Sinodo e pace di Francesco fanno discutere. Vigilia effervescente del viaggio in Ungheria
Aumenta presenza dei laici al sinodo e metà sono donne. Udienza del Papa al primo ministro ucraino
Vigilia effervescente del viaggio del papa in Ungheria, dominato senza dubbio dal tema della pace in Ucraina. Questa almeno è l’intenzione chiara di Francesco che al termine dell’udienza al primo ministro dell’Ucraina, Denys Shmyhal, stamani in Vaticano gli ha regalato una scultura in bronzo con l’iscrizione “la pace è un fiore fragile”. Non ci vuole molto per fare la guerra; fare la pace è sempre difficile. Il papa ne è convinto e proprio per questo tutte le volte che parla in pubblico richiama la dolorosa situazione della popolazione ucraina e chiede di pregare per la pace.
Nello stesso tempo la Santa Sede si è adoperata in ogni modo per una conferenza di pace che ponga fine alla guerra e disegni percorsi futuri di solidarietà, giustizia e fraternità. “Durante i cordiali colloqui del primo ministro ucraino in Segreteria di Stato – recita una nota ufficiale della Sala Stampa Vaticana al termine della visita - sono state evidenziate le varie questioni collegate alla guerra in Ucraina, riservando una particolare attenzione all’aspetto umanitario e agli sforzi per ristabilire la pace”.
Il viaggio del papa in Ungheria da domani a domenica prossima, fortemente voluto da Francesco, superando i dubbi suscitati dal suo recente ricovero al policlinico Gemelli, potrebbe forse concorrere ad aprire qualche spiraglio in questa direzione dal momento che l’Ungheria confina con l’Ucraina e il primo ministro Orban è un buon interlocutore di Putin. Sul fronte ecclesiastico, questa vigilia è stata movimentata dalla notizia ufficiale che al prossimo Sinodo dei Vescovi prenderanno parte anche 70 laici, per metà uomini e metà donne e tutti con diritto di voto. Così ha voluto Francesco.
Anche i religiosi che in passato eleggevano nei loro organismi generali 10 superiori per i sinodi, ora dovranno contentarsi di eleggerne 5: i restanti 5 saranno per la prima volta suore superiore generali. Tutti questi laici e laiche indicate dagli organismi competenti dovranno essere confermati dal papa come del resto tutti gli altri membri cardinali e vescovi che verranno eletti dai rispettivi organismi delle Conferenze episcopali. Al papa inoltre compete anche la scelta di una congrua rappresentanza dei Dicasteri Vaticani. Queste nuove disposizioni sulla presenza di laici e laiche, con diritto di voto al pari dei vescovi, è stata accolta con preoccupazione da una parte e con soddisfazione da un’altra parte di cattolici.
Non sono mancati immancabili grilli parlanti sempre critici qualunque sia la decisione di Francesco: alcuni critici perché è poca l’innovazione; altri perché è troppa. In realtà in una comunità di cattolici diffusa in tutti i continenti è difficile contentare tutti alla stessa maniera. Più importante è favorire per quanto possibile un cammino condiviso e aperto al futuro di tutto il popolo di Dio. E questo esige non solo una visione del futuro, ma anche una capacità di guida graduale verso il cambiamento necessario. Tenendo ben presente che la Chiesa non è una democrazia alla maniera degli Stati democratici dove l’ultima parola ce l’hanno le maggioranze degli elettori.
Nella Chiesa oltre al dibattito che non manca, l’ultima parola non ce l’ha il popolo di Dio (comprensivo di ecclesiastici e laici nella loro totalità) ma la parola di Dio, ossia il Vangelo, la cui interpretazione in una ultima istanza è riservata al papa e al Collegio episcopale. E’ quindi già un progresso quello registrato nei dieci anni di pontificato di Francesco per la promozione delle donne: si stanno realizzando più progressi che in tutti i 50 anni seguiti al concilio Vaticano II. In qualche modo e con altre parole tali concetti prudenziali, nel senso che anche le alte autorità ecclesiastiche hanno coscienza di non avere l’ultima parola, ma solo l’ultimo parere di conformità al Vangelo delle richieste e delle proposte su cui si dibatte ormai liberamente nella Chiesa anche su argomenti ancora divisivi (sacerdozio delle donne, celibato obbligatorio dei preti, piena integrazione di sposi divorziati e risposati).
L’ultima parola è del magistero che è tenuto a ben capire e studiare cosa dice il Vangelo nell’odierna vita della gente. Prima che un potere, quello dei vescovi è una responsabilità non agevole perché devono sempre tenere presente che il loro ruolo è di servizio e non di potere. Parlando di queste innovazioni nel sinodo del prossimo ottobre che sarà specialissimo essendo il primo con una larghissima partecipazione e consultazione dei fedeli nei vari continenti, i cardinali Mario Grech segretario del Sinodo dei vescovi e Jean-Claude Hollerich, relatore indicato dal papa hanno chiarito che la nuova disposizione voluta da Francesco "non è una rivoluzione, ma una ricchezza per la Chiesa che sarà più completa". “Questa decisione – spiegano dalla Segreteria generale del Sinodo - rinforza la solidità del processo nel suo insieme, incorporando nell'Assemblea la memoria viva della fase preparatoria, attraverso la presenza di alcuni di coloro che ne sono stati protagonisti.
In questo modo la specificità episcopale dell’Assemblea sinodale non risulta intaccata, ma addirittura confermata". "Si parla del 21% dell’Assemblea che rimane plenariamente un’Assemblea dei vescovi, con una certa partecipazione di non vescovi", ha ribadito ancora Hollerich. "La loro presenza assicura il dialogo tra la profezia del popolo di Dio e il discernimento dei pastori, la circolarità messa in atto durante tutto il processo sinodale". Il cardinale Hollerich, gesuita e arcivescovo di Lussemburgo, relatore generale, spiega in una intervista con i media vaticani la nuova composizione dell’assemblea di ottobre sulla sinodalità. E sottolinea come la Chiesa sia chiamata ad essere missionaria, con le sue diversità, mettendo Cristo al centro. Non è una novità vera e propria, perché già nel passato ci sono stati membri con diritto di voto che non erano vescovi.
Non ci sono state donne votanti, ma membri non vescovi sì. Si può dunque dire che quel piccolo gruppo diventa ora più ampio. Il Sinodo rimane dei vescovi. Questo camminare insieme della Chiesa secondo Hollerich, è anche “una risposta alla malattia del nostro tempo” caratterizzato da un individualismo che si accentua ogni giorno di più. “E vediamo – aggiunge - che con questo individualismo l’umanità non può sussistere: abbiamo bisogno di elementi comunitari per sopravvivere. C’è poi il fenomeno della crescente polarizzazione, nella società e nei media, anche in quelli che si richiamano al cattolicesimo. Il popolo di Dio che cammina insieme è una risposta a queste tendenze. Attenzione: non è che abbiamo “inventato” la sinodalità per rispondere a queste tendenze, ma è piuttosto lo Spirito Santo che in questo periodo ha suscitato di nuovo il desiderio della sinodalità già sperimentato delle prime comunità cristiane. Ed è un modo per rispondere alle sfide che ci troviamo di fronte, perché altrimenti l’umanità è in pericolo”.