Coronavirus, il panico creato rischia di costarci caro: cosa può succedere nei prossimi mesi
Perché il peggio è la crisi economica le saracinesche abbassate, il turismo sepolto dalle disdette e gli alberghi che cominciano a chiudere
Dopo un mese di coronavirus, forse il peggio deve ancora arrivare. Ma non per quel che riguarda l’aspetto medico e infettivo, che dovrebbe solo poter migliorare grazie a un sistema sanitario che è tra i più efficienti del mondo, nonostante i pochi soldi che ci investe il governo, i tagli continui, le inchieste oblique della magistratura e le carriere imposte dai partiti.
Noi abbiamo la tendenza a farci del male, e a volte sembriamo il popolino che si affolla sotto al palco della ghigliottina a godersi lo spettacolo delle teste tagliate. Cerchiamo di distruggere anche le cose che funzionano, come se ci facesse sentire meglio la consapevolezza di un fallimento egualitario, che ci livella tutti al basso.
Può darsi che con il coronavirus sia capitata una cosa simile. Perché il peggio è la crisi economica che ci aspetta, le saracinesche abbassate, il turismo sepolto dalle disdette e gli alberghi che cominciano a chiudere, come sta capitando a Firenze, grazie all’immagine trasmessa al mondo di un caotico e pericoloso lazzaretto che galleggia nel Mediterraneo.
Chiariamo subito: il coronavirus è una cosa molto seria, perché ha un altissimo livello di facile trasmissione, ma è comunque una forma simil-influenzale che ha un tasso di letalità attorno al 3 per cento degli infetti, e forse meno se teniamo conto dei possibili casi non registrati perché asintomatici. Tanto per capirci, di polmonite sono morte in Italia nell’inverno 2017/18 14mila persone secondo l’Istat, senza che nessuno si sia mai preoccupato lanciando incredibili campagne stampa.
Il punto è questo: bisogna assolutamente mettere in campo misure anche coercitive che limitino al massimo il contagio, perché questo alla fine potrebbe essere il vero rischio, di trovarsi più malati dei posti letto disponibili. Ma non è la nuova peste, come l’hanno raccontata i media, social tv e giornali, non è una pandemia e non è una «Prova tecnica di strage», come aveva titolato Libero il 23 febbraio.
Sia chiaro che Libero è forse il caso più evidente, ma non è l’unico. Dai social ai tg Mediaset e de La7 in particolar modo, fino ai grandi giornali, quanti hanno pensato a fare davvero solo informazione anziché urlare al vento le paure più terribili? Se poi Repubblica e il Corriere della Sera hanno cominciato a fare retromarcia e quasi a chiedere scusa, c’è comunque ancora qualcosa di incomprensibile in questa narrazione schizofrenica che insegue tutte le domande possibili, come se i giornali fossero soltanto un qualsiasi prodotto di consumo alla ricerca del suo pubblico e non anche un veicolo culturale. Il peggio, il vero dramma, è questo.
E chi pagherà per l’immagine tragica di un Paese allo sbando, come se non avessimo un sistema sanitario di eccellenza, travolto da una pestilenza con chissà quanti morti, che abbiamo voluto consegnare al mondo? Quanto costerà, anche in termini di salute e di letalità, la perdita di innumerevoli posti di lavoro per questa crisi? E sarà davvero solo colpa del coronavirus?
La Confcommercio Toscana ha notificato che a Firenze nel solo mese di gennaio la rinuncia di turisti cinesi è costata 128 milioni di euro, ma che da adesso in poi si aprono scenari apocalittici - sulla costa tirrenica sono piovute disdette già fino ad agosto - con addirittura il blocco totale dei flussi turistici e degli eventi. La Confesercenti di Firenze segnala nel mese di febbraio un meno 50 per cento negli alberghi solo per quel che riguarda le prenotazioni. A Milano, invece, meno 80. Ma questi numeri non sono tanto diversi in Liguria e rischiano di essere ancora più gravi sulle spiagge romagnole.
La verità è che c’è stata una evidente, clamorosa discrepanza tra l’attuale pericolosità del coronavirus e il panico esponenziale provocato dal tambureggiante bombardamento mediatico. Forse sarebbe bastato informare la gente e convincerla a osservare scrupolosamente le misure disposte dal governo, senza terrorizzarla. Oggi il panico da contaminazione virale creato dai media, quasi al limite del procurato allarme, è il problema più urgente da affrontare con tutte le conseguenze economiche e sanitarie del caso. Perché il panico è una deformazione pericolosa della realtà.
Secondo Bobby Duffy, direttore della sezione inglese di Ipsos a Londra e autore di un testo su questo argomento, «il panico è il risultato di percezioni che per definizione sono errate», ma che veicolate da messaggi iper semplificati finiscono per diventare profezie che si autoavverano, perché confermano quello che dicono tutti. E’ lo stesso procedimento delle fake news. Il panico altera la proporzione tra fenomeni ed eventi, sopravvalutandoli sino al parossismo.
Qualche migliaia di morti, vi potrà sembrare assurdo, ma non giustifica l’urlo d’angoscia e di terrore lanciato dai media, e le corse demenziali a svuotare i supermercati e le farmacie, perché sono le stesse cifre di una normale influenza per le quali nessuno ha mai immaginato titoli come «Prove tecniche di strage» o «Paralisi da virus» e «Nord Italia in quarantena», visto che secondo il Ministero della Salute i decessi ogni anno a causa di questa sindrome oscillano tra i 4 e i 10mila. Ovviamente questo discorso non riguarda solo i giornali e le tv.
Il panico è stato alimentato per mere ragioni di opportunismo, senza minimamente preoccuparsi dei danni terribili che ne derivavano, anche dalle forze politiche. A che serve che oggi Renzi ammetta che la crisi economica del Coronavirus sarà molto peggiore di quella dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Non potevano tutti pensarci prima? Era così difficile? La verità forse è che loro non pagano mai. Tocca sempre a noi pagare per tutti.