La denuncia di Francesco nella festa di S. Giuseppe lavoratore: "Troppi morti sul lavoro"
Dopo il Regina coeli il papa rinnova l’appello per la pace e l’apertura di corridoi umanitari a Mariupol. Ricordo anche per i giornalisti ucciso o incarcerati nel mondo

Il pensiero dominante di papa Francesco resta ancora l’emergenza pace e il superamento del conflitto in Ucraina, ma non si è dimenticato del lavoro, l’altra emergenza sociale dove continua a non esservi pace. Poche righe, ma quasi fulminanti per l’attualità dedicate oggi dal papa al lavoro dove si continua a morire e i morti sono troppi. “E oggi – ha detto il papa dopo la recita del Regina coeli in occasione della festa di san Giuseppe lavoratore e primo giorno del mese dedicato alla Madonna - è la festa del lavoro. Che sia stimolo a rinnovare l’impegno perché dovunque e per tutti il lavoro sia dignitoso. E che dal mondo del lavoro venga la volontà di far crescere un’economia di pace. E vorrei ricordare gli operai morti nel lavoro: una tragedia molto diffusa, forse troppo”.
Interessante e imprevisto il cenno all’economia di pace entro cui si può garantire anche una sicurezza maggiore per i lavoratori oggi piuttosto precaria di fronte all’alto numero di morti sul lavoro in tempo di pace. Una riflessione che mette radicalmente in discussione l’attuale assetto del lavoro dove la persona non gode ancora della centralità di garanzie e di politiche per l’impiego per i giovani e le donne.
Ma non c’è dubbio che la priorità nell’attuale congiuntura internazionale viene data da papa Francesco alla ricerca della pace, dal momento che la guerra in corso in Ucraina mette in forse il futuro prossimo dell’umanità. Sulla pace, dal primo momento del conflitto il papa ha offerto una graduale e ampia riflessione sui pericoli che comporta la guerra e l’urgenza di porvi fine. I suoi interventi quasi quotidiani fanno parte di una visione organica di pace. Egli spinge per un pensiero rinnovato della geopolitica richiesta dai tempi, dal momento che l’attuale gestione delle politiche internazionali non sono in grado di far fronte alle crisi e sanare i conflitti nelle più diverse e impensate aree del mondo. L’aggressione all’Ucraina ha segnato la fine della condizione privilegiata dell’Europa e dell’Occidente di amministrare guerre per procura in altre parti del mondo.
Ora la guerra ha bussato in casa dell’Europa e il risveglio è stato amaro e destabilizzante come non si era prima immaginato. Tanto che mentre i vari governi pensano a come gestire la guerra, Francesco rimane l’unico a porsi il problema di come ripristinare la pace su basi nuove rispetto al recente passato che si è dimostrato insufficiente per garantirla. In questo più che a moltiplicare i motivi di lite, egli pensa che dalla situazione presente si esca solo con la coraggiosa decisione globale di voltare pagina.
Per la pace bisogna infondere la fiducia e la voglia di dialogo tra le diverse anime religiose, culturali, storiche che si stanno scontrando. Non è un caso che dopo il cenno avanzato dal presidente Mattarella sullo spirito della Conferenza di Helsinki del 1975 che stemperò il confronto con il dialogo nella guerra fredda, analogo richiamo è stato rilanciato dal segretario di Stato vaticano Pietro Parolin nella presentazione con Romano Prodi di un libro di testi di papa Francesco contro la guerra. Tale è l’impasse attuale della guerra in Ucraina, pericolosamente aperta a esiti esiziali di conflitto mondiale, che Parolin ha evocato proprio la necessità di ripartire con quel metodo di ascolto reciproco e di progetto in comune di un nuovo modo di capire e risolvere il contenzioso. Helsinki ebbe dell’incredibile perché vi presero parte responsabili di 35 Paesi piccoli e grandi fino allora schierati su due fronti profondamente diversi. Non ci furono alcuni a decidere per tutti, ma tutti insieme a decidere regole e metodo della politica e dell’economia in un clima disteso, rispettoso delle diversità e del diritto. Regole del gioco che portarono al superamento della guerra fredda. Caduto il muro, si pensò che ciascuno poteva riprendere i propri interessi senza la solidarietà e la fiducia reciproca e negli anni si è giunti al confronto armato in Europa.
Papa Francesco ha avanzato un dubbio di metodo proprio oggi. “Oggi – ha osservato - inizia il mese dedicato alla Madre di Dio. Vorrei invitare tutti i fedeli e le comunità a pregare ogni giorno di maggio il Rosario per la pace. Il pensiero va subito alla città ucraina di Mariupol, “città di Maria”, barbaramente bombardata e distrutta. Anche ora, anche da qui, rinnovo la richiesta che siano predisposti corridoi umanitari sicuri per le persone intrappolate nell’acciaieria di quella città. Soffro e piango, pensando alle sofferenze della popolazione ucraina e in particolare ai più deboli, agli anziani e ai bambini. Giungono persino notizie terribili di bambini espulsi e deportati. E mentre si assiste a un macabro regresso di umanità, mi chiedo, insieme a tante persone angosciate, se si stia veramente ricercando la pace; se ci sia la volontà di evitare una continua escalation militare e verbale; se si stia facendo tutto il possibile perché le armi tacciano. Vi prego, non ci si arrenda alla logica della violenza, alla perversa spirale delle armi. Si imbocchi la via del dialogo e della pace!”.
Più chiaro di così Francesco non può essere. Più che interrogarsi sul perché non sia schierato da una parte o dall’altra, sarebbe tempo di interrogarsi se su voglia davvero la pace o la guerra per fini di parte, anziché per il bene comune di tutti i popoli. Forse non è un caso che il papa -magari pensando al ruolo essenziale dell’informazione per orientare la gente e la politica a scelte coraggiose per la pace – abbia ricordato la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, patrocinata dall’UNESCO che ricorre il 3 maggio. “Rendo omaggio ai giornalisti – ha detto Francesco - che pagano di persona per servire questo diritto. L’anno scorso nel mondo 47 sono stati uccisi e più di 350 incarcerati. Un grazie speciale a quanti di loro, con coraggio, ci informano sulle piaghe dell’umanità”.