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Dopo la protesta. Lettera aperta dei Gilet gialli a Macron: “Non siamo dei violenti, vogliamo solo una vita decente"

Ormai è chiaro che la protesta ha radici profonde ed ampie nella diseguaglianza crescente della società francese, non facilmente liquidabili dietro le etichette di “populismo” , “nichilismo” o “fascismo”

Paola Pintusdi Paola Pintus   
Dopo la protesta. Lettera aperta dei Gilet gialli a Macron: “Non siamo dei violenti, vogliamo solo...

Chi pensava che i “Gilet Gialli” fossero un fenomeno passeggero, magari etero-diretto dall’intelligence del Cremlino sempre pronta a sabotare le democrazie occidentali, rimarrà deluso. Ormai è chiaro che la protesta ha radici profonde ed ampie nella diseguaglianza crescente della società francese, non facilmente liquidabili dietro le etichette di “populismo” , “nichilismo” o “fascismo”.  Vero è invece che il malcontento  per il calo del potere d’acquisto e per la crescente proletarizzazione dei ceti medi ha prodotto una singolare saldatura fra diverse istanze e diverse categorie sociali, a prescindere dalle appartenenze politiche e dalle vecchie divisioni di classe.

Se ne era avuto già un assaggio qualche anno fa, con l’esplosione della rabbia nelle banlieues che però allora era rimasta confinata all’interno dei quartieri periferici e circoscritta alla protesta senza sbocco dei figli di immigrati di seconda o terza generazione. Ora invece l’incendio dilaga in tutto il paese, con un ampio sostegno (77%) fra gli impiegati e gli operai, un tempo esponenti delle classi medie ed ora  zoccolo duro dei Gilet Jaunes  insieme ai pensionati (72%). Anche sul piano politico il movimento sfugge a una precisa caratterizzazione, godendo di ampio consenso sia a destra (con oltre l’80 % dei simpatizzanti di Debut la France e del Ressemblement National) che a sinistra (poco meno dell’80% dei socialisti, il 75% degli Insoumis ed il 74% degli ecologisti di EELV).

Sbaglia dunque chi crede di poter identificare una parte con il tutto:  quel che  sta accadendo in Francia ha poco a che fare con le tradizionali categorie novecentesche di destra e sinistra avvicinandosi invece ad un  inedito  movimento di massa che partendo dal basso arriva a contestare  radicalmente il governo di Emmanuel Macron fino ai vertici delle istituzioni europee:  percepiti, l’uno e gli altri come garanti di un sistema di potere che tende a preservare se stesso a scapito dei ceti popolari impoveriti che pure En Marche aveva preteso di rappresentare all’indomani del trionfo alle presidenziali francesi. Ed è proprio questa rabbia, questa sensazione di essere stati “presi in giro” che funge da maggior collante della protesta, come sottolinea il sociologo Erik Neveu:  “Hanno detto loro di andare ad abitare in campagna, di acquistare auto diesel, ed ora gli si dice che sono dei malefici inquinatori”. L’ arresto di uno dei rappresentanti dei Gilet Jaunes, Eric Drouet, animatore insieme a Priscilla Ludowsky della pagina Facebook “La France en Colere” dalla quale è partita la mobilitazione dell’ultima giornata di protesta, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo da tempo.

Lettera aperta al presidente Macron

Lo scorso 3 gennaio dal profilo de “La France en Colere” era stata diffusa una lettera aperta all’indirizzo del presidente Macron, in cui si denunciavano le ingiustizie e la “trappola politica” del Piano di Consultazione Nazionale annunciato dall’inquilino dell’Eliseo dopo le ultime violenze. Seguiva l’appello ad una nuova mobilitazione, in cui venivano ribadite le rivendicazioni della protesta per “ l’abbassamento di tutte le tasse ed imposte sui beni di prima necessità”e per un “abbassamento di tutte le rendite, salari, privilegi e pensioni degli alti funzionari dello Stato”. Ma non basta.

La lettera, portata sabato in piazza dai manifestanti davanti al municipio parigino, alzava il tiro della sfida col Governo Macron, apertamente sfiduciato dal movimento con parole durissime: la “repressione” messa in atto dall’Eliseo è “una dichiarazione di guerra costantemente rinnovata”, una “guerra di classe nefasta per l’unità della Francia”, avevano denunciato i Gilet Jaunes. In un’intervista a RT France, Faouzi Lellouche, dirigente dell’associazione Acces’Cible ed altro portavoce della protesta, ha spiegato così  il malcontento dei Gilet Jaunes: “Avremmo voluto un’interlocuzione col Governo a proposito del piano di Consultazione Nazionale, ma finora nessun contatto. I cittadini reclamano semplicemente di poter vivere dignitosamente e di essere rispettati, loro (i membri dell’esecutivo) mentono per non dover ammettere i loro errori gettando discredito sul movimento e sulle nostre richieste. Noi non siamo dei violenti, non siamo dei” casseurs” siamo solo delle persone  determinate ad avere una vita decente”

Perché Macron non ha convinto i francesi

Le premesse per una rinnovata mobilitazione c’erano tutte da giorni.  Il discorso televisivo di Emmanuel Macron alla vigilia del nuovo anno non aveva convinto i Gilet Gialli, che sabato sono scesi in piazza per celebrare il cosiddetto “Acte VIII”, ovvero l’ottava settimana di manifestazioni, mettendo a ferro e a fuoco le città francesi. Ma se inizialmente il governo era stato colto alla sprovvista dalle conseguenze della tassa sui carburanti (pur ampiamente previste dal ministro dell’ambiente Hulot, dimessosi per questo ad ottobre)   stavolta non ci sono scuse per il presidente Macron. La sua incapacità a gestire la crisi e calmare gli umori del paese è diventata palese il 31 dicembre, quando un terzo dei telespettatori si era detto poco convinto dalle espressioni del presidente della Repubblica, che senza mai citare le rivendicazioni dei Gilet Gialli, aveva genericamente parlato della “collera” che ha investito la Francia nell’ultimo mese e mezzo, ribadendo con forza la sua volontà di “continuare sulla linea delle riforme”.  

Una linea ritenuta offensiva dalla maggioranza dei cittadini francesi e disastrosa per l’immagine di Macron, sempre più solo fra le stanze dell’Eliseo: solo il 14% dei francesi aveva dichiarato la propria soddisfazione per le affermazioni del presidente, mentre il 60% si era detto “poco convinto” o “per nulla  convinto” dalle parole del presidente. Non erano mancate reazioni anche sul fronte politico:  lapidario il giudizio di Jean Luc Mèlenchon, rappresentante di France Insoumise: “Lunare dare delle lezioni”, mentre da destra Marine Le Pen aveva dato dell’  “impostore” e del “piromane” al presidente francese. Fabien Roussel, leader del Partito comunista francese, aveva dato a Macron del “moralizzatore”, che “intende perseguire la sua strada verso le riforme senza tener conto della collera e delle attese di coloro i quali semplicemente aspirano a vivere meglio: nulla sulla redistribuzione della ricchezza. Tanto peggio per la maggioranza dei francesi”.

Per Nicolas Dupont Aignant, esponente di Debout la France, formazione gollista-sovranista, Macron “non ha capito nulla di ciò che i francesi vivono e di ciò che stanno esprimendo. Sarà molto peggio nel 2019”. A questo punto, con un movimento che non arretra ed un governo sempre più in affanno nella ricerca del dialogo coi manifestanti, non è più tanto lontana l’ipotesi di dimissioni per far spazio ad un governo tecnico. I francesi non si chiedono più “se”, ma “quando”: probabilmente la spallata arriverà con l’ondata populista alle elezioni europee di primavera.

 

Paola Pintusdi Paola Pintus   
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