Immunità: quanti anticorpi sviluppa chi ha avuto il Covid-19 e come interagiscono con i vaccini
Due le preoccupazioni diffuse: che la risposta immunitaria sia troppo debole dopo il contagio, e che l'inoculazione dei vaccini sia troppo forte. Vediamo di dati

Capita sempre più di frequente di sentire persone che hanno avuto il Covid-19 preoccupate del basso livello di anticorpi registrato dopo qualche mese dalla fine della malattia. Il timore è quello di non avere sviluppato l’immunità e di essere quindi ancora esposti al virus. A dispensare qualche buona notizia a riguardo sono arrivati i risultati di due studi pubblicati lo scorso maggio che evidenziano come, nonostante il basso livello di anticorpi, la maggior parte di coloro che hanno contratto il Covid-19 maturi il potenziale per una forte risposta immunitaria in caso di nuova infezione. Una risposta che in ogni caso può essere moltiplicata in misura rilevante dalla vaccinazione.
Mi ricordo di te
L’apparente paradosso dipende dalla struttura e dal modo di funzionare del nostro sistema immunitario. Vista l’enorme quantità di infezioni a cui siamo sottoposti nel corso della nostra esistenza, infatti, sarebbe impossibile mantenere un livello soddisfacente di anticorpi sempre vigili e pronti contro ciascuna di esse. Il nostro sangue diventerebbe una sorta di densa poltiglia. Così il sistema immunitario usa un particolare tipo di cellule, le cellule B della memoria, che registrano le caratteristiche dei virus che ci hanno infettato e che abbiamo combattuto. Annidate nel midollo osseo, esse continuano a rilasciare modeste quantità di anticorpi per vigilare su eventuali ritorni del nemico che hanno impresso nella memoria. Nel caso quest’ultimo si faccia di nuovo vivo, le cellule B ricominciano a pieno ritmo la loro produzione di difese mirate specificatamente contro quel virus. Niente stato d’emergenza permanente, quindi, ma sorveglianza vigile e capacità di eseguire rapidamente interventi mirati ed efficaci.
Proprio quello che speravamo
Il meccanismo era noto, ma non si era sicuri che il nostro sistema immunitario lo avesse sviluppato anche per il Covid-19. Ora i risultati dei due studi forniscono conferme in tale direzione. Come ricordato al New York Times dalla dottoressa Marion Pepper, immunologa dell’Università di Washington a Seattle: «sembra essere proprio il tipo di risposta delle cellule B della memoria che speravamo».
La risposta è nel midollo
Per verificare l’andamento della risposta anticorpale e più in generale di quella immunitaria di chi si è ammalato di Covid-19 entrambi gli studi hanno seguito per circa un anno il decorso di due gruppi di pazienti contagiati e guariti. La prima ricerca, pubblicata su Nature, ha il forte merito di aver analizzato e studiato non solo campioni di sangue, ma anche di midollo osseo. Il tutto grazie alla rara disponibilità di diciannove persone, tra le settantasette che hanno partecipato allo studio, a subire prelievi periodici. Si tratta di un dettaglio fondamentale, perché è nel midollo osseo che risiedono le cellule B della memoria.
Pochi anticorpi ma un forte potenziale
Tutti e settantasette i partecipanti hanno registrato l’attesa diminuzione degli anticorpi contro il Sars-CoV-2, più rapida nei primi quattro mesi e poi più graduale nei mesi successivi, fino a raggiungere livelli bassi, ma ancora rilevabili a poco meno di un anno dall’infezione. Fini qui tutto come da programma. La cosa rilevante è emersa studiando i campioni di midollo osseo. Dopo sette mesi, quindici delle diciannove persone che si sono sottoposte al programma di prelievi periodici avevano nel loro midollo osseo cellule B della memoria dedicate al virus. E dopo altri quattro mesi il livello di tali cellule era rimasto stabile. Almeno nei tre quarti dei casi, quindi, i guariti dal Covid-19 avevano sviluppato il potenziale per una forte risposta immunitaria contro il riaffacciarsi del virus.
L’altro quarto
C’è tuttavia anche l’altro quarto, quello che non sembra poter contare su tale tipo di risposta. «Anche se vieni infettato, non vuol dire che hai una risposta super-immune» - sottolinea il coordinatore dello studio, il Dottor Ali H. Ellebedy, che ritiene che i risultati ottenuti rafforzino l’idea che anche chi è guarito dal Covid-19 si dovrebbe vaccinare.
Malati e vaccinati? Fino a cinquanta volte più forti contro il virus
L’effetto estremamente positivo che avrebbe la vaccinazione sulla risposta immunitaria di chi ha contratto il Covid-19 è appunto il risultato del secondo studio, pubblicato sul sito per addetti ai lavori BioRxiv. La ricerca ha seguito per un anno sessantatré persone guarite dalla malattia, venticinque delle quali sono state poi vaccinate con Pfizer/BioNTech o con Moderna. I risultati ottenuti confermano che, grazie alle cellule B della memoria, chi ha avuto la malattia sviluppa un’immunità duratura. L’elemento forse più interessate, tuttavia, è che coloro che dopo la guarigione ricevono un vaccino a mRNA, che sia Pfizer/BioNTech o Moderna, vedono crescere fino a cinquanta volte la loro capacità di risposta contro una nuova infezione, sviluppando inoltre una resistenza alle varianti attualmente in circolazione.
Anticorpi fortissimi
«Le persone che sono state contagiate e poi si sono vaccinate sviluppano una risposta incredibile, anticorpi fortissimi, perché questi ultimi continuano ad evolvere. E mi aspetto che durino per molto tempo» – ha affermato il dottor Michel C. Nussenzweig, che ha coordinato il secondo studio. Un’opinione condivisa da Scott Hensley, immunologo dell’Università della Pennsylvania, non coinvolto nella ricerca, che al New York Times ha confermato che «le ricerche sono coerenti con una crescente mole di letteratura che suggerisce che l’immunità contro il Sars-CoV-2 conferita dall’infezione e da una successiva vaccinazione sia di lunga durata».
E chi non si è ammalato?
La risposta di chi si è ammalato e si è poi vaccinato sembra essere più forte di quella di chi si è vaccinato senza essere stato prima contagiato. Per il sistema immunitario, infatti, combattere un virus è cosa assai diversa che rispondere a una proteina introdotta con il vaccino, pare che nei due casi la memoria immunitaria lavori in modo diverso. Inoltre, la maggior parte dei malati si vaccina a mesi di distanza dall’infezione, il che consente al loro sistema immunitario di maturare e rafforzare la propria risposta prima che essa venga sollecitata di nuovo dal vaccino. «Si tratta di meccanismi diversi da quelli che agiscono in qualcuno che prende prima e seconda dose a tre settimane di distanza» – ricorda la già citata dottoressa Pepper. Tuttavia, per questi ultimi è probabile che la risposta immunitaria possa essere moltiplicata con un terzo richiamo fatto a debita distanza di tempo, il cosiddetto booster. A riguardo però non si hanno ancora risultati chiari, anche se, come nota Nussenzweig, «è una cosa che si saprà molto, molto presto».
Quindi?
Avere un basso livello di anticorpi a qualche mese di distanza da quando si è avuto il Covid-19 non è quindi nulla di straordinario, anzi è la norma e non pregiudica la risposta immunitaria in caso di una nuova infezione. I due studi citati indicano che ci sono ottime probabilità che, grazie alle cellule B della memoria, essa sia potenzialmente forte e in grado di affrontare anche le varianti attualmente in circolazione, soprattutto se, pur avendo avuto la malattia, ci si vaccina a distanza di qualche mese.