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Petrol-Mafia, maxi operazione di quattro procure: 70 arresti. Tremano i vip. Arrestata l'ereditiera Anna Bettozzi

La donna era già stata fermata nel 2019 mentre cercava di passare il confine italiano a Ventimiglia a bordo di una Rolls Royce con 300 mila euro in contanti

Claudio Cordovadi Claudio Corodva   
Petrol-Mafia, maxi operazione di quattro procure: 70 arresti. Tremano i vip. Arrestata l'ereditiera...

Nel servizio sulla recente maxi operazione coordinata dalle Procure di Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria denominata “Petrolmafia S.p.a.” che riferisce dell’arresto di decine di persone attualmente indiziate del reato di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e alla commissione di altri reati gravissimi, abbiamo pubblicato un filmato (fornito alla Stampa dalla Guardia di Finanza) nel quale viene inquadrato a lungo l’impianto di distribuzione di carburanti sito in Reggio Calabria di proprietà della società “Europetroli” con sede legale in Modica. L’avvocato Fabio Borrometi, nell’interesse della società “Europetroli”, precisa che la Europetroli S.r.l. è totalmente estranea ai fatti in questione. Il filmato diffuso dalla Guardia di Finanza inquadra un impianto di distribuzione di carburanti che è stato effettivamente posto sotto sequestro nell’ambito dell’attività che però non riguarda assolutamente la “Eurepetroli”, che è assolutamente estranea all’indagine.

 

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Gli inquirenti parlano di un’Italia Meridionale “inondata di petroli”. Illecitamente. E sono, effettivamente, imponenti i numeri dell’inchiesta “Petrolmafie Spa”, curata dalle procure di Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria. 71 misure cautelari, quasi un miliardo di euro sequestrato, di cui, svariati milioni, in contanti per recidere i legami tra camorra, ‘ndrangheta e imprenditoria. A porre fine al lucroso business, il blitz congiunto della Guardia di Finanza e del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri.

Il petrolio meglio della droga

Il petrolio “ci sta fruttando più della droga”. Così si esprimevano i soggetti – imprenditori e mafiosi – coinvolti nell’inchiesta: una gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose originariamente diverse nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili, meri prestanome. Sul campo oltre mille militari dei rispettivi Nuclei PEF e dello SCICO della Guardia di Finanza, nonché su Catanzaro dei ROS dei Carabinieri. Mentre sul fronte camorristico risulta la centralità del clan Moccia nel controllo delle frodi negli oli minerali oggetto delle misure odierne, sul versante della ‘ndrangheta i clan coinvolti sono Piromalli, Cataldo, Labate, Pelle e Italiano nel reggino e Bonavota di S. Onofrio, gruppo di San Gregorio, Anello di Filadelfia e Piscopisani a Vibo Valentia.

Importante il coordinamento tra le Direzioni distrettuali antimafia di Napoli e di Roma. “Molti si affannano a fare classifiche sulla pericolosità delle mafie, ma le organizzazioni mafiose operano senza distinzioni” ha detto il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo. Il procuratore della Repubblica di Roma, Michele Prestipino, ha sottolineato il rapporto tra imprenditoria e organizzazioni mafiose, parlando di “paradigma scolastico” per far aumentare i proventi: grazie a questi legami, il valore di un’azienda coinvolta si sarebbe moltiplicato di ben 45 volte.

La Camorra e il clan Moccia 

Sul fronte anti-camorra hanno operato le DDA di Napoli e Roma, a mezzo di indagini rispettivamente sul clan Moccia e sulla Max Petroli SRL. I Moccia costituiscono una tra le più potenti e pericolose organizzazioni camorristiche del panorama nazionale ed è notorio per l’abilità nello stringere patti con esponenti di rilievo dei settori pubblico e privato per agevolare profittevoli investimenti di capitali illeciti nell’economia, legale e illegale: “E’ difficile investigare sul clan Moccia – ha spiegato il colonnello Gabriele Failla – perché è molto presente nell’economia legale”. Il capofamiglia, Antonio Moccia, sarebbe un soggetto molto ben inserito negli affari, ma anche molto pericoloso, visto che nel suo casellario giudiziale figura anche un omicidio a sangue freddo, compiuto quando era ancora minorenne.

Chi è Anna Bettozzi

Attraverso una serie di operazioni societarie, il gruppo entra in rapporti con la Max Petroli SRL - ora MADE PETROL ITALIA SRL - di Anna Bettozzi in arte Ana Betz, che aveva ereditato l’impero di Sergio Di Cesare, noto petroliere romano. Antonio Moccia, Alberto Coppola e Anna Bettozzi risultano gravemente indiziati di aver stretto un accordo societario di fatto per la commissione di illeciti di cui hanno beneficiato praticamente tutti i soggetti coinvolti; il rapporto con Alberto Coppola è stato fondamentale per la Bettozzi in quanto l’uomo è subentrato nell’azienda in un momento di evidenti difficoltà economiche e gestionali dovute anche ai problemi di salute del marito Sergio Di Cesare. La Bettozzi, infatti, è risultata secondo i magistrati donna inserita negli ambienti del potere imprenditoriale (e non solo) capitolino, e tuttavia non all’altezza di sostituire da sola il coniuge, petroliere di collaudata esperienza: il patto con Coppola e Moccia, dunque, ha apportato agli affari comuni la competenza “specialistica” di Coppola e soprattutto le provviste finanziare e il sostegno del potere mafioso di Moccia, le une e l’altro non soltanto ben accetti ma anche ricercati dal mondo affaristico romano.

La Rolls Royce e i milioni in contanti 

La Bettozzi, finita agli arresti, trovandosi a gestire una società in grave crisi finanziaria, grazie alla conoscenza di Coppola era riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidità da parte di vari clan di camorra, tra cui quelli dei Moccia e dei casalesi, che le avevano consentito di risollevare le sorti dell’impresa, aumentando in modo esponenziale il volume d’affari, passato da 9 milioni di euro a 370 milioni di euro in tre anni. Il successo imprenditoriale consentiva inoltre agli indagati di mantenere un elevato tenore di vita, fatto di sontuose abitazioni, gioielli, orologi di pregio e auto di lusso. Nel mese di maggio 2019, ad esempio, la Bettozzi fu fermata a bordo di una Rolls Royce alla frontiera di Ventimiglia, mentre si recava a Cannes per partecipare all’omonimo festival del cinema, e trovata in possesso di circa € 300.000 in contanti. I successivi accertamenti presso il lussuoso albergo a Milano dove soggiornava, consentirono di rinvenire altri 1,4 milioni di euro, sempre in contanti, poi sottoposti a sequestro.

I soldi in nero a Garko 

“Il denaro viene autoriciclato dalla Max Petroli reinvestendolo nell’attività imprenditoriale dell’arruolamento a fini pubblicitari del tesimonial Gabriel Garko per il nuovo spot della ‘Made Petrol’”. E’ il particolare contenuto nell’ordinanza firmata dal gip Tamara De Amicis. “Dall’ascolto delle conversazioni telefoniche e ambientali emerge infatti la stipula di un contratto – si legge nell’ordinanza - per la realizzazione di uno spot pubblicitario tra Anna Bettozzi e l’attore Garko in cui parte del corrispettivo pattuito, pari a 150mila euro è stato versato in denaro contante. L’attore, intercettato in una conversazione, si lamenta della parziale difformità tra gli importi concordati come fatturabili in chiaro rispetto al quantum da corrispondere in nero. Le parti concertano come dovrà avvenire la corresponsione del compenso pattuito pari a 250mila euro: 50mila euro già versati (…”50 te li ho già dati e rimangono 200…”); 100mila in contanti prima del contratto (“il cash prima del contratto!”); 100mila euro all’atto della stipula del contratto (“100 in nero e 100 fatturato…sul contratto va messo solo il fatturato!”)".

L'accordo tra Camorra e imprenditoria 

Le risorse finanziarie in contanti, una volta raccolte, venivano concentrate nell’area napoletana, e fatte pervenire, tramite “spalloni”, agli stessi riciclatori romani, che successivamente provvedevano alla consegna ai “clienti”, tra i quali come detto figurava proprio il gruppo societario facente capo ad Alberto Coppola e Antonio Moccia, a perfetta chiusura del riciclo di denaro sporco. Come emerso dalle indagini napoletane, la rilevanza dell’incipiente business dei Moccia nel settore degli oli minerali provoca reazioni anche violente da parte di altri clan della camorra. Alberto Coppola subisce due attentati con esplosione di colpi di pistola, a seguito dei quali non esita a chiedere aiuto al suo referente e parente Antonio Moccia che si attiva. Ne consegue una pax mafiosa, imposta dai Moccia e suggellata con la cessione di una quota dell’impianto di carburanti al clan Mazzarella. 450 milioni di litri commercializzati illecitamente. Così, dunque, dicono gli investigatori, “l’Italia Meridionale è stata inondata di petroli”.

La 'Ndrangheta e il petrolio dell'Est Europa 

L'indagine, avviata nel giugno 2018 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro - Direzione Distrettuale Antimafia, quale naturale prosecuzione dell’operazione “Rinascita-Scott”, si è incentrata sulle figure di taluni imprenditori vibonesi, attivi nel settore del commercio di carburanti, ritenuti espressione della cosca Mancuso di Limbadi, nonché collegati ad altre articolazioni ‘ndranghetistiche. Il sistema di frode consisteva nell’importazione, perlopiù dall’est-Europa, di prodotti petroliferi artefatti (miscele) e oli lubrificanti, successivamente immessi in commercio come gasolio per autotrazione, con conseguenti cospicui guadagni dovuti al differente livello di imposizione. Ruolo fondamentale, quello rivestito dagli imprenditori D’Amico, proprietari di quel deposito che doveva essere l’avamposto dei Mancuso.

Cosche volevano chiudere affare con impresa Kazakistan

E’ stato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, a riferire un episodio emblematico. La riunione avvenuta nel gennaio 2019 presso l’osteria “Da Roberto” a Vibo Valentia, cui partecipa anche il boss Luigi Mancuso. A quell’incontro, partecipano anche un emissario dell’azienda KMG del Kazakistan, accompagnato da due broker milanesi, arrestati nel corso del maxiblitz di oggi. Oggetto dell’incontro è far arrivare il carburante a Vibo Valentia, in particolare nel porto vibonese, attraverso una boa cui far attraccare le petroliere e poi trasferire il liquido al deposito di D’Amico. Mancuso afferma pure che avrebbe fatto pressione sugli Enti Locali per far revocare la concessione all’ENI e agire, quindi, indisturbati in regime di monopolio. L’operazione si blocca, però, per l’arresto di uno degli intermediari, Antonio Prenestì.

Cifre da capogiro

Comunque sia, dal 2018 al 2019, sono stati movimentati circa 6.000.000 di litri di gasolio per autotrazione di provenienza illecita, cui corrisponde un’evasione di accisa pari ad euro 5.766.018,60. Inoltre, sono stati accertati episodi di omessa dichiarazione dell’IVA, con un’evasione pari ad euro 661.237,86, di emissione di fatture per operazioni inesistenti per euro 1.764.022,27, nonché di omesso versamento di IVA per euro 1.729.586,00. In concreto, negli anni 2018 e 2019, mediante il citato sistema illecito, sono stati movimentati, rispettivamente, oltre 2.400.000 litri e oltre 1.900.000 litri di prodotto petrolifero, con un’evasione di accisa per euro 1.862.669,29 e un’evasione di IVA per euro 618.589,68 per omessa dichiarazione, oltre alla emissione di fatture per operazioni inesistenti per euro 249.826,97.

Le società cartiere

A Reggio Calabria, infine, le investigazioni hanno pntato a far emergere gli interessi della ‘ndrangheta, della mafia siciliana e della camorra, nella gestione del business del commercio di prodotti petroliferi sull’intero territorio nazionale. Tra i principali membri apicali del sodalizio spiccano soggetti dell’importante casato dei Piromalli di Gioia Tauro, ma anche dei Cordì di Locri e dei Ficara-Latella e dei Labate, di Reggio Calabria. Le società investigate (“cartiere”), affermando fraudolentemente di possedere tutti i requisiti richiesti al fine di poter beneficiare delle agevolazioni previste dalla normativa di settore, presentavano alla ITALPETROLI S.p.A. di Locri – volano della frode - la relativa dichiarazione di intento per l’acquisto di prodotto petrolifero senza l’applicazione dell’IVA; il prodotto così acquistato, a seguito di diversi (e cartolari) passaggi societari, veniva poi ceduto, a prezzi concorrenziali, ad individuati clienti. In sostanza: la frode si sarebbe innescata attraverso le forniture di prodotto (in regime di non imponibilità) effettuate dal deposito fiscale (nonché deposito IVA), consapevole e promotore del sistema fraudolento; l’acquisto veniva effettuato, senza applicazione dell’IVA, da imprese cartiere che, prive dei requisiti richiesti dalla normativa di settore per assumere la qualifica di esportatore abituale, presentavano false dichiarazioni d’intento; tali operatori, formalmente amministrati da prestanome nullatenenti, erano riconducibili e gestiti direttamente dall’organizzazione criminale. Le società “cartiere”, attraverso broker operanti sul territorio calabrese, campano e siciliano, vendevano ai clienti finali a prezzi assolutamente concorrenziali, al di sotto del valore di mercato, sfruttando indebitamente il vantaggio economico dell’IVA non versata.

“Noi siamo l'Andrea Doria e l'Andrea Doria non affonda"

Nel corso delle indagini gli inquirenti avrebbero ricostruito un giro di false fatturazioni per un ammontare imponibile complessivo pari ad oltre 600 milioni di euro e IVA dovuta pari ad oltre 130 milioni di euro l’omesso versamento di accise per circa 31 milioni di euro; al riguardo le investigazioni hanno consentito di accertare che i membri del sodalizio, nella fase di default, formavano e trasmettevano all’Agenzia delle Dogane un fittizio (con attestazione falsa di “pagato”) modello F24 attestante il pagamento delle accise dovute dalla ITALPETROLI S.p.A. per il mese di marzo 2019 - per un importo di circa 11 milioni di euro - col duplice fine di scongiurare eventuali controlli da parte dell’Amministrazione Finanziaria e, di conseguenza, proseguire con il disegno illecito.

Nel mese di maggio del 2019, a riscontro all’attività investigativa, è stata sequestrata la somma contante di 1.086.380,00 di euro, occultata all’interno di un’autovettura appositamente modificata per l’occultamento e il trasporto della valuta. Centrale il ruolo della cosca Piromalli, tratteggiato dal generale Alessandro Barbera, comandante dello SCICO della Guardia di Finanza di Roma. Il generale Barbera ha fatto riferimento a una intercettazione in cui a parlare è Gioacchino Piromalli, uomo forte dello storico casato di ‘ndrangheta di Gioia Tauro: “L’Andrea Doria non affonda mai e noi siamo l’Andrea Doria” dice il boss nella conversazione intercettata.

 

 

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