Messina Denaro ‘aiuta’ il governo. L’arresto del boss mafioso è un ottimo regalo di compleanno per la premier
Il presidente del Consiglio rivendica con orgoglio la lotta alla mafia e vola a Palermo. La politica plaude, ma la nomina della commissione Antimafia è ancora latitante
Il governo era, da giorni, in affanno, appannato, travolto dalle liti. Sui rincari del carburante e le accise. Sull’autonomia differenziata. E su altro. Le polemiche stavano travolgendo la coalizione di governo, con Silvio Berlusconi che mugugnava (“Non mi ascolta mai, potrei dare buoni consigli” minaccia, ma poi smussa: “Ci siamo sentiti, verrà a trovarmi presto, dobbiamo intensificare i rapporti”) e Matteo Salvini che si defilava, senza mai dare davvero man forte alla premier, su tutti i dossier più caldi. Meloni era difesa solo dal suo partito, FdI, che fa quadrato. Una premier, in calo persino nei sondaggi e nella popolarità, nonostante FdI resti saldamente il primo partito, a molte lunghezze da tutti gli altri.
Un perfetto regalo di compleanno per Meloni
L’arresto dell’ultimo grande boss latitante della mafia siciliana, Matteo Messina Denaro, non poteva cadere più ‘a fagiuolo’ per il governo Meloni e per la stessa premier. Uno splendido regalo di compleanno per la presidente del Consiglio, che ha compiuto gli anni proprio domenica scorsa. E che non a caso ha stravolto la sua agenda per volare subito a Palermo, insieme al sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano, per rendere omaggio ai Ros e ai pm che lo hanno catturato. Non prima di essersi fermata, in commossa testimonianza, per un lungo minuto di raccoglimento, davanti alla lapide che, sull’autostrada per Capaci, ricorda il sacrificio di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta. Falcone – e, soprattutto, il suo alter ego, Paolo Borsellino – sono i magistrati che hanno spinto la stessa Meloni a dedicarsi all’impegno politico, come lei stesso ha raccontato più volte, in varie interviste come nel suo libro, “Io sono Giorgia”. “Ho iniziato a far politica in nome e in seguito al sacrificio di Borsellino” scrisse Meloni.
La premier si catapulta a Palermo
La notizia dell’arresto fa subito il giro del mondo, ha un’eco planetaria. Tutte le istituzioni italiane plaudono, come vedremo, dal presidente della Repubblica Mattarella in giù. Ma la Meloni ha il senso e il fiuto della notizia come dell’occasione da sfruttare, e positivamente. Si catapulta a Palermo e rivendica, tra le altre cose, di aver voluto, tra i primissimi provvedimenti del suo governo, la prosecuzione e il reintegro dell’ergastolo ostativo per i boss mafiosi. Per il primo governo, dopo decenni, di centrodestra – e per il primo governo a guida FdI nella storia d’Italia – dimostrare plasticamente che la lotta alla mafia è in cima a tutti i suoi pensieri è una necessità. Una battaglia storica della sinistra, l’antimafia, e troppe collusioni, che hanno avuto libero corso per decenni, tra partiti di centrodestra e ambienti contigui o conniventi con il fenomeno mafioso, vanno spazzati via, una volta per tutte.
La Meloni e FdI sono nati, si può dire, sotto la stella polare della legalità e della lotta antimafiosa e hanno sempre conteso alla sinistra tale primato. Ora la Meloni è premier e rivendica con orgoglio di aver fatto della lotta alla mafia la sua bandiera. Il trentennale, appena compiuto, della cattura del Capo dei Capi, Totò Riina, appena celebrato, e la fiction in onda su Rai 1 sul generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con la celebrazione della sua squadra di giovani carabinieri che hanno saputo combattere e sconfiggere, insieme, prima il terrorismo rosso e poi il fenomeno mafioso (Dalla Chiesa fu ucciso, dalla mafia, ma i Ros dei Carabinieri furono una sua grande intuizione), completa il quadro delle suggestioni e delle rievocazioni storiche, anche a livello simbolico.
Meloni proclama già il 16 gennaio “giorno di festa” e rivendica il carcere duro per i mafiosi
“Mi piace immaginare che questo (il 16 gennaio, ndr.) possa essere un giorno di festa, il giorno – dice il premier nel corso di una conferenza improvvisata nella sede dei Carabinieri di Palermo - nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò”. Poi, appunto, aggiunge: “Oggi è un giorno di festa per me che ho cominciato l'avventura che mi porta verso la presidenza del Consiglio dei ministri dalle macerie di via d'Amelio. E sono fiera del fatto che il primo provvedimento del governo sia stato di confermare il carcere duro (contro i boss, ndr.) perché, se oggi non corriamo rischi dopo l'arresto di Messina Denaro di regimi carcerari meno rigidi, è perché quell'istituto voluto da Falcone e Borsellino è stato difeso dal governo”. Una battaglia, quella del carcere duro contro i mafiosi, che la premier e FdI hanno portato avanti subito, anche contro qualche sopracciglio alzato e qualche sotterranea resistenza di Lega come di FI, nella coalizione.
Il messaggio ai cittadini: “Lo Stato c’è e forte”
La premier, poi, sempre nell’ottica di una strategia comunicativa e politica insieme, si è rivolta ai cittadini: “Il messaggio che mando alla parte sana di Palermo, come quelli che davanti alla clinica hanno applaudito all’arresto di Messina Denaro è che non verranno lasciati soli. Il messaggio è di continuare a credere che lo Stato può dare risposte migliori, che lo Stato c’è, si occuperà di loro, faremo del nostro meglio perché non debbano mai trovarsi nella disperazione di dover fare una cosa che non vogliono mai fare. Ma devono avere anche l’alternativa e noi dobbiamo costruire l’alternativa, dobbiamo fare tutto quello che possiamo, perché quello è lo strumento più efficace nella lotta al cancro della mafia”. L’alternativa, dunque, è il lavoro, quello che può scaturire dall’utilizzo dei beni confiscati alla mafia, strumento che il governo vuole potenziare.
Ovviamente, non manca la melassa retorica, ma la Meloni è consapevole che la guerra alla mafia non è finita. “non abbiamo vinto la guerra, non abbiamo sconfitto la mafia, ma questa era una battaglia fondamentale da vincere e rappresenta un colpo duro alla criminalità organizzata”. Se alla fine Matteo Messina Denaro è stato trovato “vuol dire che c'è uno Stato che ha continuato a lavorare. Poi spero che qualcosa in più possa uscire su chi eventualmente avesse collaborato con lui”, aggiunge la premier. Torna, quindi, l’idea dello Stato ‘forte’, quasi autoritario, che – come il prefetto Mori sotto il regime fascista – combatte la mafia perché presidia il territorio, perché ‘l’antistato’ non è accettabile dallo Stato.
Ma la Meloni non ha nostalgie ducesche, autoritarie o para-fasciste. La sua idea di ‘stato etico’ è democratica: uno Stato vero, forte, consapevole del suo ruolo, lotta contro la mafia, lavora ogni giorno a debellare il cancro mafioso.
L’impegno sull’uso dei beni confiscati alla mafia
Come è ovvio, non mancano i ringraziamenti a chi ha permesso la cattura del boss, magistrati e carabinieri. La Meloni è consapevole che senza ‘gioco di squadra’ tra magistratura, forze dell’ordine e politica non si va da nessuna parte: “Ho detto al procuratore capo e agli investigatori e ai carabinieri, ai Ros alla polizia che l'Italia è fiera di loro: sappiamo che dobbiamo a loro questo grande risultato al lavoro quotidiano di grande determinazione che hanno condotto. Possono contare sui provvedimenti del governo necessari per portare avanti questa battaglia insieme”. Tra i provvedimenti che il governo vuole implementare c’è anche la confisca e l’uso dei beni confiscati alla mafia: “Con il sottosegretario Mantovanone parliamo da settimane – spiega la premier - È un tema legato anche alla storia di Matteo Messina Denaro, che si occupava di questioni di patrimonio. Questo è un segnale importante, affinché si elimini la presenza fisica della mafia sul territorio. Affinché nei beni confiscati alla mafia si possa aprire un'attività economica, si possa trovare lavoro. Sì alla legalità, sì agli strumenti, a tutto quello che serve sul terreno della sicurezza ma poi è il terreno fertile che devi togliere e quello lo togli solo con il lavoro”. Insomma, la strategia del governo è sinergica e qui sembra di sentir parlare don Luigi Ciotti, prete testimonial della lotta alla mafia ma anche di tante battaglie della sinistra: alla mafia devi togliere l’acqua in cui nuota, devi togliere l’ossigeno, i beni confiscati, e usarli per creare lavoro in zone dove lavoro ancora non c’è.
“La mafia non può essere un tema divisivo”
Infine, la Meloni si toglie anche lo sfizio di rispondere ai giornalisti che le chiedono cosa replica a chi diceva che la mafia era sparita dall'agenda politica: "Non voglio replicare, penso che questa giornata si commenti da sola – spiega -. Non penso che la lotta alla mafia possa essere un tema divisivo, chi tenta di fare della lotta alla mafia un tema divisivo fa un favore per paradosso alla criminalità organizzata, è una battaglia che dobbiamo condurre tutti insieme. Posso dire che la politica e lo Stato devono sostenere chi si occupa con il suo lavoro di questo. Spero che su queste materie, piuttosto che usarle per fare polemica, si possa lavorare tutti insieme”. Una stilettata, sottilmente polemica, a chi, come i 5stelle e parte della sinistra, accusa la destra di non voler fare, davvero, la lotta alla mafia o di aver avuto troppe connivenze con il fenomeno mafioso nel lontano e recente passato.
La politica italiana plaude alla cattura del boss
Per ora, almeno formalmente, comunque, la politica italiana tutta tira un sospiro di sollievo e plaude alla cattura del boss latitante da decenni, ma lo fa in particolare la compagine di governo.
“Una grande vittoria dello Stato" è il commento dei più, nel mondo della politica, che per un giorno, mette da parte le polemiche ed esulta per la cattura del boss numero 1 della criminalità organizzata, Matteo Messina Denaro, latitante da 30 anni. L'arresto del capo di 'Cosa nostra' ha messo d'accordo le forze politiche di maggioranza e quelle di opposizione, al motto de "lo Stato vince sempre, la mafia è destinata a perdere". Tra i primi a congratularsi con le forze dell'ordine e la magistratura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha telefonato al ministro dell'Interno e al comandante generale dell'Arma dei Carabinieri. Della Meloni si è detto prima. Il vicepremier Matteo Salvini,leader della Lega, parla di “una bella giornata per l'Italia e che serve da ammonimento per i mafiosi: le istituzioni e i nostri eroi in divisa non mollano mai".
“Grandissima soddisfazione per un risultato storico nella lotta alla mafia", è stata espressa, ovviamente, dal ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, cui fa capo la regia politica dell’operazione: "Complimenti alla Procura della Repubblica di Palermo e all'Arma dei Carabinieri che hanno assicurato alla giustizia un pericolosissimo latitante. Una giornata straordinaria per lo Stato e per tutti coloro che da sempre combattono contro le mafie". Immediate anche le congratulazioni dei presidenti delle due Camere, Ignazio La Russa, presidente del Senato, e Lorenzo Fontana, presidente della Camera. Parla anche, pur se tardi, e poco, questa volta, Silvio Berlusconi: "Un altro importante passo nella lotta contro la criminalità organizzata. Lo Stato è più forte e la mafia non vincerà”.
Giuseppe Conte, leader dei 5Stelle, sempre polemico: "La mafia non deve vincere, la mafia non può vincere. Lo Stato non deve abbassare le difese né ora né mai". Enrico Letta,segretario del Pd, più conciliante: “La mafia alla fine perde sempre". Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana coglie, però, con i complimenti, il punto: E il Parlamento costituisca subito la commissione antimafia. La lotta alla mafia deve continuare".
Ma il Parlamento ancora non ha istituito la nuova commissione Antimafia della legislatura
Il Parlamento, infatti, non ha ancora trovato il tempo di varare la Commissione bicamerale Antimafia. La colpa è delle Camere che, a quasi quattro mesi dalla data delle elezioni, non hanno ancora approvato la legge istitutiva dell’organo che ha sede a palazzo San Macuto. Essendo una commissione d’inchiesta, infatti, l’Antimafia deve essere varata con apposita legge all’inizio di ogni legislatura. Dopo le polemiche delle scorse settimane, la norma sarà votata dal Parlamento solo il prossimo 27 gennaio.
L’incrocio tra l’avvio della legislatura e la nuova tornata elettorale (le elezioni regionali in Lazio e Lombardia) con i tempi per la costituzione della Commissione così dilatati, dunque, rendono praticamente impraticabile il vaglio dei candidati (i cd. ‘impresentabili’) nelle liste elettorali. “Oggettivamente siamo in ritardo”, ammette con il deputato d’Italia viva, Ettore Rosato. Protestano i 5 stelle: “I tempi non ci sono“, dicono i deputati che, in occasione della capigruppo, avevano chiesto un ulteriore anticipo, rispetto al 27 gennaio, del voto dell’Aula per l’istituzione dellaCommissione. I 5 stelle sono stati tra i pochi partiti ad aver presentato in Parlamento le proposte di legge per istituire la Commissione Antimafia, tra Camera e Senato.
Dal primo insediamento, nel 1962, ad ogni inizio di legislatura, il Parlamento ha impiegato sempre circa due mesi per nominare i deputati e i senatori chiamati a far parte della commissione che ha sede a Palazzo San Macuto, e quindi eleggerne il presidente. Nel 2013 ci vollero addirittura sei mesi, dall’insediamento del governo Letta, all’elezione di Rosy Bindi come presidente di San Macuto, anche se la legge che istituiva la commissione era stata già approvata a giugno. Nel 2018 la commissione è stata varata ad agosto, a cinque mesi dalle elezioni ma a solo due dalla nascita governo gialloverde. Stavolta dalla nascita del governo Meloni sono passati quasi tre mesi ma la legge per creare la commissione non è ancora stata votata. In ogni caso, stavolta non si farà in tempo per lo screening sulle liste dei candidati alle elezioni regionali. Un segnale contraddittorio: da un lato la Politica inneggia alla cattura di Matteo Messina Denaro, dall’altro rinvia la nomina di una commissione storica e cruciale come la commissione Antimafia.