Appello di Francesco per il Niger e il Sahel. Fraternità per guarire dal male della guerra
All’Angelus il Papa completa una settimana impegnata per pace e disarmo e invita a preferire l’amicizia allo scontro
La fraternità è la medicina più appropriata per guarire dal male della guerra che affligge tante popolazioni nel mondo. Questa convinzione guida le preoccupazioni del papa per i tanti fronti di conflitto che anziché ridursi, si ampliano. Nella recita dell’Angelus odierno accanto al conflitto ucraino compare un pressante invito a declinare la tentazione di risolvere i problemi con il ricorso alla guerra in Niger e nel Sahel.
Ma già ieri con uno tweet in occasione della Giornata Mondiale dell’aiuto umanitario aveva indicato una via pratica oltre le parole: ridurre le spese militari e convertirle in aiuti umanitari. “È nostra responsabilità - si legge nel tweet - aiutare a estirpare dai cuori l’odio e la violenza. Incoraggiamo a deporre le armi, a ridurre le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte in strumenti di vita”.
Nel dopo Angelus il pensiero dominante è stato per il Niger, teatro di un colpo di stato militare che ha suscitato la reazione di parecchi paesi vicini. Ora si respira vigilia di guerra e si teme che sia la soluzione militare a prevalere sulla diplomazia apparsa finora impotente a risolvere i contrasti. “Mi unisco all'appello dei vescovi in favore della pace nel Paese e della stabilità nella regione del Sahel. Accompagno con la preghiera gli sforzi della comunità internazionale per trovare al più presto una soluzione pacifica per il bene di tutti”. E mentre invita a pregare per il “caro popolo del Niger”, il papa raccomanda di invocare la pace "per tutte le popolazione ferite da guerre e violenze, specialmente - sottolinea - preghiamo per l'Ucraina che da tanto tempo soffre".
La via della pace e dell’amicizia tra i popoli viene indicata anche nel messaggio inviato a nome del papa dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin al Meeting di Rimini aperto questa mattina dal cardinale Zuppi e che diventerà tribuna aperta alla politica italiana in attesa delle conclusioni del presidente della Repubblica Mattarella. “Papa Francesco – si legge nel messaggio del cardinale Parolin - auspica che il Meeting per l’amicizia tra i popoli continui a promuovere la cultura dell’incontro, aperto a tutti, nessuno escluso, perché in chiunque c’è un riflesso del Padre che «dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa». Possa ognuno dei partecipanti imparare un po’ ad accostare gli altri alla maniera di Gesù, che «sempre tende la mano, sempre cerca di sollevare, di fare in modo che la gente guarisca, che sia felice”. L’idea che cambiare è possibile per fare il bene ricorre anche nella spiegazione del Vangelo odierno offerta ai fedeli in Piazza san Pietro.
C’è un dialogo tra Gesù e una donna cananea, estranea perciò al popolo d’Israele che chiede a Gesù di guarire la figlia tormentata da un demonio. E tanto insiste che Gesù davanti a tanta fede acconsente e guarisce la fanciulla. “Bella questa storia! – osserva il papa – E questo è successo a Gesù. Una donna con la sua fede riesce a fargli cambiare idea, anticipando l’allargamento della sua missione oltre i confini d’Israele. “È interessante – secondo Francesco - questa disponibilità di Gesù: di fronte alla preghiera della donna “anticipa i piani”, davanti al suo caso concreto diventa ancor più condiscendente e compassionevole. Dio è così: è amore, e chi ama non resta rigido. Sì, resta fermo, ma non rigido. Non resta rigido sulle proprie posizioni, ma si lascia smuovere e commuovere; sa cambiare i suoi programmi.
L’amore è creativo, e noi cristiani, se vogliamo imitare Cristo, siamo invitati alla disponibilità del cambiamento. Quanto bene fa nei nostri rapporti, ma anche nella vita di fede, essere docili, prestare davvero ascolto, intenerirci in nome della compassione e del bene altrui, come Gesù ha fatto con la Cananea. La docilità per cambiare. Cuori docili per cambiare”. E poi la fede concreta della donna. “Essa non è ricca di concetti, ma di fatti: la Cananea si avvicina, si prostra, insiste, intrattiene un dialogo serrato con Gesù, supera ogni ostacolo pur di parlargli. Ecco la concretezza della fede, che non è un’etichetta religiosa, ma un rapporto personale con il Signore. Quante volte si cade nella tentazione di confondere la fede con un’etichetta! La fede della donna non è fatta di galateo teologico, ma di insistenza: bussa alla porta, bussa, bussa; non è fatta di parole, ma di preghiera. E Dio non resiste quando è pregato. Perciò ha detto: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.
Il papa invita a farsi alcune domande: “Sono capace di cambiare opinione? So essere comprensivo, e so essere compassionevole o rimango rigido sulle mie posizioni? Nel mio cuore c’è qualche rigidità? Che non è fermezza: la rigidità è brutta, la fermezza è buona. E a partire dalla fede della donna: com’è la mia fede? Si ferma a concetti e parole, o è veramente vissuta, con la preghiera e le azioni?”. Forse è perché papa Francesco sperimenta con se stesso questa visione che non demorde – nonostante delusioni- a ricordare alla politica e alle persone di ogni cultura e religione l’urgenza della pace e della fraternità per superare questo momento difficile della storia.