[L’inchiesta] I ponti a rischio crollo e la manutenzione: i soldi c’erano ma sono già stati spesi

Il primo allarme sul ponte crollato a Genova è del 2011, due anni dopo il governo di Enrico Letta ha stanziato ben due miliardi per la manutenzione delle infrastrutture a rischio deperimento. Cinque anni dopo, ancora nessuna mappatura nonostante gli allarmi di Conftrasporto e M5s, che oggi governa il Paese. Ci sono 3000 ponti, la metà autostradali. Solo a novembre Anas ha fatto i primi bandi per la manutenzione dei suoi e a febbraio l’esecutivo di Paolo Gentiloni ha stanziato 1,6 miliardi per le strade Provinciali

Il disastro del ponte Morandi (Ansa)
Il disastro del ponte Morandi (Ansa)

 

 “In questi 60 giorni di governo abbiamo dato immediatamente mandato di lavorare su manutenzione e messa in sicurezza dei viadotti e al loro monitoraggio attraverso dei sensori. Quasi tutti, costruiti tra gli anni ‘50 e ‘70 hanno bisogno di manutenzione ordinaria. Questo governo metterà i soldi proprio lì, per evitare che capitino ancora tragedie di questo tipo. Da cittadino italiano mi dispiace constatare che su queste infrastrutture non sia stata fatta tale manutenzione e questi fatti ne sono la testimonianza”. Il ministro per Infrastrutture Danilo Toninelli è stato il primo a correre a Genova dopo il tragico crollo. Già al Tg1 dell’ora di pranzo, prima ancora che fosse chiara a la contabilità di vittime e feriti, ha circoscritto la possibile causa alla “scarsa manutenzione” dell’infrastruttura. Autostrade per l’Italia ha puntualizzato che la struttura effettivamente risaliva agli anni Sessanta, che “era stato installato un carro-ponte per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione”, ma le macerie dimostrano che qualcosa non è andato come avrebbe dovuto, che chi doveva si è mosso troppo tardi. Il problema non sono i soldi, che pure sono stati stanziati, ma la velocità che lo Stato impiega per utilizzarli per fare cose utili. 

Cose che tutti sapevano

Che bisognasse intervenire sul tratto autostradale A10 a Genova lo si sapeva dal maggio 2011. Una relazione di Autostrade per l’Italia scritta in quell’anno denunciava che proprio lì si producevano “quotidianamente, nelle ore di punta, code di autoveicoli ed il volume raggiunto dal traffico provoca un intenso degrado della struttura del viadotto “Morandi”, in quanto sottoposta ad ingenti sollecitazioni”. Questi grida di allarme sono arrivate per la verità fino a Roma. Perché è dai primi crolli di cavalcavia, che risalgono all’inizio del decennio, che gli esecutivi hanno aperto i dossier-cavalcavia pericolanti e, piano piano, addirittura sganciato un po’ di soldi.  Dopo casi drammatici come la caduta di un autobus dal viadotto di Acqualonga sulla A16 costata la vita a 39 persone e ripetuti collassi di strutture in cemento armato, di fronte ai continui allarmi, ai crolli piccoli e grandi, il Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti nel 2013 aveva deciso di fare qualcosa. Con l’articolo 18, comma dieci, del decreto legge 69 del 2013, il cosiddetto “Decreto del Fare”, il governo di Enrico Letta aveva istituito un “Programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione all’Anas”. I soldi sono stati stanziati attraverso due delibere del Cipe e poi con la successiva legge di Bilancio e non erano certo bruscolini: ben due miliardi di euro. Una parte erano destinati a infrastrutture diverse - ferrovie, metropolitana - , ma la gran parte a consolidare le strutture già esistenti. Dove sono finiti?

La mappa inesistente

Il problema principale è che dei 3000 ponti e cavalcavia e dei 1555 ponti e viadotti autostradali non esiste nemmeno una mappatura; non si conosce il loro stato di conservazione perché addirittura non se ne conosce il numero preciso. Non lo conoscono l’Anas, le Amministrazioni provinciali che li “posseggono” e spesso nemmeno le società - private e no - che gestiscono le autostrade.  Lo aveva ammesso rispondendo ad un question time in Aula l’allora ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi: “La rete autostradale a pedaggio si sviluppa per oltre 5.800 Km ed è assentita a 24 società.  In questo complesso sistema Autostrade per l’Italia S.p.A. gestisce oltre il 50%, corrispondente a 2.854,6 Km, ma le restanti 23 società gestiscono tratte con un’estensione variabile da un massimo di 300 Km circa, fino a 20 km. Quindi con una grande frammentazione delle gestioni”. I governi, dunque, hanno fin troppi interlocutori. 

I cavalcavia che vanno giù

Tre anni dopo quei finanziamenti, però, ancora non esisteva il documento. Nel frattempo erano crollati altri cavalcavia ad Ancona Sud e addirittura in Lombardia, vicino a Lecco. Tre anni dopo non era stato nemmeno avviato lo studio. A chiedere che gli esecutivi si sbrigassero a realizzare una mappatura delle strutture per poi analizzarne i potenziali rischi sono dunque stati nel 2017 Conftrasporto e i Cinquestelle, cioè il partito che oggi esprime premier e ministro per le Infrastrutture. “E’ necessaria una mappatura dei ponti stradali ed autostradali, è una questione di massima urgenza alla luce dei crolli di viadotti e cavalcavia a cui stiamo assistendo, con sgomento, negli ultimi mesi”, chiedeva Paolo Uggè, presidente di Conftrasporto, già sottosegretario. Si riferiva al crollo di Fossano, in provincia di Cuneo, il terzo nel giro di pochi mesi dopo la tragedia di Annone Brianza e quella in autostrada ad Ancona. Stessa richiesta da Andrea Cecconi, all’epoca capogruppo dei pentastellati a Montecitorio, che è originario proprio di Ancona. Nel mirino del grillino c’erano le imprese che che hanno realizzato i lavoratori e pure il ministro che aveva preso il posto di Lupi, cioè Graziano Delrio, “serve un Daspo per le imprese sospette, che non partecipino ad appalti pubblici, che non possano avere fondi statali”, diceva. Mentre la collega Patrizia Terzoni puntava il dito contro i principali accusati di oggi: “Lo Stato ha l’obbligo di sapere quello che accade sulle nostre autostrade, anche se sono gestite da privati”. Diciotto mesi dopo, oggi tocca al loro compagno di partito Toninelli gestire questa crisi. 

Cento milioni, 8 lotti

A distanza di così tanto tempo dal primo allarme solo una cosa si è sbloccata. Il 9 novembre scorso, dunque 4 anni dopo lo “sblocca-cantieri”, l’Anas ha pubblicato il bando di gara d’appalto per “lavori di manutenzione straordinaria per il risanamento strutturale di ponti e viadotti sulle strade statali e sulle autostrade in gestione Anas, sull’intero territorio nazionale, per un investimento di 100 milioni di euro”. Il bando, diviso in 8 lotti, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, stanziava 8 milioni per la cosiddetta “area Nord -Ovest” che comprende anche la Liguria con Lombardia, Valle D’Aosta e Piemonte. Qualche settimana prima Paolo Gentiloni, ormai a fine mandato, aveva stanziato dopo moltissimi anni, 170 milioni da destinare alle Province per la manutenzione della loro rete stradale, ma era solo l’inizio. E’ stato Graziano Delrio lo scorso febbraio a stanziare un totale di 1,62 miliardi ripartiti “tra Province e Città metropolitane” per  rispondere “alle esigenze di sicurezza stradale dei cittadini, al fine di ridurre l’incidentalità e consentire il diritto alla mobilità in tutte le aree del Paese”. Per molti anni, in previsione della loro cancellazione mai avvenuta per la vittoria del “no” al referendum costituzionale di Matteo Renzi, non erano stati dirottati finanziamenti e alcuni tratti di strada erano addirittura stati chiusi per evitare pericoli. 

Lo studio di sette anni fa: qualcuno lo ha letto?

Che il sistema infrastrutturale italiano sia vecchio, manchi totalmente una programmazione del nuovo e la gestione di quanto già esiste lo aveva denunciato per prima Banca d’Italia. Già nel 2011 Bankitalia ha realizzato lo studio intitolato “Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione” che anticipava tutti i mali di oggi, che potevano essere prevenuti. Qualcuno se lo andrà a leggere almeno ora?