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[Esclusiva] Il patto segreto tra Ndrangheta, Cosa Nostra e massoneria per la strage dei carabinieri

C'era anche la 'Ndrangheta con Cosa nostra quando, a partire dell'ottobre del 1993 e fino all'inizio del 1994, fu messa in atto una strategia stragista contro l'Arma dei carabinieri. Diventati bersagli per vendicarsi del colonnello Mori e del capitano De Donno

Guido Ruotolodi Guido Ruotolo   
[Esclusiva] Il patto segreto tra Ndrangheta, Cosa Nostra e massoneria per la strage dei carabinieri

Giuseppe Graviano, il capomafia del mandamento di Brancaccio, Palermo, in quei giorni di gennaio del 1994 era radioso. Al bar Doney di via Veneto, a Roma, incontrandosi con Gaspare Spatuzza, diventato poi pentito, disse che avevano il Paese in mano. E disse anche che «bisognava dare un colpo di grazia allo Stato, e che i calabresi si erano già mossi».

A cosa si riferiva Graviano? Alla Ndrangheta che aveva condiviso la strategia stragista contro i carabinieri, alle riunioni congiunte di Cosa nostra con la Ndrangheta tenute nella piana di Gioia Tauro, nelle campagne di Melicucco, e  nel vibonese, a Nicotera Marina.



La 'Ndrangheta, confida Graviano nei primi giorni del 1994 a Gaspare Spatuzza, si mosse per prima. Nella notte tra l'1 e il 2 dicembre 1993, in località Sarcinello di Reggio Calabria, una mitraglietta M12 aprì il fuoco contro una pattuglia dei carabinieri, ferendo due militari.
Il 18 gennaio del 1994, all'altezza di Scilla sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria, la stessa mitraglietta uccise due carabinieri, Antonino Fava e Giuseppe Garofalo. Il primo febbraio, altri colpi della stessa arma da fuoco ferirono altri due carabinieri, sempre a Reggio Calabria.

Il 27 gennaio del 1994, intanto, i due fratelli Graviano furono arrestati. In queste ore vengono eseguite due ordinanze di custodia cautelare una in carcere, nei confronti di Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio (Palermo) ed esponente di vertice di Cosa nostra (già detenuto), e l'altra è eseguita nei confronti di Rocco Santo Filippone, capo della Ndrangheta che fa riferimento alla potente famiglia Piromalli di Gioia Tauro.

I due rappresentanti di Cosa nostra e della Ndrangheta sono accusati di essere i mandanti del duplice omicidio e dei due tentati omicidi nei confronti dei carabinieri. Attentati avvenuti nella provincia di Reggio Calabria.

Dunque, c'era anche la 'Ndrangheta con Cosa nostra quando, a partire dell'ottobre del 1993 e fino all'inizio del 1994, fu messa in atto una strategia stragista contro l'Arma dei carabinieri. Diventati bersagli per vendicarsi del colonnello Mori e del capitano De Donno, ritenuti inaffidabili e nemici avendo intavolato - secondo i capi di Cosa nostra - una trattativa il cui unico risultato fu la cattura il 15 gennaio del 1993 del Capo dei capi, Totò Rina.
 Quell'offensiva contro i carabinieri doveva culminare con la strage allo stadio Olimpico di Roma, che doveva uccidere il maggior numero di carabinieri, il 22 gennaio del 1994. Ma il congegno di accensione dell'autobomba non si azionò.

L'inchiesta reggina mette a fuoco solo uno spezzone di un film che si apre con la decisione della Cassazione di condannare al carcere a vita i capi mafia del maxiprocesso. Anzi con l'omicidio del sostituto procuratore della Cassazione, Antonino Scopelliti, 9 agosto 1991, a Villa san Giovanni. Scopelliti doveva svolgere la requisitoria contro i capimafia in Cassazione. E che si concluderà con l'attentato al pentito Totuccio Contorno, il 14 aprile del 1994. L'inchiesta di oggi si limita al coinvolgimento della Ndrangheta nella offensiva stragista di Cosa nostra contro i carabinieri.

Ma ci sono indagini anche sull'omicidio Scopelliti, che potrebbe essere stato ucciso per un favore chiesto dai palermitani alla Ndrangheta. Ma forse qualcosa in più e più coinvolgente.

Secondo la Procura di Reggio Calabria, protagonisti della stagione stragista non furono soltanto Cosa nostra e Ndrangheta: «Sullo sfondo appare chiara la presenza di suggeritori occulti da individuarsi in schegge di istituzioni deviate, a loro volta collegate a settori della P2 ancora in cerca di rivincite».
La posta in gioco dell'offensiva contro i carabinieri, ricostruiscono gli inquirenti reggini grazie anche al contributo di un centinaio di collaboratori di giustizia, «era la necessità, per le mafie, di partecipare a quella complessiva opera di vera e propria ristrutturazione degli equilibri di potere in atto in quegli anni. E tale strategia appariva condivisa da schegge di istituzioni deviate da individuarsi in soggetti collegati a Servizi di informazione che ancora all'epoca mantenevano contatti con il piduismo. La stessa idea di rivendicare con la sigla Falange Armata le stragi mafiose e vari delitti compiuti dalle mafie fra cui gli attentati alle pattuglie dei carabinieri nella provincia reggina, è da farsi risalire a suggeritori appartenenti ai servizi d'informazione dell,epoca, nei cui confronti le indagini proseguiranno».

Le indagini della Procura Antimafia di Reggio Calabria, coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, della squadra mobile reggina e dell'Antiterrorismo hanno riscritto la storia martoriata dell'Italia di quegli anni.

Per un quarto di secolo, quella fase storica era stata circoscritta solo alla decisione dei Corleonesi di cambiare cavallo, nei rapporti con la politica (l'omicidio il 12 marzo del 1992 dell'eurodeputato andreottiano Salvo Lima è stato il segnale)  e con la giustizia (Falcone e aborsellino prima e poi le stragi di Roma, Firenze e Milano come ritorsione contro il carcere duro, il 41 bis).

L'inchiesta di Reggio Calabria sembra dirci che c'è anche dell'altro. Che le mafie volevano una classe politica loro diretta emanazione. Quando entra in campo anche la Ndrangheta qualcosa cambia. Secondo la Procura di Reggio, la mafia calabrese «risultava particolarmente inserita in quei rapporti con la destra eversiva e la massoneria occulta, proprio in quel periodo stravista in cui entrambe le organizzazione sostennero il disegno federalista attraverso le leghe meridionali».

Guido Ruotolodi Guido Ruotolo   
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