"Appendiamolo a testa in giù". L'odio colpisce Pansa e il suo libro sui partigiani terroristi
Da 14 anni il giornalista, autore di "Il sangue dei vinti" e della "Controstoria della Resistenza" è considerato il grande traditore della Liberazione. Ma non si ferma
Da quattordici anni è il grande voltagabbana, l'ex comunista che dà le spalle alla memoria della lotta partigiana e la riscrive in un modo che piace moltissimo alla destra e per niente alla sinistra. Tutto è cominciato nel 2003, con La pubblicazione de Il sangue dei vinti. Il libro che mostrava i partigiani in una luce molto meno immacolata ed eroica di quella di cui erano ammantati nella memoria collettiva, rafforzata (e giustamente) di antifascismo e di studi scolastici in cui quelli del Duce avevano ridotto l'Italia a una dittatura in macerie (ed è finita così), alleata di uno dei peggiori mostri della storia (Hitler), e quegli altri italiani, che si riconoscevano nella Resistenza, combattevano affiancando gli alleati per fare piazza pulita di tanto orrore. In guerra si ammazza, ci sono esecuzioni sommarie, tribunali sommari, piombo e coltellate contro corpi catturati, sorpresi, processati in modo svelto. Pansa si immergeva in quella violenza fra italiani e la restituiva a modo suo. Non ha mai smesso. Non è mai stato perdonato, e nelle ultime ore è una corsa a tutto social (complice la pagina ufficiale su Facebook di Lotta Continua) a volerlo impiccato. Appeso. A testa in giù. Magari a Piazzale Loreto, come accadde al Duce.
"Ancora non voglio rispondere"
Tiscali Notizie ha raggiunto al telefono l'ottantacinquenne Pansa, ex firma del Corriere della Sera, di Repubblica, L'Espresso, poi passato a Libero e ora a La Verità: "Non voglio rispondere alle minacce. Sto decidendo che atteggiamento avere" ci ha detto, "il tema è molto delicato e quel che succede merita una risposta ponderata. Mi serve tempo". Sulla pagina Facebook di Lotta Continua (la versione attuale, social, del settimanale diretto all'epoca degli anni di piombo da Adriano Sofri), viene evocata la "scomunica" che un altro grande e burbero giornalista, Giorgio Bocca ex partigiano, lanciò contro Pansa fresco di pubblicazione de Il sangue dei vinti. Bocca scriveva e Lotta Continua online riporta: "Anche in questi tempi di opportunisti e voltagabbana, dovrebbe esserci un qualche limite, perlomeno di decenza e di dignità personale. Con questo libro, invece, Pansa si è voluto mettere in sintonia con gli istinti più bassi di una opinione pubblica ottimamente rappresentata dal Cavalier Berlusconi e con quanti come lui vogliono continuare a fare indisturbati i propri loschi affari con questo alibi: siamo scampati ai comunisti, dobbiamo costruire un regime anti-comunista". Il fatto che Pansa nel suo libro Bella Ciao - Controstoria della Resistenza, continui la riscrittura di quei fatti sotto una luce problematica, definendo l'ex comandante partigiano Giovanni Pesce alla stregua dei terroristi delle Brigate Rosse, uno che agiva in modo "freddo e lucido", ha provocato una nuova levata di scudi. A cominciare dall'ira di Tiziana Pesce, figlia dell'eroe della resistenza, ex Gap e medaglia d'oro.
"Sei un verme"
Sulla pagina social di Lotta Continua, Tiziana Pesce scrive: "Pansa nel suo ultimo libro....ha deciso di citare mio padre, parlando esplicitamente di terrorismo dei Gap (Gruppi di azione patriottica, piccoli gruppi partigiani sotto l'egida comunista, ndr) di cui mio padre sarebbe stato freddo e lucido esecutore, paragonando la sua azione a Torino...al'esecuzione di Casalegno delle Brigate Rosse. UN VERME!". E giù insulti ed evocazioni di Piazzale Loreto, dove un sacco di gente a commento dei post di Lotta Continua vorrebbe Pansa a testa in giù come Mussolini, chi come tale Giovanni Foggetta gli augura di farsi "un gargarismo con acido muriatrico" e chi come Valter Corvi ribadisce: "Odio i rinnegati e i servi dei padroni, lurido personaggio". O ancora chi, giocando con le parole, come Nori Melissa Visone, ribadisce: "A Pansa in giù, a Piazzale Loreto". Dall'altra parte ci sono i giornalisti de La Verità, giornale diretto da Maurizio Belpietro, che difende Pansa, suo articolista, ricordando che fu oggetto della violenza armata comunista ai tempi in cui dopo l'omicidio di Tobagi, le Br pensavano di far fuori lui.
Non abbiamo mai fatto seriamente i conti col nostro passato
Nel mezzo, un Paese in cui si continua a litigare sull'irrobustimento del reato di apologia del fascismo, un Paese, questa Italia, con problemi di memoria e in cui troppi continuano a negare che i partigiani abbiano contribuito alla liberazione dal nazifascismo, trattandoli alla stregua di banditi e terroristi che si sono intestati la vittoria. Dove si fanno le messe alternative alle manifestazioni del 25 aprile, per celebrare i camerati caduti. Pure loro combattenti, e quindi in qualche modo da onorare e capire. Stiamo messi così, non abbiamo mai fatto i conti seriamente col nostro passato, col fascismo, il razzismo (che sta riesplodendo violento con l'emergenza dei migranti) e le derive esagitate e violente del comunismo. I libri di Pansa cadono su nervi già molto sensibili. Da cui riparte l'odio. E su cui resta la domanda: al netto della voglia di Giampaolo Pansa di restituire il "verismo" della guerra, in cui italiani partigiani giustiziavano brutalmente i fascisti, dopo essere stati da questi torturati e giustiziati, qual è il fine dello scrivere per filo e per segno i nomi degli uccisori e il numero degli uccisi? In guerra si ammazza, è da sempre il teatro della ferocia disumana e fredda. Non era abbastanza chiaro?