Il disastro annunciato, negligenza e burocrazia hanno fatto crollare il ponte Morandi

l primo importante SOS l’aveva lanciato nel 1981 lo stesso progettista del ponte di Genova, l’ingegner Riccardo Morandi, ma nessuno ritenne opportuno ascoltare le sue ragioni

Il ponte Morandi dopo il crollo
Il ponte Morandi dopo il crollo

Ponte di Genova, resta il dolore e la rabbia per un disastro annunciato e forse evitabile. Il primo importante SOS l’aveva proposto nel 1981 lo stesso progettista, l’ingegner Riccardo Morandi; ma nessuno ritenne opportuno ascoltare le sue ragioni. Così si è arrivati all’allarme del 2015 lanciato dall’ingegnere di Autostrade Mario Bergamo. Tre anni dopo, la sciagura.

Il disastro ha messo in moto una complessa inchiesta giudiziaria che si è posta l’obiettivo di capire chi doveva fare e quando. A redigere l’elenco degli indagati è stato incaricato il procuratore di Genova Francesco Cozzi. Sin dalle sue prime dichiarazioni si è capito chi sarà chiamato a rispondere del cedimento strutturale (negli atti non si parla di dolo né si ipotesi accidentali). Il ragionamento giudiziario del magistrato parte da un presupposto: ritiene che il tema della sicurezza pubblica stradale sia stato rimesso dallo Stato nelle mani dei privati. “La filosofia del nostro sistema – ha spiegato Cozzi - vede lo Stato espropriato dei suoi poteri, una sorta di proprietario assenteista che ha abdicato al ruolo di garante della sicurezza. Come se avesse detto al privato, veditela tu". Il procuratore di Genova, in una intervista rilasciata al Corriere, aveva rilevato che “nel momento in cui lo Stato abdica alla funzione di controllo ci vorrebbe almeno un'agenzia terza che garantisse la sicurezza, non il concessionario stesso. Credo che il crollo del ponte porti a ripensare tutta la materia".  In sostanza, quando si è deciso di privatizzare le autostrade, lo Stato si è ritagliato un ruolo di controllo degli investimenti, dei ricavo, del costo dei pedaggi, ma non in quello della sicurezza.

Se dà seguito alle premesse, Cozzi potrebbe chiamare sul banco degli imputati i tecnici del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e di Autostrade per l’Italia del gruppo Benetton. Nel frattempo la GdF ha già consegnato alla procura un elenco di persone che potrebbero avere avuto responsabilità per il crollo di Genova. Sono 13 nomi di coloro che si sono occupati del progetto di ristrutturazione del viadotto dal 2015, ma potrebbero diventare 25 se i magistrati decidessero di andare indietro nel tempo. Intanto i periti dei pm hanno consegnato una prima relazione sulle probabili cause del crollo attribuendole a un "cedimento strutturale all'antenna del pilone 9, il punto in cui i tiranti si congiungono all'estremità del sostegno. E studiando i carteggi tra le varie diramazioni del ministero delle Infrastrutture, gli investigatori hanno individuato come almeno in un'occasione i dirigenti del Mit avessero palesato la certezza che sul restyling del Morandi i tempi si stessero dilatando oltremisura.  

Le persone che secondo la Gdf sapevano della pericolosità del viadotto Morandi in Autostrade sono: Fabio Cerchiai (presidente), Giovanni Castellucci (Ad), Paolo Berti (direttore centrale operazioni), Michelle Donferri Mitelli (direttore maintenance e investimenti), Stefano Marigliani (direttore primo tronco). "Al Mit consapevoli dei ritardi" ci sono tre di Spea engineering, controllata da Autostrade che avrebbe dovuto eseguire la ristrutturazione ai tiranti: Antonio Galatà (amministratore delegato), Massimo Bazzarelli (coordinatore attività progettazione ufficio sicurezza), Massimiliano Giacobbi (responsabile progetto "retrofitting" dei tiranti). Cinque i funzionari pubblici, tre della Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali (Roma): Vincenzo Cinelli (capo), Bruno Santoro (responsabile controlli qualità servizio autostradale), Giovanni Proietti (capo divisione analisi e investimenti). Infine il Provveditore alle opere pubbliche di Liguria e Piemonte Roberto Ferrazza e il capo ufficio ispettivo territoriale Carmine Testa.

Dallo scambio di comunicazioni tra le due articolazioni del Mit, hanno appurato gli inquirenti, si comprende come pure al Ministero ci fosse certezza che sul Morandi si stesse perdendo tempo. E in effetti, solo nel 2015 i Benetton decidono di agire, dopo aver letto la relazione dell’ingegner Bergamo. Da qui una serie di interventi di SPEA, che nel 2017 coinvolge, per motivi puramente tecnici, il Politecnico di Milano. Dopo di che SPEA invia al Ministero delle Infrastrutture, dopo otto mesi arriva il sospirato decreto ministeriale. La relazione, finalizzata alla progettazione dell’intervento, del Politecnico, che ha dato luogo ad un rapporto finale da parte del professor Gentile è stato consegnato a SPEA il 25 ottobre 2017. Nel suo parere, il Politecnico raccomandava di installare alcuni sensori per consentire di studiare il comportamento dei sistemi bilanciati (9 e 10) del viadotto Polcevera, attraverso approfondimenti tecnico-sperimentali. Tale raccomandazione fu accolta dal progettista di SPEA che inserì il sistema di controllo suggerito nel progetto, che venne sottoposto ad approvazione da parte del Ministero delle Infrastrutture qualche giorno dopo - il 31 ottobre 2017 - e che sarebbe stato approvato solo l'11 giugno 2018. Tardi, il ponte Morandi collassa il 14 agosto dello stesso anno portando con sé le vita di 43 uomini.