Ndrangheta, traffico di rifiuti: arresti e sequestri. La discarica dei veleni: valori tossici oltre il 6.000%
Sono almeno 19 le persone finite in carcere o ai domiciliari. A gestire tutto, secondo l'accusa, era la famiglia mafiosa dei Piromalli. Arrestato anche ex Parlamentare Giancarlo Pittelli
Lo zinco era segnalato in quantità sette volte maggiori rispetto al consentito. Il piombo, invece, con valori superiori di dodici volte rispetto alla norma. Addirittura il piombo arrivava a superare di cinquantanove volte il limite previsto dalla normativa. E, ancora, gli idrocarburi raggiungevano picchi del 4.200% rispetto alle soglie. In alcuni casi i valori sono arrivati al 6.000 sopra la soglia di guardia.
Tutto questo è opera della ‘ndrangheta. Degli uomini ad essa collegati. Anche professionisti. Tutti finiti in carcere, agli arresti domiciliari o con obblighi nell’ambito dell’inchiesta “Mala pigna”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ed eseguita dai Carabinieri forestali. Sequestrate anche cinque società operanti nel settore dei rifiuti per il valore complessivo di un milione e seicentomila euro.
Il business dei rifiuti
Perché la ‘ndrangheta con i rifiuti faceva tantissimi soldi. Arresti e sequestri sono stati eseguiti nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Ravenna, Brescia e Monza-Brianza. L’inchiesta nasce nel 2017 con un sopralluogo da parte del NIPAAF (Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale, Agroalimentare e Forestale) presso l’azienda “ECOSERVIZI S.R.L.”, ditta di trattamento di rifiuti speciali di natura metallica, sita nella zona industriale del Comune di Gioia Tauro.
Già dai primi riscontri, i militari sembrano avere abbastanza chiaro il quadro: nonostante i provvedimenti di sospensione dell’autorizzazione al trattamento dei rifiuti e di cancellazione dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali spiccati nel corso degli anni, l’azienda era pienamente attiva. Anche con proiezioni sul territorio nazionale e internazionale.
A capo di tutto, Rocco Delfino. Uomo ritenuto assai influente negli ambienti della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. In particolare, la cosca Piromalli. Cui si era avvicinato, nel corso degli anni, dopo la scissione avvenuta con l’altro potente casato dei Molè. Delfino, insieme ad altri complici, avrebbe aggirato la normativa antimafia, promuovendo un’associazione volta al traffico illecito di rifiuti mediante la gestione di aziende fittiziamente intestate a soggetti terzi ma riconducibili a se stesso e alla sua famiglia.
L’obiettivo era quello di servirsi dell’immagine e del nome di società apparentemente “pulite”, rette da un amministratore legale privo di pregiudizi penali e di polizia, avente tutte le carte in regola per poter ottenere le autorizzazioni necessarie alla gestione di un settore strategico, qual è quello dei rifiuti speciali, ed in tal modo intrattenere rapporti contrattuali con le maggiori aziende siderurgiche italiane. Contrattare l’importazione e l’esportazione di rifiuti da e per Stati esteri. Nonché aspirare all’iscrizione in white list negli elenchi istituiti presso la Prefettura.
Addirittura, Rocco Delfino continuava a gestire la “Delfino s.r.l.”, che gli era stata confiscata fin dal lontano 2007. Questa ditta era diventata un’azienda di schermatura per le attività illecite dei fratelli Delfino. L’inchiesta coordinata dal procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e dai sostituti Gianluca Gelso, Paola D’Ambrosio e Giorgio Panucci avrebbe inoltre accertato complicità importanti. Soprattutto con professionisti compiacenti e asserviti. In particolare, un ruolo fondamentale è rivestito dagli amministratori designati dall’Agenzia Nazionale dei beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata, nonché di professionisti (avvocati, consulenti, commercialisti ed ingegneri ambientali) che prestavano per la stessa la propria opera di intelletto, con metodo fraudolento e sotto la direzione dei Delfino.
Gli interramenti
Dalle intercettazioni raccolte dagli inquirenti, emergerebbero le gravi condotte messe in atto dai professionisti, divenuti dei burattini nelle mani di Delfino. E, quindi, secondo gli inquirenti, della ‘ndrangheta. Degli amministratori giudiziari (e poi esponenti dell’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati), Giuseppe Antonio Nucara e Alessio Alberto Gangemi. Ma anche l’ingegner Giuseppe Tomaselli, che avrebbe avuto un ruolo per quanto concerne gli interramenti e l’inquinamento ambientale.
Ma non si tratta solo di affari. Ad andarci di mezzo, anche la salute pubblica. Secondo l’inchiesta, infatti, autocarri aziendali partivano dalla sede della società con il cassone carico di rifiuti speciali, spesso riconducibili a “Car Fluff” (rifiuto di scarto proveniente dal processo di demolizione delle autovetture) e giungevano in terreni agricoli posti a pochi metri di distanza, interrando copiosi quantitativi di rifiuti, anche a profondità significative. Gli accertamenti eseguiti portavano a disvelare anche l’interramento di altri materiali, quali fanghi provenienti presumibilmente dall’industria meccanica pesante e siderurgica. Tali terreni agricoli, a seguito degli interramenti ed a cagione di essi, risultavano gravemente contaminati da sostanze altamente nocive, alcune di esse rilevate sino a valori pari al 6000% del limite previsto, con il concreto ed attuale pericolo che le sostanze inquinanti possano infiltrarsi ancor più nel sottosuolo determinando la contaminazione anche della falda acquifera sottostante.
La ‘ndrangheta avrebbe avuto a propria disposizione anche consulenti e ingegneri, che avrebbero alterato al ribasso i risultati sull’inquinamento del suolo nella Piana di Gioia Tauro. Saranno invece le consulenze di parte disposte dalla Dda di Reggio Calabria a dare gli inquietanti risultati sui livelli di inquinamento causati dagli interramenti.
Il ruolo dell’avvocato Giancarlo Pittelli
L’attività investigativa avrebbe inoltre consentito di ricostruire i rapporti tra Rocco Delfino, Aurelio Messineo (fedelissimo del boss Pino Piromalli, detto “Facciazza”) e l’Avv. Giancarlo Pittelli, legale di fiducia della famiglia Piromalli. Legale assai noto in Calabria e non solo. Ex parlamentare di Forza Italia, coinvolto nelle inchieste portate avanti, ormai oltre un decennio fa, da Luigi De Magistris quando era pm a Catanzaro. L’avvocato Giancarlo Pittelli è stato tratto in arresto. Era tornato da poco a casa, agli arresti domiciliari, dopo essere stato coinvolto nella maxi-inchiesta “Rinascita-Scott”, curata dalla Dda di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri. In quell’inchiesta, Pittelli è considerato un elemento di congiunzione tra ‘ndrangheta e massoneria deviata. L’inchiesta di oggi si intreccia con quanto contestato già a Pittelli.
La Dda di Reggio Calabria, infatti, contesta a Pittelli di aver veicolato informazioni dall’interno all’esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli detenuti al 41 bis. Proprio Pino Piromalli “Facciazza”, ma anche il figlio Antonio Piromalli. I due boss avevano necessità di comunicare con il loro avamposto, Rocco Delfino, e avrebbero usato proprio Pittelli.
Diverse le condotte, ben fuori dal mandato difensivo, che avrebbero riguardato Pittelli. Il legale avrebbe infatti dimostrato grande vicinanza a Delfino, riconoscendone il ruolo criminale. Avrebbe anche consigliato come far arrivare (ovviamente senza essere scoperto) denaro alla cosca Piromalli, che vedeva in quel periodo il proprio capoclan indagato nell’inchiesta per l’assassinio del giudice Antonino Scopelliti.
Pittelli viene anche raggiunto dalle dichiarazioni del giudice catanzarese Marco Petrini che negli scorsi mesi è stato arrestato per corruzione in atti giudiziari. Dopo l’arresto, Petrini ha iniziato a raccontare ai magistrati di Salerno il sistema di cui avrebbe fatto parte. Una fitta rete di professionisti e criminali da tutelare con sentenze e provvedimenti giudiziari “aggiustati” in cambio di denaro e regalie. In tal senso, Pittelli si sarebbe attivato in favore di Delfino per la revisione del procedimento di prevenzione nei confronti della società in confisca Delfino s.r.l., pendente dinanzi al Tribunale di Catanzaro Sezione Misure di Prevenzione, con l’intento di “influire” sulle determinazioni del Presidente del Collegio al fine di ottenere la revoca del sequestro di prevenzione.