[L’analisi] Pregiudicati, indagati e arrestati. Il parlamento siciliano è già azzoppato. Il figlio di Genovese recordman di voti ha nascosto milioni di euro
ll tasso di inquinamento “giudiziario” è altissimo. Un campanello d’allarme che solleva una grande questione democratica al sud, stretta tra mafia e corruzione, tra classe dirigente inadeguata e ceto politico colluso.

Nasce con un presidente al di sopra di ogni sospetto, Nello Musumeci, la legislatura. Ma la nuova Assemblea regionale siciliana è già azzoppata dagli arresti e dalle indagini che rischiano di travolgerla. Che sollevano sospetti e dubbi sulla stessa legittimazione della giunta regionale che sta per muovere i suoi primi passi, non ancora eletta. Condizionata da pregiudicati e indagati, da deputati arrestati, ai domiciliari, o sospettati di reati gravissimi.
Stamani a ricevere la comunicazione di essere finito indagato per riciclaggio e sottrazione indebita è stato il messinese Luigi Genovese, la rivelazione di questa campagna elettorale. Appena 21 anni, studente alla Luiss di Roma, Luigi è figlio d’arte, di quel Francantonio Genovese deputato nazionale oggi di Forza Italia arrestato e condannato in primo grado a 11 anni di carcere per i corsi di formazione professionale. E Luigi ha sfiorato le 18.000 preferenze. Un record.
Mentre in Sicilia si sfogliano i petali della margherita degli eletti indagati, a Roma il Consiglio dei ministri ha sciolto per mafia cinque consigli comunali calabresi, infiltrati dalla Ndrangheta: Lamezia Terme, Cassano sullo Jonio, Marina di Gioiosa Ionica, Isola di Capo Rizzuto e Petronà. È impressionante che a distanza di un quarto e più di secolo dall’entrata in vigore di una legge emergenziale, lo scioglimento di un consiglio comunale o di una Asl solo per il sospetto che possano essere inquinati da presenze o complicità con la mafia, il governo sia costretto ad applicarla.
Sono centinaia i comuni sciolti per mafia. E spesso un solo comune è già stato sciolto due, tre volte. Adesso, poi, vengono sciolte anche le amministrazioni locali del Nord, della Lombardia, della Liguria o del Piemonte. Dal giorno della conclusione dello spoglio delle schede elettorali, sono già quattro i deputati regionali siciliani finiti nei guai. L’ultimo, stamani, il neo deputato Luigi Genovese. Stamani la Guardia di finanza ha messo i sigilli ai beni della famiglia, dei genitori e dei figli Genovese. 25 milioni di euro in contanti su un conto corrente in una banca di Montecarlo, ville e appartamenti in Sicilia e a Roma. E poi società registrate a Panama.
Prima di Genovese era finito nei guai il deputato sempre di Forza Italia, Riccardo Savona, accusato di truffa e appropriazione indebita. Ed Edy Tamajo, eletto nella lista centrista dell’ex ministro Cardinale che appoggiava il candidato del centrosinistra Fabrizio Micari. Tamajo è sospettato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale. Avrebbe comprato un voto con 25 euro.
E prima ancora era stato arrestato (detenzione ai domiciliari) l’Udc Cateno De Luca per evasione fiscale. Mentre una misura cautelare era arrivata per estorsione anche al primo dei non eletti nel collegio di Agrigento dei Cinque Stelle, Fabrizio La Gaipa, imprenditore alberghiero. Costringeva i suoi dipendenti a restituire una quota dello stipendio in contanti. E dire che le polemiche non avevano risparmiato la campagna elettorale per la ventina di “impresentabili” presenti nelle liste, soprattutto del centrodestra. Addirittura nelle prime ore della campagna elettorale f7 arrestato il sindaco di Priolo, candidato di Forza Italia.
Di questo passo, le sorprese giudiziarie non sono ancora concluse. Il tasso di inquinamento “giudiziario” è altissimo. Un campanello d’allarme che solleva una grande questione democratica al sud, stretta tra mafia e corruzione, tra classe dirigente inadeguata e ceto politico colluso.