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[L’analisi] Per Papa Francesco il tempo di Dio coincide con il tempo della Cina

Svolta storica tra Cina e Vaticano ma Francesco si preoccupa che il nuovo corso si sviluppi nella riconciliazione tra le varie anime dei cristiani cinesi e nella comprensione di ciò che significa la firma per la nomina dei vescovi. Un messaggio ai cattolici del mondo

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco, vaticanista   
Papa Francesco
Papa Francesco

Conclusa l’emergenza tra Cina e Vaticano dopo 70 anni di rapporti difficilissimi e dirottura completa seguita alla presa del potere da parte dei comunisti. Si è trattato della conclusione positiva della seconda lunga marcia, dopo quella celebre che aveva portato al potere Mao Zedong. Nella firma di un accordo per la nomina dei vescovi che porta a superare sia lo scisma interno alla Chiesa cinese, sia l’indebita ingerenza dello Stato è contenuto molto di più a livello simbolico. La Chiesa chiude un fronte spinosissimo, un’era dei martiri in Cina e Pechino conferma con un gesto di rilevanza internazionale la sua disponibilità e capacità di dialogo che sembra guidare il cammino verso la leadershep mondiale perseguita con tenacia e pazienza.
La firma dell’Accordo Provvisorio del 22 settembre tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese ha provocato sentimenti contrastanti specialmente all’interno della Chiesa cattolica. Per anni e anni la condizione dei cattolici cinesi perseguitati per la loro fedeltà alla fede era stata seguita con larga partecipazione mondiale. Si pregava per loro, si aiutava la chiesa clandestina con ogni maniera possibile e si soffriva per quei vescovi che anziché andare nei campi di lavoro per la fedeltà al vescovo di Roma avevano dato vita e permettevano lo sviluppo della Chiesa Patriottica.
Si trattava di un braccio di ferro dall’esito incerto e pericoloso se non si fosse sviluppata la mentalità di dialogo inaugurata da Papa Giovanni con il concilio e successivamente incarnata nell’ostpolitik del cardinale Casaroli sempre avversata dalle destre cattoliche. Per la Cina la politica dei piccoli passi sembrava inefficace, ma alla lunga ha dato i suoi frutti dimostrando che parlarsi è sempre meglio che ignorarsi o combattersi. Papa Francesco ha rivendicato a sé la responsabilità ultima e determinante dell’Accordo che non è stato frutto spontaneo ma esito di una lunga attesa e lunga trattativa rimasta riservata per oltre 10 anni. L’arcivescovo Celli, proprio quello che era stato segretario di Casaroli ha fatto la spola tra Roma e Pechino, tenendo insieme tutte le varie istanze di studio, di missione, dipreghiera che si sviluppavano nel mondo cattolico nei confronti della Chiesa cinese. Solo ora possiamo sapere che mentre cresceva l’avversione e la sfiducia di parte importante della chiesa cinese verso la Repubblica, cresceva anche la volontà tra Governo e Vaticano, tenuta segreta, di giungere a un accordo.

L’accordo sarà ratificato secondo la prassi

E’ circolata la voce che le clausole dell’Accordo siano secretate. Ma questo sussurrare fa parte della mentalità complottista che ha rallentato molto negli anni la possibilità di un’intesa. L’Accordo con la Cina in realtà non si differenzia nella forma da altri analoghi accordi che si stipulano a livello internazionale. Non tutto e subito di tali accordi viene reso pubblico. Cosa si sa, ad esempio, dei colloqui e degli accordi tra le Due Coree e tra il dittatore coreano del Nord e il Presidente degli Stati Uniti? La Santa Sedesegue un iter analogo. L’Accordo Provvisorio comunicato al pubblico avrà la sua convalida quando sarà ratificato e stampato negli Acta Apostolicae Sedis che, come noto, sono Atti che escono a rilento. In genere portano il ritardo di un anno di media sugli eventi trascritti.
Nel frattempo l’Accordo genera sviluppi pratici immediati. E così è stato. Lo stesso Francesco ha raccontato ai giornalisti la dinamica conclusiva dell’Accordo, sottolineando la grande importanza annessa alla sofferenza patita da tanti cattolici e, conscio della delicatezza del momento, ha scritto una lettera ai cattolici cinesi e a quelli di tutto il mondo per le prime indicazioni. Da papa, infatti, come prima preoccupazione è la ricomposizione degli animi per vivere al meglio il nuovo corso e camminare insieme verso una presenza efficace della testimonianza cristiana in Cina.
Davanti a contestazioni dell’ala tradizionale mai venuta meno, Francesco non si è nascosto. Ha affrontato le cose nella chiarezza.

La prima spiegazione di Francesco

“Voi sapete – ha detto ai giornalisti - che quando si fa un accordo di pace o un negoziato, ambedue le parti perdono qualcosa, questa è la regola. Ambedue le parti. E si va avanti. Questo processo è andato così: due passi avanti, uno indietro, due avanti, uno indietro…; poi sono passati mesi senza parlarsi, e poi… Sono i tempi di Dio, che assomigliano al tempo cinese: lentamente… Questa è saggezza, la saggezza dei cinesi”.
La prima cosa da fare era tornare alla normalità della nomina dei vescovi che trattandosi di successori degli apostoli e della figura di garanzia per la vita di comunità cristiane non poteva essere compito dello Stato. L’Accordo non ignora lo Stato che avrà un ruolo nel momento di designare eventuali candidati. Quindi la collaborazione consiste nel designare i candidati mentre la successiva nomina è riservata al solo Papa. Tra i candidati sarà il papa a scegliere chi diventerà vescovo. Sciogliere questo nodo non è stato semplice. “Le situazioni dei vescovi che erano in difficoltà – ha ricordato Francesco - sono state studiate caso per caso, e alla fine i dossier sono arrivati sulla mia scrivania e sono stato io il responsabile della firma, nel caso dei vescovi. Per quanto riguarda l’Accordo, sono passate le bozze sulla mia scrivania, si parlava, davo le mie idee, gli altri discutevano e andavano avanti. Penso alla resistenza, ai cattolici che hanno sofferto: è vero, loro soffriranno. Sempre in un accordo c’è sofferenza. Ma loro hanno una grande fede e scrivono, fanno arrivare messaggi, affermando che quello che la Santa Sede, che Pietro dice, è quello che dice Gesù: cioè la fede “martiriale” di questa gente oggi va avanti. Sono dei grandi. E l’Accordo l’ho firmato io, le Lettere Plenipotenziarie per firmare quell’Accordo. Io sono il responsabile. Gli altri, che ho nominato, hanno lavorato per più di dieci anni. Non è un’improvvisazione: è un cammino, un vero cammino”. Il papa ha pure osservato perché mai nessuno ha contestato il fatto che per 350 anni in America Latina i candidati all’episcopato avveniva con un accordo tra Santa Sede e re cattolici. Analoga prassi si è mantenuta nell’impero austroungarico. Perché dunque non farlo con la Repubblica Popolare Cinese?
“Maria Teresa – ha ricordato Francesco non senza ironia - si è stancata di firmare nomine di vescovi, e dava la giurisdizione al Vaticano. Altre epoche, grazie a Dio, che non si ripetano! Ma il caso attuale non è per la nomina: è un dialogo sugli eventuali candidati. La cosa si fa in dialogo. Ma la nomina è diRoma; la nomina è del Papa, questo è chiaro. E preghiamo per le sofferenze di alcuni che non capiscono o che hanno alle spalle tanti anni di clandestinità”.
Superata dunque un’anomalia giuridica il papa ha voluto spiegare ai cattolici il senso dell’Accordo e quali prospettive esso apre per i futuri sviluppi che non mancheranno.

La forza del messaggio ai cattolici

“Negli ultimi tempi, - afferma il messaggio - sono circolate tante voci contrastanti sul presente e, soprattutto, sull’avvenire delle comunità cattoliche in Cina. Sono consapevole che un tale turbinio di opinioni e diconsiderazioni possa aver creato non poca confusione, suscitando in molti cuori sentimenti opposti. Per alcuni, sorgono dubbi e perplessità; altri hanno la sensazione di essere stati come abbandonati dalla Santa Sede e, nel contempo, si pongono la struggente domanda sul valore delle sofferenze affrontate per vivere nella fedeltà al Successore di Pietro. In molti altri, invece,
prevalgono positive attese e riflessioni animate dalla speranza di un avvenire più sereno per una feconda testimonianza della fede in terra cinese.
Tale situazione si è venuta accentuando soprattutto in riferimento all’Accordo Provvisorio fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese che, come sapete, è stato firmato nei giorni scorsi a Pechino. In un frangente tanto significativo per la vita della Chiesa, tramite questo breve Messaggio, desidero, innanzitutto, assicurarvi che siete quotidianamente presenti nella mia preghiera e condividere con voi i sentimenti che abitano il mio cuore”.
Papa Francesco non dimentica di essere gesuita, l’ordine religioso che più ha fatto – a partire da Matteo Ricci – per tessere un dialogo non superficiale ma in profondità dell’animo e della cultura cinese con la proposta del vangelo.
“Continuiamo a fissare lo sguardo sull’esempio di tanti fedeli e Pastori che non hanno esitato ad offrire la loro “bella testimonianza” al Vangelo, fino al dono della propria vita. Sono da considerarsi veri amici diDio!
Da parte mia, ho sempre guardato alla Cina come a una terra ricca di grandi opportunità e al Popolo cinese come artefice e custode di un inestimabile patrimonio di cultura e disaggezza, che si è raffinato resistendo alle avversità e integrando le diversità, e che, non a caso, fin dai tempi antichi è entrato in contatto con il messaggio cristiano. Come diceva con grande acume il P. Matteo Ricci, S.I., sfidandoci alla virtù della fiducia, «prima di contrarre amicizia, bisogna osservare, dopo averla contratta, bisogna fidarsi. È anche mia convinzione che l’incontro possa essere autentico e fecondo solo se avviene attraverso la pratica del dialogo, che significa conoscersi, rispettarsi e “camminare insieme” per costruire un futuro comune di più alta armonia”. In linea con la lettera alla Chiesa cattolica in Cina firmata da Benedetto XVI, anche Bergoglio offre linee di comportamento pratico.
Sul piano pastorale, “la Comunità cattolica in Cina è chiamata ad essere unita, per superare le divisioni del passato che tante sofferenze hanno causato e causano al cuore di molti Pastori e fedeli. Tutti i cristiani, senza distinzione, pongano ora gesti diriconciliazione e di comunione”.
Sul piano civile e politico, “i Cattolici cinesi siano buoni cittadini, amino pienamente la loro Patria e servano il proprio Paese con impegno e onestà, secondo le proprie capacità. Sul piano etico, siano consapevoli che molti concittadini si attendono da loro una misura più alta nel servizio al bene comune e allo sviluppo armonioso dell’intera società. In particolare, i Cattolici sappiano offrire quel contributo profetico e costruttivo che essi traggono dalla propria fede nel regno di Dio. Ciò può richiedere a loro anche la fatica didire una parola critica, non per sterile contrapposizione ma allo scopo di edificare una società più giusta, più umana e più rispettosa della dignità di ogni persona”.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco, vaticanista   
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