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[Il ritratto] I no a Craxi, gli scontri con Dell’Utri e le battaglie per i diritti. L’indipendenza a tutti i costi del maratoneta Mentana

Aldo Grasso, il critico televisivo del Corriere ha detto di lui: «E’ il più bravo. Nessuno come Mentana per ritmo, senso della notizia e autorevolezza». Ha già detto che questa è stata la più brutta campagna elettorale di sempre. Ed ora tocca alla sua lunga maratona elettorale raccontare il post voto con inizio domani alle 22.30

Un'immagine di Enrico Mentana, con il simbolo de La 7 sullo sfondo

Lui è di quelli che ci è nato giornalista. Una volta ha detto che in fondo aveva sempre pensato di farlo, «per via di mio padre e del mio amore, della mia ammirazione, per lui». Suo padre era Franco Mentana, inviato della Gazzetta dello Sport. Ma per arrivarci è passato da un’altra strada, traversando il carrozzone della Rai e la tv di Berlusconi, le immagini a colori incompiuti di un Paese così lontano che non ha mai amato questo mondo e che bisogna conquistare. Alla fine, se c’è una persona che con la sua carriera può raccontare davvero se stesso assieme alla nostra Storia, questo è proprio Enrico Mentana. Ha cominciato prestissimo, a 18 anni, arrivando dal liceo e dal Giambellino, nel giornale dove lavorava suo papà, come correttore di bozze, il gradino più basso, «e il primo articolo che dovevo correggere era di mio padre. Non c’era neanche un errore». Poi un po’ di politica, attorno alle idee socialiste.

L’assunzione alla Rai è del 1980, nell’Italia di Ustica e della strage alla stazione di Bologna, del terremoto in Irpinia e del primo calcio scommesse, con le telecamere puntate sulle camionette della Polizia che attraversano i campi di gioco, quando fuori da qui, lontano da noi, comincia l’era di Ronald Reagan e Margareth Tatcher. Non viene assunto al Tg2, feudo socialista. Ma al tg1, redazione esteri. Strano, perché come ha raccontato lui, la lottizzazione a quei tempi in Rai era selvaggia: i direttori del tg1 si decidevano solo dopo il congresso della dc, il Tg2 era l’Avanti, il Tg3 l’Unità. «Da ottimo lottizzato cercai di essere solo ottimo». Lavoro di redazione, qualche servizio fuori, la prima volta in video grazie a Emilio Fede e qualche memoria da ridere come quando non avendo una apertura di politica decisero di cominciare il tg1 con le elezioni in Corea del Nord, una notizia di cui non fregava niente a nessuno, nemmeno in Corea. Le notizie alla Rai potevano essere un optional interessante. Nella casa socialista, secondo canale, approda comunque nel 1987, non proprio da ultimo della classe: vicedirettore di La Volpe al Tg2. «Era la tv di Craxi. Durai poco più di un anno e fui rimosso». Anche perché non era un soldato così ubbidiente come qualcuno dei suoi colleghi alla Rai e quando Craxi gli chiese di fare il testimonial per uno spot elettorale, rifiutò addirittura. Mentana passa qualche anno da emarginato, ma che ci volete fare? Non è che alla Rai venivano tutti assunti per fare i giornalisti. All’epoca preferivano un’altra categoria: i tesserati. Nel 1991 viene licenziato: «Non facevo più niente. Avevo 36 anni ed ero senza occupazione». Ci pensa Berlusconi. Gli chiede di inventare il telegiornale della rete ammiraglia:  «Andai a Mediaset perché mi fu offerta una occasione che nessun giornalista avrebbe rifiutato, creare un tg ex novo». Dalla polvere all’altare. Il 13 gennaio 1992, primo tg5, ore 20, 7 milioni e 382mila spettatori, Enrico Mentana in giacca scura, camicia bianca e cravatta, e occhialini tondi. I capelli ricci sono ancora tutti neri. Non ha fatto neanche un numero zero. Parte così: «L’emergenza racket è il primo tema d’apertura di questo tg». Poi annuncia un doppio delitto a Firenze e un giallo a Genova. Solo notizie di cronaca nera. Ma non parte nessun servizio. Mentana parla al telefono, tace qualche secondo, poi dice: «Questa prima edizione delle 20 non poteva non cominciare se con l’attesa di un servizio...».

L’avventura di Mentana coincide in pratica con la crisi e la fine della prima Repubblica, la «discesa in campo» di Berlusconi, il bipolarismo, i duelli con Occhetto prima e Prodi poi, e lui è l’unico che riesce a portare i contendenti faccia a faccia davanti a una telecamera, arrivando persino a togliere la parola al leader di Forza Italia che quando attacca a parlare non è uno che si ferma tanto facilmente. Soprattutto a casa sua. Ma Mentana anche a Mediaset mantiene una certa indipendenza. Quando Berlusconi caccia Montanelli dal Giornale lui si schiera con il vecchio direttore.

E durante il G8 di Genova fa cronaca: che vuol dire non essere molto teneri con il governo. Non vota Forza Italia. Anzi, non vota proprio, a scanso di equivoci: «Ho smesso di votare nel ‘94. Sono tornato alle urne solo nel 2006 e ho posto una croce sul sinmbolo della Rosa nel Pugno. Dopo pochi mesi m’ero già pentito». Poco alla volta il suo scranno comincia comunque a traballare.Nel luglio 2004 dice che «dalla poltrona di direttore del Tg5 non mi schiodate neanche a colpi di giavellotto. Sono 10 anni che a intervalli regolari tornano queste voci». Ma l’11 novembre 2004 annuncia in diretta che «questa sera termina il mio lavoro al tg5».

Ha litigato con Confalonieri che in verità l’aveva sempre difeso fino allora: «Mentana è una star. E’ la Wanda Osiris del giornalismo. E a una come lei gli si perdona tutto». Sarà, ma ha contro tutti gli aficionados più schierati di Berlusconi, e soprattutto Dell’Utri, che non ha molta voglia di parlarne troppo bene. Il gossip narra anche di rapporti tesi con Emilio Fede. Il direttore del tg4 in un libro ha scritto che era stato lui ad assumerlo al tg1 su «ordine di Martelli». Mentana l’ha querelato e Fede ha chiesto scusa. Tutto ok. in ogni caso, fra uno scricchiolo e l’altro, comincia una nuova avventura con Matrix. Va tutto bene fino al 9 febbraio del 2009, quando muore Eluana Englaro, e Canale5 si rifiuta di cambiare il palinsesto e interrompere le trasmissioni per delle finestre di approfondimento sulla notizia. Ancora una volta «Mitraglietta» Mentana, come lo chiamano per quel suo parlare a raffica, è fedele a se stesso. Dimissioni e si rifà tutto da capo.

Lo candidano alla direzione del tg3, ma il Pd si oppone. Ne parlano per Sky ma non se ne fa niente. Approda a La7, 30 agosto 2010. Fa il telegiornale di Mentana. Tutto l’opposto di quello che faceva a Canale5. Poca cronaca e tanta politica. Poi si inventa le maratone elettorali, torturando il sondaggista Masia e la onnipresente Alessandra Sardoni («Ci colleghiamo con la Sardoni, si vede la brandina su cui ha dormito sullo sfondo...») e diventando un cult per i fratelli di Crozza. Ha lasciato twitter in polemica con l’inciviltà del web, ma su facebook è un piacefre leggerlo quando bacchetta i Napalm 51: «parli solo delle cose che sa, che a occhio e croce è un invito al silenzio». A Gianluca Amedeo che gli scrive «Ma della nostra dittatura non ne parla mai? Ma dove cazzo vive Mentana?», risponde: «In Italia, dove persino lei può dire la sua con così spiccata lucidità e profondità di analisi».

E’ rapido e di felice battuta, da buon giornalista. Emilio Fede ribadendo che non è stato lui ad assumere Mentana al tg1, onde evitare un’altra querela, dice, modestamente: «Mentana a La7 fa un buon giornale all’Emilio Fede ma tutti abbiamo avuto dei riferimenti». Aldo Grasso, il critico televisivo del Corriere, è più ammirato: «E’ il più bravo. Nessuno come Mentana ha saputo interpretare il ruolo del conduttore per ritmo, senso della notizia e autorevolezza». Lo definisce «uno scattista, la battuta pronta, la capacità di afferrare al volo le situazioni. Nessuno come lui ha il fiuto per la trama». Gli servirà con quello che ci aspetta. Ha già detto che questa è stata la più brutta campagna elettorale di sempre. E che la vera maratona comincerà il giorno dopo, dal 5 marzo, quando nessuno saprà che cosa potrà succedere. Nemmeno lui. Ma come diceva Benedetto Croce, «ogni mattina un buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno». E ce ne sono un mucchio già belli e pronti.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, giornalista e scrittore   
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