[L’analisi] Giallo sul suicidio del capo ultrà della Juve, le curve degli stadi colonizzati dalla ‘ndrangheta

L’inchiesta di Report è un serio lavoro giornalistico su un problema molto grave che affligge il nostro calcio. Perché la curva della Juventus è il paradigma di una malattia che rischia di divorare una delle industrie più importanti del nostro Paese, e sarebbe l’ora di finirla di chiudere gli occhi nel nome del tifo, giustificando ogni cosa se è coinvolta la squadra del tuo cuore. Il vergognoso striscione entrato allo Stadium con la condiscendenza di qualche capo ultrà e forse anche di un responsabile della società, è seppur grave solo la parte marginale di questo scandalo. Testimonia che le maglie dei controlli sono troppo larghe per impedire infiltrazioni pericolose.
Tutto è nato dalla strana morte di unRaffaello Bucci, che a Torino la fa da padrona. Nell’inchiesta quel connubio era parso evidente. Il 5 aprile 2016 Andrea Puntorno, uno dei capi dei «Bravi ragazzi», formazione del tifo bianconero, era stato sottoposto alla sorveglianza speciale per 3 anni e alla confisca di ben per 500mila euro dopo l’arresto per una maxi inchiesta su un traffico internazionale di droga. Da questo caso era disceso tutto il resto, fino alla condanna per associazione mafiosa e tentato omicidio di Rocco Dominello, 41 anni, leader dei Drughi e uomo della cosca Pesce di Rosarno. E dopo Report, Cuneo ha disposto la riesumazione della salma di Bucci ordinando una nuova perizia, prima di sentire altri testimoni.
L’indagine della Procura di Torino ha posto per la prima volta l’attenzione dell’opinione pubblica sui tentacoli di una triste realtà sempre negata dal mondo del calcio. Che non riguarda solo la Juve. Eppure segnali pericolosi che le curve degli stadi fossero diventate luoghi di infiltrazione mafiosa e di spaccio di stupefacenti ce n’erano stati in abbondanza. Sullo sfondo, come se questo non bastasse a fare degli stadi dei crocevia di traffici sporchi, di cui quello della cresta sui biglietti è il meno pericoloso, si staglia uno scenario ancora più inquietante. Nel mirino degli inquirenti c’è tutta l’organizzazione del tifo, a cominciare dalle trasferte con bus e treni riempiti da soggetti che hanno più precedenti penali che partite viste. Secondo alcuni investigatori, nelle province del Sud ad alta intensità mafiosa molti messaggi fra consorterie malavitose viaggiano sugli stessi pullman dei tifosi. Specie durante le trasferte oltreconfine, per fare accordi con mafie straniere e allargare i propri affari illeciti. Le frange più violente e criminali del calcio sono ormai diventate delle cinghie di collegamento per i traffici più sporchi. Da Sud a Nord. Se vogliamo risalire agli inizi di questa infiltrazione, non pensiamo non pensare al 22 dicembre 2002 quando uno striscione contro il carcere duro per i boss rimase esposto per 3 minuti nello stadio Renzo Barbera di Palermo durante la partita dei padroni di casa contro l’Ascoli: «Uniti contro il 41 bis. Berlusconi dimentica la Sicilia». Quello fu il primo segnale che la mafia cercava di impadronirsi delle curve del tifo.
Ma da allora, molti altri ne sono seguiti, senza che noi facessimo mai niente. E le infiltrazioni hanno messo ormai radici profonde. Se nelle carte del processo di Torino è emerso uno scenario preoccupante, lo spaccio di droga in curva, prima durante e dopo non solo gli incontri casalinghi, fa da sfondo ad indagini della Procura di Napoli. Il 30 agosto 2015 una rissa tra tifosi durante Napoli Sampdoria, avrebbe visto scontrarsi due fazioni in lotta per i traffici illeciti in città, oltre che fuori e dentro il San Paolo.
Secondo gli inquirenti, da una parte ci sarebbe il clan Sequino Esposito e dall’altra quello dei Sibillo. Gennaro De Tommaso, il famoso ex capo ultrà del Napoli noto come Genny la carogna, leader della curva A (nella B comandava fino a qualche anno fa Antonio Lo Russo, ex boss del clan dei Capitoni di Secondigliano, oggi collaboratore di giustizia), figlio di Ciro detto «Ciccione a carogna», condannato per associazione camorristica, e nipote di Giuseppe detto «l’assassino», è stato arrestato nel luglio 2017 per traffico di droga. Un’altra indagine a Torino sugli ultrà del Milan, dell’Inter e della Juve, aveva puntato un capo dei Viking bianconeri «considerato vicino alla cosca calabrese dei Rappocciolo», come ha scritto Repubblica.
Nel giugno di quest’anno un’indagine su un grosso traffico internazionale di droga aveva portato gli inquirenti dietro a un Tir che scaricava 250 chili di stupefacente proprio nella sede dove gli ultrà del Milan preparavano gli striscioni e portato all’arresto di uno dei più importanti capi ultrà rossoneri come uno dei principali accusati. Quando fu rilasciato venne accolto da una standing ovation allo stadio. E questa è la dimostrazione più lampante di come le curve siano ormai in mano alla malavita. In quella stessa inchiesta finì in manette uno steward dell’Inter, simpatizzante di Casapound. Perché l’altra miscela esplosiva è quella del connubio fra alcune frange del tifo di estrema destra e le organizzazioni mafiose. I casalesi nel 2004 tentarono un’ardita operazione, poi fallita, che doveva portare addirittura alla scalata della Lazio. Nelle file del tifo biancoceleste il leader degli Irriducibili Fabrizio Piscitelli detto Diabolik era finito in prigione per un traffico di stupefacenti tra Italia e Spagna.
Nelle carte giudiziarie di Mafia Capitale, Piscitelli viene associato a soggetti albanesi in una banda al servizio dei napoletani facenti capo al boss Michele Senese, e in relazione con esponenti di spicco di estrema destra, anche giallorossi. Come ha testimoniato poi la triste vicenda delle immagini di Anna Frank, quando gli ultras laziali poterono registrare pure la solidarietà di Giuliano Castellino, tifoso della Roma, leader della formazione «Roma ai romani». A onor del vero, la Lazio di Lotito e la Roma di Pallotta sono le uniche due società in Italia che hanno cercato di combattere questa pericolosa deriva delle curve. Il risultato però è che sono state lasciate dolorosamente sole dalle istituzioni e sottoposte a continui ricatti.
Il fatto è che la condizione di extra territorialità che vige nelle curve rende spesso gli ultras degli intoccabili che possono ricattare le società con l’arma della responsabilità oggettiva. Proprio Diabolik, è stato condannato per estorsione nei confronti del patron della Lazio Claudio Lotito. Niente è cambiato però. D’altro canto, nei dati forniti dalla Polizia alla Commissione antimafia si parla «di stime che raggiungono anche il 30 per cento di pregiudicati all’interno delle tifoserie». Ma davvero nel nome del tifo per una squadra dobbiamo chiudere gli occhi e sopportare tutto questo?