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"E' furto": licenziata la spazzina che prese un giocattolo dai rifiuti per regalarlo al figlio. Applicata la legge Fornero

Il giudice del lavoro ha respinto il ricorso e deciso per il no al reintegro dell'operatrice ecologica licenziata dall'azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti a Torino

Antonio Mennadi Antonio Menna   
Aicha Elizabethe Ounnadi
Aicha Elizabethe Ounnadi (foto CorSera)

Il giudice del lavoro alla fine ha deciso per il no al reintegro. Non potrà riavere il suo posto, l'operatrice ecologica che l'anno scorso fu licenziata in tronco dalla Cidiu Servizi di Collegno, che si occupa della raccolta dei rifiuti a Torino ovest, per aver portato a casa un monopattino recuperato nella spazzatura e depositato nel mucchio di oggetti della differenziata nel capannone dell'azienda. La donna si chiama Aicha Elizabethe Ounnadi, per tutti Lisa. Ha 41 anni, tre figli, uno di otto anni, lavorava lì dal 2006 e aveva visto quel giocattolo che faceva al caso suo. Era stato abbandonato e aveva pensato che non ci fosse nulla di male a portarlo a casa. Invece l'atto è stato definito "appropriazione indebita di un bene non di sua proprietà". E la donna, licenziata.

Il ricorso

Lisa aveva subito fatto ricorso, confidando nel buon senso e anche in una immediata catena di solidarietà che si era aggregata sulla vicenda. Sul caso era stata presentata anche una interrogazione parlamentare. E tutti confidavano nel fatto che il giudice del lavoro reintegrasse l'operatrice sul posto di lavoro. L'istruttoria in Tribunale si era aperta lo scorso 13 dicembre, dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, a sua volta andato male per l'ostilità dell'impresa. L'azienda, infatti, non aveva voluto alcuna pacificazione o accordo, richiamando altre vertenze simili con la stessa persona in passato e chiudendo le porte a qualunque ritorno. Il Tribunale ha preso qualche mese di tempo e ieri ha comunicato la decisione. Niente reintegro, addio lavoro.

Solo un indennizzo

Per l'ex operatrice ecologica, il giudice Marco Buzano ha sentenziato solo un indennizzo pari a 18 mensilità ma nessun ritorno. Il licenziamento, per il Tribunale, è stato eccessivo ma il comportamento della donna è stato comunque giudicato scorretto. Equiparabile a un furto, hanno detto i giudici. Quindi, anche se la causa del licenziamento non pare giusta, va considerato impossibile il ritorno sul posto di lavoro mentre a Lisa va riconosciuta una riparazione con 18 mensilità arretrate.

Uno shock

Una sentenza che ha scioccato la donna e il suo legale. "Non capisco, sono senza parole – ha commentato Lisa, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera -. Sono distrutta". La decisione del Tribunale è stata resa possibile in ragione della riforma della disciplina dei licenziamenti senza giusta causa: anche in presenza di un licenziamento illegittimo e ingiustificato – dice la norma -, come in questo caso, si può non ricorrere al reintegro se sussistono motivi oggettivi, e sostituirlo con un indennizzo. Nella situazione specifica si è ritenuto che il "furto" di quello che va considerato un bene aziendale ci sia effettivamente stato, e che questo abbia minato il rapporto di fiducia, anche se l'episodio è di piccola entità e non avrebbe meritato il licenziamento. Impossibile, quindi, per il giudice ristabilire la relazione di lavoro.

Lo sconcerto

Lo sconcerto, dopo la sentenza, non è solo della ex operatrice ecologica ma anche dei suoi colleghi e dei sindacati, che considerano davvero incredibile privare del posto di lavoro una donna, mamma, per aver preso un giocattolo dai rifiuti, quindi abbandonato, destinato al macero, per regalarlo a uno dei suoi tre figli. Un gesto di bontà, di umanità, che peraltro si inserisce anche nella logica ambientalista del riciclo, che diventa furto e si trasforma in capo d'accusa, fino a privare una persona dello stipendio per quasi un anno e poi farle perdere definitivamente il posto di lavoro.

Troppa durezza

"Questa mattina mio figlio più piccolo mi ha abbracciata – aveva detto la donna il giorno dell'apertura dell'udienza -, voleva venire anche lui in Tribunale. Tutti quanti speravamo che alla fine l’azienda ci ripensasse e mi offrisse la possibilità di tornare al lavoro. Ma la favola non si è avverata". Non solo non si è avverata ma alla fine si è trasformata in dramma. Ora per lei si fa dura. "Per una donna di 40 anni – racconta -, con tre figli, è davvero difficile. In questo periodo ho ricevuto tanti attestati di stima e solidarietà da parte di colleghi, amici e politici. Ma finora nessuna offerta di lavoro". Chissà che oggi, dopo il volto duro, a volte incomprensibile della legge, spesso severo con i deboli e mite con i forti, qualcuno non mostri quello solidale di chi capisce la differenza tra donare un giocattolo abbandonato a un figlio e rubare un bene di un'azienda, e restituisca a questa lavoratrice il suo diritto a guadagnarsi da vivere facendo un lavoro che forse le è stato tolto con troppa durezza.

 

Antonio Mennadi Antonio Menna   

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