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Johnson&Johnson: i casi di trombosi sono solo l’ultimo di una serie di problemi

Proprio come con Astrazeneca in Europa anche negli Stati Uniti vi sono stati problemi di ritardi e consegne mancate. Il pasticcio di Baltimora

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
Vaccino Johnson&Johnson (Foto Imagoeconomica)
Vaccino Johnson&Johnson (Foto Imagoeconomica)

Sospensione precauzionale per poter indagare meglio su casi di trombosi rare che potrebbero essere associate al vaccino: Johnson&Johnson sembra seguire negli Stati Uniti il percorso affrontato da Astrazeneca in Europa. I casi di trombosi non sono però il primo problema legato al vaccino dell’azienda americana che le autorità statunitensi si trovano a dover affrontare e gestire. 

Consegne mancate

Proprio come con Astrazeneca in Europa anche negli Stati Uniti vi sono stati problemi di ritardi e consegne mancate. Pochi giorni fa, ed è solo l’ultimo caso, Johnson&Johnson aveva annunciato che questa settimana avrebbe consegnato alle autorità americane solo 700mila dosi tagliando la fornitura dell’86% rispetto ai 4,9 milioni di dosi della settimana scorsa. 

Il pasticcio di Baltimora

A cosa fosse dovuto il drastico calo non è ancora chiaro, ma è possibile che fosse legato al pasticcio combinato nello stabilimento di Baltimora, nel Maryland, da uno dei suoi fornitori, la Emergent BioSolutions. In quell’impianto la Emergent produceva vaccini sia per la Johnson&Johnson che per Astrazeneca e a un certo punto, per cause ancora non appurate, i due prodotti sono stati mischiati con il risultato di dover buttare 15 milioni di dosi del vaccino Johnson & Johnson. 

Al di sotto degli standard

In seguito all’incidente è emerso che ispezioni e controlli condotti sia dal governo che da Astrazeneca e Johnson & Johnson, e anche dalla stessa Emergent Biosolutions, avevano già evidenziato problemi non irrilevanti nel rispettare gli standard minimi di qualità richiesti. Tanto che già in autunno si erano dovuti buttare 2-3 milioni di dosi del vaccino Astrazeneca. Tra i problemi riscontrati vi erano la presenza di muffe, l’insufficiente disinfezione di alcune apparecchiature e la ripetuta approvazione di materie prime non adeguatamente testate. Per questi problemi la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale competente, non ha ancora dato il via libera alla produzione nell’impianto, un nulla osta senza il quale le dosi prodotte non potranno essere distribuite per la somministrazione nel caso quest’ultima venisse nuovamente autorizzata. 

Esautorati

A seguito dell’incidente il governo americano, in virtù di accordi pregressi e degli ingenti finanziamenti concessi, ha praticamente esautorato Emergent BioSolutions dalla gestione dello stabilimento costringendo Johnson & Johnson a prendere in mano la situazione e a gestirlo come se fosse suo. La produzione delle dosi Astrazeneca è stata fermata senza molti problemi: il vaccino anglo-svedese non è stato ancora approvato negli Stati Uniti e se mai un giorno lo sarà è verosimile che verrà utilizzato poco o nulla. 

Speranze destinate a rimaner tali

La vicenda della contaminazione tra i due vaccini ha determinato non solo la perdita dei 15 milioni di dosi di cui sopra, ma anche il fermo precauzionale di altri 62 milioni di dosi in attesa di ulteriori controlli. Il tutto potrebbe aver contribuito all’improvviso calo della fornitura di vaccini da parte di Johnson&Johnson. L’azienda aveva però già dimostrato in febbraio e marzo di non essere in grado di rispettare le forniture previste. La speranza delle autorità americane era che con l’avvio della produzione dello stabilimento di Baltimora il flusso di consegne, finora assai irregolare e proveniente da uno stabilimento olandese, si sarebbe stabilizzato consentendo una migliore programmazione. Una programmazione che dopo lo stop imposto dalla FDA è tutta da rivedere. Negli Usa come in Europa.

 

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   

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