[Il commento] Non sventoliamo bandiera bianca, non abbandoniamo questo Stato incapace
C’è sempre, e per fortuna, una ragione di Stato che prevale. Quanti funerali sono stati contestati in questi anni? Quante vittime innocenti abbiamo pianto per colpa delle non risposte dello Stato?
Quelle immagini, quel vociare, le urla, lo spingersi dentro la navata affollatissima della Cattedrale di Palermo. Quelle immagini di ventisei anni fa non le dimenticherò mai. C’ero anch’io quel giorno ai funerali di Paolo Borsellino e della sua scorta. Ricordo quel galantuomo del capo della Polizia, prefetto Parisi, “fronteggiare” i suoi uomini per cercare di riportarli alla ragione, al dovere.
Erano gli uomini delle scorte che protestavano contro la mattanza di magistrati e forze di polizia. Ricordo in quelle terribili giornate palermitane, un momento di pausa a piano terra della questura di Palermo con il Capo della Polizia che si disperava. «Abbiamo chiesto anche ai colleghi americani se ci fossero mezzi e tecnologie per individuare prima congegni esplosivi, autobombe».
E come non dimenticare le parole di sconforto dell’ex capo del pool di Palermo, il giudice Caponnetto, che scuotendo la testa sussurrò che “ormai è finita....”. Ecco, ogni volta che in questi terribili anni abbiamo dovuto piangere la morte di cittadini innocenti vittime della incuria o degli errori di Stato, o delle forze di polizia e della magistratura vittime della criminalità mafiosa o politica, rivivo quelle immagini di Palermo. Quello è stato il momento più drammatico della nostra recente storia. Eppure la sfida dello stragismo eversivo della mafia alla fine ha perso. C’è sempre, e per fortuna, una ragione di Stato che prevale.
Quanti funerali sono stati contestati in questi anni? Quante vittime innocenti abbiamo pianto per colpa delle non risposte dello Stato? Pensiamo alle sciagure ferroviarie, sulle strade, ai crolli, ai terremoti. È anche per questo che non me la sento di condividere la protesta dei familiari delle vittime di Genova che non vogliono partecipare ai funerali di Stato.
Sia chiaro che il dolore per la perdita di un proprio caro, di un parente, di un coniuge, di un figlio, legittima qualsiasi reazione dello stesso. Però è anche lecito prendere le distanze da questo atteggiamento. Autorevoli commentatori di grandi giornali nazionali sottolineano le “nefandezze” di uno Stato che si è ritrovato sempre dall’altra parte.
Chi può negare che il sistema dei controlli sia lacunoso? Chi può contestare che certe volte i meccanismi di affidamento di concessioni o appalti vengano “taroccati”? Quante Autorità di controllo abbiamo sfornato per supplire ai vuoti e alle mancanz di controlli? Abbiamo troppe leggi e troppe “magistrature”. Cè in alcuni casi sono alibi per continuare ad amministrare in un certo modo.
Ma tutto questo impone una radicale attività di prevenzione e repressione da parte della magistratura è della polizia giudiziaria.
Il fatto di essere entrati in un nuovo millennio, secolo, aiuta a dimenticare o meglio a rimuovere il passato recente. Basta vedere il comportamento della nuova maggioranza di governo che sembra volerci dire che il mondo è iniziato con loro. E che semmai il passato è una somma di nefandezze da cancellare.
Ricordo i volti delle madri o dei genitori dei giovani carabinieri uccisi nel “compimento del loro dovere” nelle chiese dei paesini di provincia del sud. E l’incapacità degli esponenti di governo di portare parole di conforto vero. C’è sempre stata una incomunicabilità tra chi ci rappresentava al governo e la comunità dei cittadini, in quelle occasioni dove si celebravano i funerali di vittime innocenti. Ci deve essere una ragione se è così.
Lo Stato siamo noi. È questo sentirsi parte di una comunità che vacilla da noi. Anzi che non è stato mai coinvolgente. E al sud si avverte di più. C’è una classe dirigente del Paese in grado di essere un punto di riferimento di tutti? C’è mai stata?
La decisione di non partecipare ai funerali di Stato può essere interpretata come una bandiera bianca di fronte a uno Stato incapace di rappresentarci. Ma può anche voler confermare che l’essere sempre contro è una manifestazione di complicità con il degrado. Con il non voler essere parte di una collettività. Insomma di far parte della vita di un Paese. Con oneri e onori.