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Guarda la stella dei Magi e cammina: Francesco dalla parte dei bambini e bambine

All’Angelus, nella messa e nel Messaggio per la giornata missionaria il papa ricorda il dovere dei cristiani di non fare proselitismo ma tutti insieme di annunciare e testimoniare Gesù del presepio e risorto

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Papa Francesco (Ansa)
Papa Francesco (Ansa)

Nella Festività dell’Epifania papa Francesco ha invitato tutti e in particolare i cristiani a guardare la stella dei Magi, camminando nella vita quotidiana verso dove quella stella porta: Gesù di Nazaret, vero volto umano di Dio che si fa bambino. E i bambini sono stati centrali nelle parole del papa che già ieri, con un appello forte e inatteso per chiedere di semplificare l’attuale iter burocratico per l’adozione. Si è schierato così per qui tantissimi bambini senza genitori che aiutano le tante famiglie di oggi a uscire dal proprio egoismo tipico di benestanti per aprirsi all’accoglienza. I bambini e le bambine, ricorda il papa, sono capaci di contribuire anche loro all’azione missionaria della Chiesa.

“L’Epifania – ha detto all’Angelus - è in modo speciale la festa dell’infanzia missionaria, cioè di quei bambini e ragazzi – sono tanti, in vari Paesi del mondo – che si impegnano a pregare e a offrire i loro risparmi perché il Vangelo sia annunciato a quanti non lo conoscono. Voglio dire a loro il mio grazie: bambini e bambine, grazie!, e ricordare che la missione comincia con la testimonianza cristiana nella vita di tutti i giorni”. Proprio la testimonianza, già dal titolo (Di me sarete testimoni) è uno dei perni del Messaggio del papa diffuso oggi per la Giornata Missionaria Mondiale 2022 che si celebrerà nel prossimo mese di ottobre. Per sua natura la Chiesa è missionaria, ossia nata per annunciare il Vangelo di Gesù e viverlo. Diversamente non avrebbe alcun senso. È il punto centrale – sostiene Francesco - il cuore dell’insegnamento di Gesù ai discepoli in vista della loro missione nel mondo.

Tutti i discepoli “saranno testimoni di Gesù grazie allo Spirito Santo che riceveranno: saranno costituiti tali per grazia. Ovunque vadano, dovunque siano. Come Cristo è il primo inviato, cioè missionario del Padre e, in quanto tale, è il suo “testimone fedele”, così ogni cristiano è chiamato a essere missionario e testimone di Cristo. E la Chiesa, comunità dei discepoli di Cristo, non ha altra missione se non quella di evangelizzare il mondo, rendendo testimonianza a Cristo. L’identità della Chiesa è evangelizzare”.

Nella storia intorno alla Chiesa sono nate infinite polemiche, contraddizioni e persecuzioni. Ma a ben vedere ogni polemica potrebbe venir meno se si tenesse presente la vera natura della Chiesa. La polemica più vera e necessaria è stata avanzata proprio da papa Francesco che dall’inizio del pontificato richiama la Chiesa a superare radicalmente il clericalismo, quel modo di vedere e vivere la Chiesa come garanzia del potere degli ecclesiastici. Egli sottolinea “il carattere comunitario-ecclesiale della chiamata missionaria dei discepoli. Ogni battezzato è chiamato alla missione nella Chiesa e su mandato della Chiesa: la missione perciò si fa insieme, non individualmente, in comunione con la comunità ecclesiale e non per propria iniziativa. E se anche c’è qualcuno che in qualche situazione molto particolare porta avanti la missione evangelizzatrice da solo, egli la compie e dovrà compierla sempre in comunione con la Chiesa che lo ha mandato”.

Su questo punto inflessibile era anche Paolo VI, oggi santo, del quale papa Bergoglio rivela di essere particolarmente affezionato all’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, del 1975. “Documento a me molto caro” chiosa Francesco proprio per la sua forte carica missionaria che appiana ogni possibile contestazione e pone al centro Cristo il solo che la Chiesa deve annunciare. A proposito della testimonianza cristiana, “rimane sempre valida l’osservazione di San Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. Perciò è fondamentale, per la trasmissione della fede, la testimonianza di vita evangelica dei cristiani”.

Nell’evangelizzazione, perciò, “l’esempio di vita cristiana e l’annuncio di Cristo vanno insieme. Sono i due polmoni con cui deve respirare ogni comunità per essere missionaria. Questa testimonianza completa, coerente e gioiosa di Cristo sarà sicuramente la forza di attrazione per la crescita della Chiesa anche nel terzo millennio. Esorto pertanto tutti a riprendere il coraggio, la franchezza, quella parresia dei primi cristiani, per testimoniare Cristo con parole e opere, in ogni ambiente di vita”. A causa di persecuzioni religiose e situazioni di guerra e violenza, molti cristiani nel tempo presente “sono costretti a fuggire dalla loro terra verso altri Paesi. Siamo grati a questi fratelli e sorelle che non si chiudono nella sofferenza ma testimoniano Cristo e l’amore di Dio nei Paesi che li accolgono. A questo li esortava San Paolo VI considerando la «responsabilità che spetta agli emigranti nei Paesi che li ricevono».

In effetti, sempre più sperimentiamo come la presenza dei fedeli di varie nazionalità arricchisce il volto delle parrocchie e le rende più universali, più cattoliche. Di conseguenza, la cura pastorale dei migranti è un’attività missionaria da non trascurare, che potrà aiutare anche i fedeli locali a riscoprire la gioia della fede cristiana che hanno ricevuto”. Francesco chiarisce che “La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. In questo senso, la missione sarà sempre anche missio ad gentes, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, perché la Chiesa dovrà sempre spingersi oltre, oltre i propri confini, per testimoniare a tutti l’amore di Cristo. Vorrei in proposito ricordare e ringraziare i tanti missionari che hanno speso la vita per andare “oltre”, incarnando la carità di Cristo verso i tanti fratelli e sorelle che hanno incontrato”.

Nell’omelia in san Pietro il papa ha invitato a pensare ai “sapienti venuti da lontano, ricchi, colti, conosciuti, che si prostrano, cioè si chinano a terra per adorare un bambino! Sembra una contraddizione. Sorprende un gesto tanto umile compiuto da uomini così illustri. Prostrarsi davanti a un’autorità che si presentava con i segni della potenza e della gloria era cosa abituale al tempo. E anche oggi non sarebbe strano. Ma davanti al Bambino di Betlemme non è semplice. Non è facile adorare questo Dio, la cui divinità rimane nascosta e non appare trionfante. Vuol dire accogliere la grandezza di Dio, che si manifesta nella piccolezza: questo è il messaggio. I magi si abbassano di fronte all’inaudita logica di Dio, accolgono il Signore non come lo immaginavano, ma così com’è, piccolo e povero. La loro prostrazione è il segno di chi mette da parte le proprie idee e fa spazio a Dio”.

L’Epifania secondo Francesco, ponendo al centro l’esempio dei Magi, persone umili che riconobbero Gesù nelle vesti di un umile bambino e lo adorarono ha chiarito che “se al centro di tutto rimaniamo sempre noi con le nostre idee e presumiamo di vantare qualcosa davanti a Dio, non lo incontreremo mai fino in fondo, non arriveremo ad adorarlo. Se non cadono le nostre pretese, le vanità, i puntigli, le corse per primeggiare, ci capiterà di adorare pure qualcuno o qualcosa nella vita, ma non sarà il Signore!”. Dai Magi “si può prendere questo consiglio: guarda la stella e cammina”. Come per i magi, così per noi: “Il viaggio della vita e il cammino della fede hanno bisogno di desiderio, di slancio interiore. A volte noi viviamo uno spirito di “parcheggio”, viviamo parcheggiati, senza questo slancio del desiderio che ci porta più avanti. Ci fa bene chiederci: a che punto siamo nel viaggio della fede? Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa? È triste quando una comunità di credenti non desidera più e, stanca, si trascina nel gestire le cose invece che lasciarsi spiazzare da Gesù, dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo. È triste quando un sacerdote ha chiuso la porta del desiderio; è triste cadere nel funzionalismo clericale, è molto triste”.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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