Il Papa: "I migranti morti nel Mediterraneo sono la vergogna della società"
Mentre Francesco è in ansia per la sorte dei poveri naufraghi e le vittime della guerra, non mancano i tanti Pierini che lo ritengono un eretico anche per le scelte sinodali.
Il primo amore non si scorda mai dice un proverbio. I migranti sono stati il primo motivo per cui papa Francesco nel quarto mese dalla sua elezione nel 2013, nella sorpresa generale, usciva dal Vaticano per il suo primo viaggio. Destinazione Lampedusa. Subito non si capì che quell’argomento di estrema sofferenza umana sarebbe stato un suo cavallo di battaglia a testimonianza che la Chiesa di Roma sarebbe diventata la migliore e irriducibile alleata dei migranti e di altre fasce deboli, povere e fragili della società. Chi era stato ai margini, diventava centrale nella testimonianza cristiana. E i 10 anni di pontificato hanno confermato che Francesco è restato una spina nel fianco del sistema che genera guerre e povertà per tutti, benessere per pochi. Senza peli sulla lingua il papa aveva definito il sistema economico che governa il mondo un “sistema che uccide”. Anche in mare. Anche nel Mediterraneo, il Mare Nostrum. “Nostro” di chi ci vive sulle rive e di quanti in cerca di lavoro o di una vita più dignitosa, da anni ci muore e riposa nei fondali, naufrago affogato.
Quel viaggio è rimasto indimenticato da Francesco che a 10 anni esatti ha rispolverato quella verve di lottatore per la giustizia che sembrava ormai stemperata. E così ha scritto una lettera all’arcivescovo di Agrigento diocesi di cui fa parte Lampedusa, lanciando un nuovo appello come grido per la sorte degli immigrati. “In questi giorni in cui stiamo assistendo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, - afferma Francesco nello scritto all’arcivescovo Alessandro Damiano - siamo scossi dalle stragi silenziose davanti alle quali ancora si rimane inermi e attoniti. La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti. È la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro”. E prosegue: “Sono trascorsi dieci anni dal viaggio che ho voluto compiere nella comunità lampedusana per manifestare il mio sostegno e la paterna vicinanza a chi dopo penose peripezie, in balìa del mare, è approdato sulle vostre coste. Il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze; Dio ancora ci chiede: “Adamo dove sei? Dov’è tuo fratello?”. Vogliamo perseverare nell’errore, pretendere di metterci al posto del Creatore, dominare per tutelare i propri interessi, rompere l’armonia costitutiva tra Lui e noi? Bisogna cambiare atteggiamento; il fratello che bussa alla porta è degno di amore, di accoglienza e di ogni premura”. Né si contenta di una denuncia verbale perché Francesco impegna a cambiare vita, costi quel che costi e superando in modo speciale i pensieri di una politica che non porta soluzioni giuste e umane. Tutti siamo chiamati “ad un rinnovato e profondo senso di responsabilità, dando prova di solidarietà e di condivisione.
È necessario quindi che la Chiesa, per essere realmente profetica, si adoperi con sollecitudine per porsi sulle rotte dei dimenticati, uscendo da sé stessa, lenendo con il balsamo della fraternità e della carità le piaghe sanguinanti di coloro che portano impresse nel proprio corpo le medesime ferite di Cristo. Vi esorto perciò a non restare imprigionati nella paura o nelle logiche di parte, ma siate cristiani capaci di fecondare con la ricchezza spirituale del Vangelo codesta Isola, posta nel cuore del Mare Nostrum, affinché ritorni a splendere nella sua originaria bellezza”. Occuparsi di migranti significa occuparsi di pace, nessuna meraviglia, pertanto, che il papa ormai da 500 giorni cerca tutte le vie per porre fine al conflitto in Ucraina. Più che in strategie militari o in investimenti economici ha orientato le energie della diplomazia vaticana a cercare la chiave perché russi e ucraini tornino a parlarsi per studiare insieme condizioni di un cessate il fuoco, ritrovare motivi di fraternità per siglare quindi una pace che superi odio e ingiustizie. E’ stato il cardinale Pietro Parolin segretario di Stato a sottolineare il senso e la prospettiva della missione del cardinale Zuppi da poco conclusa a Kyiv e poi a Mosca. “È stata una missione molto importante- ha dichiarato Parolin a TG1 -. La missione a Mosca era parte dell’iniziativa globale proposta da Papa Francesco. Che prevedeva una prima sosta a Kyiv e poi questo secondo momento a Mosca. Da parte di Zuppi si è focalizzata soprattutto sul versante umanitario: lo scambio dei prigionieri e il rimpatrio dei bambini e questo necessitava una interlocuzione con Mosca. Direi che su questo punto le cose sono andate abbastanza bene nel senso che il cardinale ha potuto vedere Ushakov, il rappresentante del presidente e anche la signora Belova. Anzi ci sono stati due incontri con Ushakov che sta a significare che da parte russa è stata recepita questa attenzione, questa volontà e questo interesse della Santa Sede.
Adesso bisognerà trovare dei meccanismi che permettano di implementare, di applicare queste conclusioni a cui si è arrivati, con l’aiuto probabilmente anche di qualche organizzazione internazionale che permetta di mettere in atto questi risultati”. Francesco non lascia in sospeso nessuno degli impegni importanti. Sia nei confronti delle dinamiche attuali del mondo che nel progetto di rinnovamento della Chiesa cattolica chiamata a uscire dai ritardi e dalle pratiche poche evangeliche di secoli passati. Per questo il papa sta giocando molte carte decisive per la riuscita del sinodo prossimo che prevede una partecipazione di popolo mai prima registrata. Neppure nell’ambito della Chiesa è garantita l’unità. E questi giorni si assiste a una sorta di grande lite tra modi diversi di pensare e vivere la fede cristiana. Si discuteva molto e ci si divideva anche al tempo degli apostoli come documenta un’importantissima Lettera di Paolo apostolo ai Corinzi, con l’intento di riportare la pace interna alla comunità orientandola a custodire le cose davvero importanti per la fede: l’amore vicendevole e il riferimento a Gesù Risorto.
La Sala Stampa Vaticana ha diffuso l'elenco dei partecipanti che compongono la XVI Assemblea generale che si terrà in Vaticano in ottobre. In totale 363 Membri, con diritto di voto. Le donne sono 85, di cui 54 con diritto di voto: due di loro tra i Presidenti delegati. Salgono a 12 i Delegati Fraterni di altre chiese e confessioni religiose. Il cardinale Mario Grech segretario generale ha assicurato: "Abbiamo cercato di includere una rappresentanza di tutto il popolo di Dio, ma l'assise resta pur sempre un Sinodo dei vescovi, quindi è salvaguardata la dimensione episcopale”. Il criterio guida nel formulare una lista, spiega Grech, è stato di garantire 'un misto', una varietà (in quanto a carismi, vocazioni, esperienza ecclesiale, età, Paese di provenienza). Oltre ai rappresentanti dalle varie Conferenze episcopali del mondo (Africa 43, America 47, Asia 25, Europa 48, Oceania 5) e ai delegati delle Chiese orientali cattoliche (20), ci sono poi 50 membri di nomina pontificia. Da un elenco di 140 persone proposte dagli organismi continentali, il Papa ha scelto altri 70 fedeli non vescovi (tra cui cinque consacrate e cinque consacrati).
Sono stati selezionati soprattutto in virtù della loro partecipazione a vario titolo al processo sinodale nei diversi continenti. Sono per metà uomini e per metà donne. Ci sono inoltre gli Invitati Speciali (8), che partecipano all'Assemblea ma non alle decisioni. Tra loro si nota il nome di Luca Casarini, leader no-global, di "Mediterranea Saving Humans". Figurano, inoltre, i nomi degli Esperti e dei Facilitatori: i primi (periti) partecipano come invitati ma non sono membri del Sinodo, cooperano con i Segretari in forza delle loro specifiche competenze. Gli altri hanno invece il compito di agevolare lo scambio nei cosiddetti Circoli minori. La lista è stata sottoposta al setaccio dei tanti “Pierini” critici impenitenti che si ritengono autorizzati a dare il voto a qualunque cosa Francesco disponga di dire o fare. Neppure sulla lista per l’assemblea sinodale sono riusciti a tacere con critiche aspre al papa autore di scelte a loro giudizio di veri e propri eretici.
Questi i nomi dei cardinali che papa Francesco nominerà nel Concistoro del prossimo 30 settembre: mons. Robert Francis Prevost, prefetto del dicastero per i Vescovi; mons. Claudio Gugerotti, prefetto del dicastero per le Chiese Orientali; mons. Víctor Manuel Fernández, prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede; mons. Emil Paul Tscherrig, nunzio apostolico; mons. Christophe Louis Yves Georges Pierre, nunzio apostolico; mons. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme; mons. Stephen Brislin, arcivescovo di Città del Capo; mons. Angel Sixto Rossi, arcivescovo di Cordoba; mons. Luis José Rueda Aparicio, arcivescovo di Bogotá; mons. Grzegorz Rys, arcivescovo di Lodz; mons. Stephen Ameyu Martin Mulla, arcivescovo di Juba; mons. José Cobo Cano, arcivescovo di Madrid; mons. Protase Rugambwa, arcivescovo coadiutore di Tabora; mons. Sebastian Francis, vescovo di Penang; mons. Stephen Chow Sau-Yan, vescovo di Hong Kong; mons. François-Xavier Bustillo, vescovo di Ajaccio; mons. Americo Manuel Alves Aguiar, vescovo ausiliare di Lisbona; don Angel Fernández Artime, rettore maggiore dei Salesiani. Insieme ai 18 nuovi 'elettori' il Papa unirà "ai membri del Collegio Cardinalizio due arcivescovi ed un religioso che si sono distinti per il loro servizio alla Chiesa": mons. Agostino Marchetto, nunzio apostolico; mons. Diego Rafael Padron Sanchez, arcivescovo emerito di Cumaná; padre Luis Pascual Dri, confessore nel Santuario di Nostra Signora di Pompei a Buenos Aires. "Preghiamo per i nuovi cardinali - ha esortato il Papa - affinché, confermando la loro adesione a Cristo, sommo sacerdote misericordioso e fedele, mi aiutino nel mio ministero di vescovo di Roma per il bene di tutto il santo popolo fedele di Dio".