“Non ti meriti il mio saluto, bamboccio”. Una ufficiale di Marina condannata per aver offeso un Tenente dell’Esercito
La donna è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, mentre rimane confermata la pena di tre mesi di reclusione (pena sospesa con la condizionale)

“Non ti meriti il mio saluto, bamboccio … anzi quasi quasi ti mando a fare in culo”. Così una tenente di Vascello della Marina Militare, Brigata “San Marco”, aveva offeso onore e decoro di un Tenente dell’Esercito. In tempi per fortuna remoti un’offesa del genere avrebbe comportato la disputa di un duello all’ultimo sangue, specialmente fra militari di professione. Oggi a risolvere le vertenze di pensa un giudice. Giusto così. Sembra quasi una storia di nonnismo (ma non lo è): perché questa volta a offendere, secondo la Corte Militare d’Appello di Roma, è stata una ufficiale donna della Marina Militare. L’episodio – ha spiegato infodifesa.it, portale di Informazione per il Comparto Sicurezza e Difesa – è avvenuto nella Caserma Carlotto, base operativa del Reggimento San Marco. Il Tenente dell’Esercito non digerì l’offesa e informò i suoi superiori diretti. La vicenda finì prima in Procura Militare e dopo presso il Tribunale Militare di Napoli. Nel 2017 il Tribunale comminò ai danni della marinaia una pena di tre mesi di reclusione militare, con la sospensione condizionale della pena.
Corte Militare d’Appello
L’anno successivo, la Corte Militare d’Appello di Roma confermò la decisione dei giudici campani. La donna, che non si era arresa, portò la vicenda in Cassazione, dove chiese attraverso il suo avvocato l’annullamento della sentenza sulla base di alcune motivazioni, come ad esempio l’inesistenza di alcun rapporto di natura organica e gerarchica tra i due militari, in quanto uno era un ufficiale del Genio Militare della Marina Militare e l’altro era un ufficiale dell’Esercito, sicché, se un’offesa si fosse realizzata, avrebbe dovuto contestarsi il diverso reato di cui all’art. 226 codice penale militare di pace, con applicazione della condizione di procedibilità stabilita dall’art. 260 cod. pen. mil. di pace.
L’ingiuria “bamboccio”
L’ ingiuria “bamboccio” – si legge sempre su Infodifesa - era stata profferita al di fuori del vincolo gerarchico e dell’attività militare risultando inesistente ogni forma di disciplina durante la pausa pranzo, momento nel quale accadde l’episodio. Secondo il difensore della soldatessa, inoltre, non era stato considerato che nella caserma “Carlotto”, “al momento del fatto, stazionava una moltitudine di persone, ciascuno per proprio conto, non in adunanza, in assemblea, sicché erano del tutto inesistenti in quel momento il concetto di disciplina e l’ordine gerarchico, con l’effetto che l’ufficiale della Marina non avrebbe potuto essere condannata in mancanza di questi due elementi fondamentali”.
La sentenza della Cassazione
Sempre secondo la difesa, “quell’insulto non aveva offeso l’onore il decoro del Tenente dell’Esercito, il quale non aveva neanche sporto querela. Infine le espressioni adottate non avevano riguardato la capacità del destinatario di tenere la disciplina dei militari. Ma, con l’adozione dell’espressione “bamboccio” si era soltanto formulato verso l’interlocutore l’invito a crescere”. I giudici della Cassazione però hanno deciso diversamente, ritenendo “manifestamente infondato il ricorso, in quanto la frase ingiuriosa profferita all’indirizzo del tenente dell’Esercito, era chiaramente collegata al servizio e alla disciplina militare, al di là dell’assenza di diretto rapporto di servizio fra i due Ufficiali”. La donna è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, mentre rimane confermata la pena di tre mesi di reclusione (pena sospesa con la condizionale).