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L'appello di Francesco: basta divisione tra conservatori e progressisti

Incontro con la Curia per gli auguri natalizi. La differenza sta tra “innamorati e abituati” spiega il papa ai cardinali. Il bene vero cresce senza far rumore dice ai dipendenti vaticani

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
L'appello di Francesco: basta divisione tra conservatori e progressisti
Papa Francesco (Ansa)

Basta la divisione tra progressisti e conservatori per capire la Chiesa del concilio Vaticano II. Francesco propone di superare la polemica infinita con una nuova coppia di vocaboli che fanno la differenza: innamorati e abituati. La prospettiva che parta dall’amore di Dio attualizzato dal Natale è anche la via indicata per sburocratizzare la Curia Romana. Un obiettivo che Francesco ha proposto ai suoi diretti collaboratori in occasione degli auguri natalizi come segno di una conversione del cuore che accetta di vivere il proprio servizio “con lo stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza”. Ora che la riforma dell’istituzione è finalmente entrata in vigore si tratta di vivere con coraggio e umiltà la riforma del cuore delle persone che lavorano nella Curia Romana. Un rinnovamento possibile se appreso alla scuola del Natale di Gesù che rende attenti al contesto del mondo entro il quale si vive e nel quale non manca mai la luce e l’amore di Dio.

L'appello a cardinali e vescovi

“Abbiamo bisogno - ha ricordato il papa ai cardinali, ai vescovi, ecclesiastici e laici della Curia - di ascoltare e ricevere sempre questo annuncio, soprattutto in un tempo ancora tristemente segnato dalle violenze della guerra, dai rischi epocali a cui siamo esposti a causa dei cambiamenti climatici, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla fame – c’è fame nel mondo! – e da altre ferite che abitano la nostra storia”.  La risposta alla domanda di cambiamento del cuore Francesco la propone con tre verbi incarnati da tre personaggi del presepe: Ascoltare, discernere, camminare. Maria ricorda l’ascolto, il Battista ricorda il discernimento, i Magi ricordano il camminare. Parecchio spazio dedica Francesco a cogliere il senso dell’ascolto di Maria di Nazaret: “Ascoltare con il cuore è molto più che udire un messaggio o scambiarsi delle informazioni”, è l’inizio di un cammino. “Ascoltare “in ginocchio” è il modo migliore per ascoltare davvero, perché significa che non stiamo davanti all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già interpretato le cose prima ancora di ascoltare, di chi guarda dall’alto in basso ma, al contrario, ci si apre al mistero dell’altro, pronti a ricevere con umiltà quanto vorrà consegnarci”. Ascoltare “non è un ping pong” di parole senza cuore.

Lupi rapaci nella comunicazione

“A volte, anche nella comunicazione tra di noi, rischiamo di essere come dei lupi rapaci: cerchiamo subito di divorare le parole dell’altro, senza ascoltarle davvero, e immediatamente gli rovesciamo addosso le nostre impressioni e i nostri giudizi. Invece, per ascoltarsi c’è bisogno di silenzio interiore, ma anche di uno spazio di silenzio tra l’ascolto e la risposta”. Ecco quindi un’applicazione concreta ai collaboratori: “Fratelli e sorelle, anche nella Curia c’è bisogno di imparare l’arte dell’ascolto. Prima dei nostri doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto ascoltandoci a vicenda. Con il cuore e in ginocchio”.  Stimolante il ritratto del Battista, il grande precursore severo e rigido che davanti all’esempio di Gesù deve aggiornare la sua immagine del messia potente e vederlo con occhi nuovi. Riesce a mutare parere attraverso il discernimento che richiede umiltà e coraggio. Il discernimento “ci spoglia della pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le regole, dalla tentazione di procedere, anche nella vita della Curia, semplicemente ripetendo degli schemi”.

Il lavoro della curia

Anche nel lavoro di Curia, “deve aiutarci, anche nel lavoro della Curia, ad essere docili allo Spirito Santo, per poter scegliere gli orientamenti e prendere le decisioni non in base a criteri mondani, o semplicemente applicando dei regolamenti, ma secondo il Vangelo”. I Magi infine insegnano a camminare seguendo un esodo da noi stessi. “Anche nel servizio qui in Curia è importante restare in cammino, non smettere di cercare e di approfondire la verità, vincendo la tentazione di restare fermi e di “labirintare” dentro i nostri recinti e nelle nostre paure. Le paure, le rigidità, la ripetizione degli schemi generano staticità, che ha l’apparente vantaggio di non creare problemi – quieta non movere –, ci portano a girare a vuoto nei nostri labirinti, penalizzando il servizio che siamo chiamati a offrire alla Chiesa e al mondo intero. E restiamo vigilanti contro il fissismo dell’ideologia, che spesso, sotto la veste delle buone intenzioni, ci separa dalla realtà e ci impedisce di camminare”.

Ripartiamo da Dio

Quando il servizio che svolgiamo “rischia di appiattirsi, di “labirintare” nella rigidità o nella mediocrità, quando ci troviamo ingarbugliati nelle reti della burocrazia e del “tirare a campare”, ricordiamoci – suggerisce Francesco - di guardare in alto, di ripartire da Dio, di lasciarci rischiarare dalla sua Parola, per trovare sempre il coraggio di ripartire. E non dimentichiamo che dai labirinti si esce solo “da sopra”. A questo punto della riflessione il papa piazza un colpo da maestro per chiudere la mentalità attardata ancora a chiedersi come dividersi sul concilio Vaticano II. “Ci vuole coraggio per camminare, per andare oltre. È questione di amore. Ci vuole coraggio per amare. La fatica, oggi, è quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo. A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra “progressisti” e “conservatori”, ma questa non è la differenza: la vera differenza centrale è tra “innamorati” e “abituati”. Questa è la differenza. Solo chi ama può camminare”.

Il saluto ai cardinali

Al termine del discorso Francesco ha salutato singolarmente tutti cardinali presenti. Assente il cardinale Becciu privo ormai di ruolo. Quindi ha salutato i vescovi, gli ecclesiastici e i laici, donne e uomini con responsabilità e, infine, anche il personale di servizio. Successivamente nell’Aula Paolo VI ha incontrato i dipendenti laici del vaticano. Nel discorso Francesco ha sottolineato che il bene cresce senza fare rumore, specialmente nel nostro tempo “che a volte appare ossessionato dall’apparire, tutti cercano di mettere in vetrina sé stessi. C'è il tempo del trucco - tutti si truccano, non solo la faccia, ma si truccano l'anima è questo è brutto - e cercando di mettere in vetrina sé stessi, apparire, specialmente attraverso i cosiddetti social. È un po’ come volere dei preziosi bicchieri di cristallo senza preoccuparsi che il vino sia buono. Il vino buono lo si beve in un vaso comune. Ma in famiglia le apparenze e le maschere non contano, in famiglia si sa tutto, o comunque durano poco; ciò che conta è che non venga a mancare il vino buono dell’amore, della tenerezza e della compassione reciproca”.

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