembra adombrare (tra le cinque priorità da realizzare c’è, per lui, “la rotazione o limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione, non come professione”) non è nelle disponibilità di Conte. “Se ‘Giuseppi’ – dicono i dimaiani – ci prova, poi deve spiegarlo non solo a Di Maio, ma a Fico, Taverna e tutti gli altri, non ne avrà mai la forza”. Inoltre, in questo momento, i gruppi parlamentari sono una polveriera pronta a esplodere. Molti parlamentari hanno scritto a Di Maio, elogiando la “nobiltà” del suo gesto e ribadendo che “gogne e processi non dovrebbero essere nel nostro stile”, anche pentastellati che finora risultavano nel fronte ‘non allineati’ (non stavano né con Conte né Di Maio).

Ma se, ora, lo scontro si sposta dentro gli organi statutari (assemblea dei parlamentari, che sarà in streaming, e dopo, forse, consultazione degli iscritti sul web, anche perché c’è da approvare la decisione di accedere al 2xmille) lo show down non tarderà ad arrivare. Le truppe sono già pronte e Di Maio fa proseliti, almeno tra i parlamentari.

 

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
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