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L’inchiesta sulle curve e il ruolo della ‘ndrangheta nella “Milano da bere”

L’organizzazione malavitosa è presente da sempre nel capoluogo lombardo. Una delle sentenze più importanti, infatti, è stata scritta a Milano

Claudio Cordovadi Claudio Cordova   
L’inchiesta sulle curve e il ruolo della ‘ndrangheta nella “Milano da bere”

Non è un caso che una delle sentenze più importanti della storia della ‘ndrangheta, quella “Crimine – Infinito”, sia stata scritta dai giudici dei tribunali di Milano. Il mondo del calcio, ma non solo, si interroga, si inquieta, per l’inchiesta “Doppia Curva”, che avrebbe svelato i legami tra mondo ultras di Inter e Milan e le cosche, ma, da sempre, il capoluogo lombardo è la capitale economica della criminalità organizzata calabrese.

A Milano la droga la portano i calabresi

Lì, fin dagli anni ’70, le cosche più importanti della ‘ndrangheta hanno deciso di far soldi, grazie ai vizi della “Milano da bere”. L’omicidio di Antonio Bellocco, all’inizio di settembre, ha riacceso i riflettori sulla presenza dell’importante cosca di Rosarno in Lombardia. Ma l’influenza di cosche che appartengono al gotha della criminalità organizzata è radicata da lustri. Cognomi influenti. Coco Trovato, Iamonte, De Stefano. Ma anche Condello, Piromalli.

Già nei primi anni ’90, Filippo Barreca, uno dei primi e più importanti collaboratori di giustizia che la ‘ndrangheta abbia avuto, dichiarava: “[…]Per quanto concerne il traffico di stupefacenti Natale Iamonte e i figli rifornivano buona parte della provincia di Reggio Calabria e di Milano […] La merce non era diretta a Iamonte, bensì all’organizzazione De Stefano-Tegano e, a quelle di Nitto Santapaola, di Domenico e Rocco Papalia di Platì e dei Calabrò di San Luca”.

Le cosche nella “Milano da bere”

Carmine De Stefano, uomo forte del clan del rione Archi di Reggio Calabria, diventa genero di Franco Coco Trovato, considerato uno degli esponenti più importanti della ’ndrangheta in Lombardia, insieme a Pepè Flachi, i fratelli Papalia, il gruppo Sergi-Morabito, i fratelli Ferraro. Sono gli anni della “Milano da bere” e le cosche fanno affari d’oro con discoteche e night. E con la droga che circola lì dentro. Ovviamente. Così tanti soldi da potersi permettere anche la faida con i camorristi Batti, per la supremazia sul mercato dell’eroina.

“[…] In Comasina si smerciavano due chili di eroina ogni settimana, in Bruzzano altrettanti, alle “baracche” sette chili ogni mese, ne smerciavano circa due al mese. Quindi alla fine del mese, si trattava di un smercio di almeno venticinque chili circa di eroina… Questo almeno dall’82 all’86 con incrementi progressivi” dichiara l’ex cassiere dei clan milanesi, poi divenuto collaboratore di giustizia. Trasferitosi al Nord, Franco Coco sarebbe entrato subito a far parte di un gruppo di persone dedito alla consumazione di rapine e sequestri di persona, con l’evoluzione successiva nel traffico di droga.

Anche un altro collaboratore, Saverio Morabito, riferisce che Coco si era rapidamente radicato nella zona di Lecco, intrattenendo rapporti di buon vicinato con altre cosche. E grazie ai rapporti sempre più stretti instaurati con la famiglia De Stefano di Reggio Calabria, Coco sarebbe riuscito a ottenere il riconoscimento ufficiale dell’esistenza di un “locale di ‘ndrangheta. Franco Coco Trovato, dunque, acquisisce grande potere, anche grazie all’abbraccio con i “colletti bianchi”, da sempre arma fondamentale per lo sviluppo dei piani ‘ndranghetistici. “Non esito ad affermare che i due sono proprietari di un patrimonio immobiliare e liquido che e valutabile in decine di miliardi” dirà ai tempi un altro collaboratore, Emilio Bandiera, parlando di Franco Coco Trovato e Pepè Flachi.

I De Stefano, di casa a Milano

Cosi, il gruppo Flachi-Coco Trovato diviene una validissima articolazione milanese sia del gruppo reggino dei De Stefano-Tegano, sia degli Arena- Colacchio di Isola Capo Rizzuto. Droga, armi, omicidi, estorsioni, gestione di attività economiche di qualsiasi tipo. La ‘ndrangheta all’ombra dei De Stefano fa soldi in ogni modo.

Ruolo importante, nel Milanese, quello svolto dai De Stefano. Non solo attraverso Coco Trovato. Un nome di grande peso e quello di Paolo Martino, cugino dei De Stefano. Martino viene indicato dai collaboratori di giustizia come uomo forte già negli anni Novanta con riferimento alle riunioni tenute per prendere le decisioni sulla strategia stragista. “Uno di quei personaggi che ha ampiamente superato la fase della delinquenza nera” per passare al livello della mafia imprenditoriale, con contatti ad alto livello economico e politico” è la definizione che si legge in alcuni documenti investigativi.

Più recentemente, l’inchiesta “Malefix” ha mostrato come i De Stefano, fino a pochissimi anni fa avessero nel giovane Giorgino De Stefano un avamposto importante nel capoluogo lombardo. Lui che all’anagrafe farebbe Condello Sibio. Figlio naturale di don Paolino De Stefano, figura di spicco del clan De Stefano di Reggio Calabria, assassinato durante la seconda guerra di 'ndrangheta nel 1985. La madre di Giorgino, Carmelina Condello Sibio, sarebbe stata l'amante di De Stefano, da cui avrebbe avuto tre figli. Noto alle cronache anche per la sua relazione sentimentale con Silvia Provvedi, una delle “Donatellas”, il gruppo musicale formato con la sorella Giulia. Lì a Milano, prima di essere arrestato, Giorgino ha gestito anche un ristorante di lusso.

Non solo i De Stefano

Un’egemonia, quella ‘ndranghetistica, che attraversa dunque le epoche. Negli anni 2000, la cosca Condello, tramite le famiglie Valle e Lampada, ha costruito una forte presenza a Milano. I fratelli Giulio e Francesco Lampada sono stati descritti dal ROS come figure chiave del clan, incaricati di gestire il patrimonio economico della cosca Condello. Questa operazione di riciclaggio e reinvestimento ha portato i Lampada, partiti da Reggio Calabria con una semplice macelleria, a creare un impero economico a Milano, in particolare nel settore delle slot machine.

Le indagini hanno rivelato che i Lampada, all’epoca ancora poco conosciuti, avevano il compito di reinvestire i proventi illeciti nell’economia legale, consolidando il legame con il clan Condello. Inoltre, i fratelli Lampada avevano stretti rapporti con esponenti politici e magistrati, tra cui il consigliere regionale Franco Morelli e i giudici Enzo Giglio e Giancarlo Giusti. Questi legami politici rafforzavano ulteriormente la connessione tra la cosca Condello e la famiglia Lampada.

Il ROS ha evidenziato come la cosca riuscisse a camuffare il capitale acquisito illegalmente tramite nuove forme di riciclaggio, rendendo difficile distinguere tra mercato legale e illegale. Questo complesso intreccio tra mafia ed economia legale ha permesso al clan Condello di estendere la propria influenza oltre i confini calabresi, inserendosi nel tessuto economico e politico della Lombardia.

La Lombardia, una “camera di compensazione”

La Lombardia, da sempre crocevia di interessi per le principali organizzazioni criminali italiane, rappresenta una sorta di "camera di compensazione" dove i clan si incontrano e si spartiscono gli affari senza ricorrere a violenza. Secondo Franco Pino, collaboratore di giustizia ed ex figura di spicco della ‘ndrangheta cosentina, questo equilibrio tra le diverse consorterie permette una gestione pacifica delle attività illecite in questa regione. Pino, che ha avuto stretti rapporti con importanti famiglie mafiose come i Piromalli, i Mancuso, i Pesce e i principali casati di Reggio Calabria come i De Stefano, Tegano, Condello e Fontana, descrive la Lombardia come un luogo privilegiato per questi scambi di potere e denaro.

Il collaboratore di giustizia fornisce dettagli anche su traffici d’armi tra Calabria e Sicilia, evidenziando un episodio specifico: un carico di kalashnikov proveniente da Palermo e arrivato a Cosenza. Questo traffico di armi, secondo Pino, rappresenta solo uno dei numerosi affari gestiti in Lombardia, una regione strategica per il controllo di traffici illeciti di vario genere, dalle droghe alle armi, fino al riciclaggio di denaro.

Proprio in Lombardia si sarebbe anche tenuta una riunione in cui venne portata una proposta portata dai Brusca per conto di Totò Riina: “In particolare chiedevano se noi fossimo disposti a commettere, da parte di chi ne aveva la maggiore possibilità, attentati ad obiettivi istituzionali, non per forza rivolti ad uccidere un numero indeterminato di persone ma certamente finalizzati a far capire che si trattava di attentati veri, in modo da procurare più terrore possibile e più danni possibile, ed eventualmente anche vittime; ad esempio obiettivi idonei potevano essere caserme o piccole stazioni dei Carabinieri site nei paesi, o simili. La contropartita consisteva, come fu detto espressamente, nel cercare di ottenere vantaggi dallo Stato, come una sorta di trattativa” afferma Pino.

Le cosche della Piana e l’impero dei Piromalli

Il delitto di Antonio Bellocco ha mostrato come le cosche della Piana di Gioia Tauro abbiano, da sempre, grande interesse per gli affari milanesi e dell’hinterland. La presenza dei Piromalli, uno dei clan più potenti dell’intera ‘ndrangheta, risale agli anni ’70 e, secondo alcune fonti, nel 1980 Giuseppe Piromalli entra a far parte della “commissione interprovinciale” di Cosa Nostra in rappresentanza di tutte le famiglie calabresi.

Antonio Piromalli, figlio di Pino Piromalli, noto come “Facciazza”, ha preso la decisione di trasferirsi a Milano per ridurre l'attenzione su di sé, sia da parte delle forze dell'ordine che delle altre famiglie mafiose. Questo spostamento è avvenuto per volere del padre, che ha voluto garantire al figlio un certo grado di protezione nel contesto della criminalità organizzata.

Pino Piromalli, classe 1945, ha conferito a Antonio pieni poteri all'interno della cosca, continuando tuttavia a mantenere il controllo della stessa, prima mentre scontava la pena nel regime di carcere duro 41bis, e successivamente, dopo la sua liberazione avvenuta nel 2014. La storica famiglia mafiosa di Gioia Tauro ha consolidato il proprio potere economico attraverso il commercio di prodotti ortofrutticoli, gestendo ingenti flussi di denaro destinati ai mercati del nord Italia, in particolare proprio quello di Milano. Attraverso un consorzio situato nella Piana di Gioia Tauro, assicurava alle aziende milanesi la fornitura di prodotti, imponendo prezzi concorrenziali e garantendo la buona riuscita delle operazioni commerciali mediante metodi intimidatori.

Secondo quanto dichiarato dal pentito Furfaro, le inchieste, gli arresti e i decessi non hanno intaccato la leadership della cosca di Gioia Tauro: Oggi i Piromalli sono la famiglia militarmente più forte d’Italia. Hanno “amici ” dappertutto. Questo tanto a Gioia Tauro quanto fuori. La Lombardia è nelle loro mani, ogni questione relativa ad appalti e quant’altro viene ripartita tra le famiglie più importanti”.

 

 

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